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News: LA SCUOLA OFFESA DALL’INGIUSTIZIA E DALL’ ILLEGALITA’

Opinioni

A cura  di Rinascita della Scuola - Libera associazione di docenti.

 

rinscuola@alice.it

 

antopinto@fastwebnet.it

 

 

 

LA  SCUOLA OFFESA DALL’IGIUSTIZIA E DALL’ ILLEGALITA’  

 

 

Noi docenti non avremmo mai voluto sentir pronunciare nella scuola la parola ingiustizia, né tantomeno la parola illegalità. Dobbiamo riconoscere però, che troppe volte abbiamo visto prevaricare i nostri diritti e quelli di altri insegnanti. Negli ultimi anni c’è stata una recrudescenza di questi episodi, ma anche un certo innalzamento dell’attenzione giuridica e morale.

 

Fino ad oggi, infatti,  non è mancata l’attenzione da parte degli organi d’informazione, soprattutto sugli sprechi della nostra scuola che, come risulta dalle indagini dell’l’ISTAT, spende troppo ma paga poco gli insegnanti. Una scuola che, secondo il quotidiano “Il Giornale”, è brava solo a sperperare centinaia di migliaia di euro l’anno per pagare le consulenze di docenti esperti esterni. Questa questione – che è stata anche oggetto di un’inchiesta recente da parte del programma televisivo Reporter -  la dice lunga sui criteri di gestione della nostra offerta formativa ed educativa ma, soprattutto, sui criteri di scelta, di merito e di utilizzo delle risorse professionali riguardo alle  competenze dei docenti.

 

Non sono mancate le indagini da parte della Magistratura. Infatti,  a Napoli la Procura indaga sul mercato dei titoli, che consentiva a certi insegnanti di acquisire diritti e requisiti per far carriera nella scuola attraverso canali preferenziali. Un mercato gestito probabilmente dal malaffare politico e clientelare.

 

Bisogna riconoscere però, che in questo clima di fatti inquietanti, a noi insegnanti è mancato il coraggio di affrontare le sfide che quotidianamente si presentavano nell’ambiente scolastico; soprattutto se queste sfide venivano da chi si rivolgeva a noi con un atteggiamento temerario, convinto di poterci privare dei nostri diritti e di poterla fare sempre franca,  in barba ad ogni regola e ad ogni legge. In questi casi,  pur non nascondendo la nostra indignazione, ci siamo chiusi in noi stessi. Ci siamo sentiti soli.

 

In un articolo apparso su Repubblica lo scorso 13 maggio, intitolato “Il coraggio dimenticato”,  lo scrittore  Roberto Saviano ci ricorda, citando Altiero Spinelli – padre del pensiero europeo – che il paese in cui è bello riconoscersi è quello fatto di comportamenti, non di monumenti.  Ebbene, ci siamo chiesti: ma la scuola non è ancora oggi una delle principali Agenzie di socializzazione dove si modella il comportamento delle nuove generazioni ?  Non è forse vero che i giovani, in ogni caso,  sanno intuire la sincerità degli adulti e degli educatori mettendo in pratica i loro insegnamenti ? Nello stesso articolo, lo scrittore ci dice pure che, a differenza degli immigrati africani, agli italiani sembrano mancare gli anticorpi necessari per fronteggiare la mafia. Questi anticorpi, secondo Roberto Saviano, sono dati dall’elementare desiderio di vivere. Ed allora, ci siamo chiesti ancora: quanta parte di responsabilità ha avuto la scuola italiana, in questi anni, per la perdita di questo elementare desiderio di vivere ?

 

Non è forse vero che in questi ultimi anni la nostra scuola si è sempre collocata agli ultimi posti a livello europeo per la qualità della sua offerta formativa ? Questi, ed altri interrogativi ci siamo posti. Abbiamo inviato la copia dell’articolo di Roberto Saviano a molti insegnanti che condividono le iniziative della nostra Associazione, così, se riterranno opportuno, potranno leggerlo in classe con i propri alunni. Con la speranza che il prossimo anno scolastico possa aprirsi con la luce che può dare  l’ elementare desiderio di vivere.

 

                                                                                   

 

                                                                                            

 

Il coraggio dimenticato

 

di ROBE RTO SAVIANO

 

Pubblichiamo la versione integrale dell‘articolo di Roberto Saviano uscito su Repubblica.

 

Chi racconta che l’arrivo dei migranti sui barconi porta valanghe di criminali, chi racconta che incrementa violenza e degrado, sta dimenticando forse due episodi recentissimi ed estremamente significativi, che sono entrati nella storia della nostra Repubblica. Le due più importanti rivolte spontanee contro le mafie, in Italia, non sono partite da italiani ma da africani. In dieci anni è successo soltanto due volte che vi fossero, sull’onda dello sdegno e della fine della sopportazione, manifestazioni di piazza non organizzate da associazioni, sindacati, senza puliman e partiti.

 

Manifestazioni spontanee. E sono stati africani a farle. Chi ha urlato: “Ora basta” ai capizona, ai dan, alle famiglie sono stati africani. A Castelvolturno, il 19 settembre 2008, dopo la strage a opera della camorra in cui vengono uccisi sei immigrati africani: Kwame Yulius Francis, Samuel Kwaku e Alaj Ababa, del Togo, Cristopher Adams e Alex Geemes della Liberia e Eric Yeboah del Ghana. Joseph Ayimbora, ghanese, viene ricoverato in condizioni gravi. Le vittime sono tutte giovanissime, il più anziano tra loro ha poco più di trent’anni, sale la rabbia e scoppia una rivolta davanti al luogo del massacro. La rivolta fa arrivare telecamere da ogni parte del mondo e le immagini che vengono trasmesse sono quelle di un intero popolo che ferma tutto per chiedere attenzione e giustizia. Nei sei mesi precedenti, la camorra aveva ucciso un numero impressionante di innocenti italiani. 1116 maggio Domenico Noviello, un uomo che dieci anni fa aveva denunciato un’estorsione ma appena persa la scorta l’hanno massacrato. Ma nulla. Nessuna protesta. Nessuna rimostranza. Nessun italiano scende in strada. I pochi indignati, e tutti confinati sul piano locale, si sentono sempre più soli e senza forze.

 

Ma questa solitudine finalmente si rompe quando, la mattina del 19, centinaia e centinaia di donne e uomini africani occupano le strade e gridano in faccia agli italiani la loro indignazione. Succedono incidenti. Ma la cosa straordinaria è che il giorno dopo, gli africani, si faranno carico loro stessi di riparare ai danni provocati. L’obiettivo era attirare attenzione e dire: “Non osate mai più”. Contro poche persone si può ogni tipo di violenza, ma contro un intera popolazione schierata, no. E poi a Rosarno. In provincia di Reggio Calabria, uno dei tanti paesini del sud Italia a economia prevalentemente agricola che sembrano marchiati da un sottosviluppo cronico e le cui cosche, in questo caso le ‘ndrine, fatturano cifre paragonabili al PIL del paese.

 

La cosca Pesce-Bellocco di Rosarno, come dimostra l’inchiesta del GOA della Guardia di Finanza del marzo 2004, aveva deciso di riciclare il danaro della coca nell’edilizia in Belgio, a Bruxelles, dove per la presenza delle attività del Parlamento Europeo le case stavano vertiginosamente aumentando di prezzo. La cosca riusciva a immettere circa trenta milioni di euro a settimana in acquisto di abitazioni in Belgio.

 

L’egemonia sul territorio è totale, ma il 12 dicembre 2008, due lavoratori ivoriani vengono feriti, uno dei due in gravissime condizioni. La sera stessa, centinaia di stranieri - anche loro, come i ragazzi feriti, impiegati e sfruttati nei campi - si radunano per protestare. I politici intervengono, fanno promesse, ma da allora poco è cambiato. Inaspettatamente, però, il 14 di dicembre, ovvero a due soli giorni dall’aggressione, il colpevole viene arrestato e il movente risulta essere violenza a scopo estorsivo nei riguardi della comunità degli africani. La popolazione in piazza a Rosarno, contro la presenza della ‘ndrangheta che domina come per diritto naturale, non era mai accaduto negli anni precedenti.

 

Eppure, prorio in quel paese, una parte della società, storicamente,  aveva sempre avuto il coraggio di resistere. Ne fu esempio Peppe Valarioti, che in piazza disse: “Non ci piegheremo”., riferendosi al caso in cui avesse vinto le elezioni comunali. E quando accadde fu ucciso. Dopo di allora il silenzio è calato per le strade calabresi. Nessuno si ribella. Solo gli africani lo fanno.

 

E facendolo difendono la cittadinanza per tutti i calabresi, per tutti gli italiani. Difendono il diritto di lavorare e di vivere dignitosamente e difendono il diritto della terra. L’agricoltura era una risorsa fondamentale che i meccanismi mafiosi hanno lentamente disgregato facendola diventare ambito di speculazioni criminali. Gli africani che si sono rivoltati erano tutti venuti in Italia su barconi. E si sono ribellati tutti, clandestini e regolari. Perche da tutti le organizzazioni succhiano risorse, sangue, danaro.

 

Sulla rivolta di Rosarno, in questi giorni, è uscito un libretto assai necessario da leggere con un titolo in cui credo molto. Gli africani salveranno Rosarno. E, probabilmente, anche l’Italia” di Antonello Mangano, edito da Terrelibere. La popolazione africana ha immesso nel tessuto quotidiano del sud Italia degli anticorpi fondamentali per fronteggiare la mafia, anticorpi che agli italiani sembrano mancare. Anticorpi che nascono dall’elementare desiderio di vivere.

 

L’omertà non gli appartiene e neanche la percezione che tutto è sempre stato così e sempre lo sarà. La necessità di aprirsi nuovi spazi di vita non li costringe solo alla sopravvivenza ma anche alla difesa del diritto. E questo è l’inizio per ogni vera battaglia contro le cosche. Per il pubblico internazionale risulta davvero difficile spiegarsi questo generale senso di criminalizzazione verso i migranti. Fatto poi da un paese, l’Italia, che ha esportato mafia in ogni angolo della terra, le cui organizzazioni criminali hanno insegnato al mondo come strutturare organizzazioni militari e politiche mafiose. Che hanno fatto sviluppare il commercio della coca in Sudamerica con i loro investimenti, che hanno messo a punto, con le cinque famiglie mafiose italiane newyorkesi, una sorta di educazione mafiosa all’estero.

 

Oggi, come le indagini dell’FBI e della DEA dimostrano, chiunque voglia fare attività economico- criminali a New York che siano kosovari o giamaicani, georgiani o indiani devono necessariamente mediare con le famiglie italiane, che hanno perso prestigio ma non rispetto. Altro esempio eclatante è Vito Roberto Palazzolo che ha colonizzato persino il Sudafrica rendendolo per anni un posto sicuro per latitanti, come le famiglie italiane sono riuscite a trasformare paesi dell’est in loro colonie d’investimento e come dimostra l’ultimo dossier di Legambiente le mafie italiane usano le sponde africane per intombare rifiuti tossici (in una sola operazione in Costa D’Avorio, dall’Europa, furono scaricati 851 tonnellate di rifiuti tossici).

 

E questo paese dice che gli immigrati portano criminalità? Le mafie straniere in Italia ci sono e sono fortissime ma sono alleate di quelle italiane. Non esiste loro potere senza il consenso e la speculazione dei gruppi italiani. Basta leggere le inchieste per capire come arrivano i boss stranieri in Italia. Arrivano in aereo da Lagos o da Leopoli. Dalla Nigeria, dall’Ucraina dalla Bielorussia. Gestiscono flussi di danaro che spesso reinvestono negli sportelli Money Transfer. Le inchieste più importanti come quella denominata Linus e fatta dai pm Giovanni Conzo e Paolo Itri della Procura di Napoli sulla mafia nigeriana dimostrano che i narcos nigeriani non arrivano sui barconi ma per aereo. Persino i disperati che per pagarsi un viaggio e avere liquidità appena atterrano trasportano in pancia ovuli di coca. Anche loro non arrivano sui barconi. Mai.

 

Quando si generalizza, si fa il favore delle mafie. Loro vivono di questa generalizzazione. Vogliono

 

essere gli unici partner. Se tutti gli immigrati diventano criminali, le bande criminali riusciranno a sentirsi come i loro rappresentanti e non ci sarà documento o arrivo che non sia gestito da loro. La mafia ucraina monopolizza il mercato delle badanti e degli operai edili, i nigeriani della prostituzione e della distribuzione della coca, i bulgari dell’eroina, i furti di auto di romeni e moldavi. Ma questi sono una parte minuscola delle loro comunità e sono allevate dalla criminalità italiana. Nessuna di queste organizzazioni vive senza il consenso e l’alleanza delle mafie italiane.

 

Nessuna di queste organizzazioni vivrebbe una sola ora senza l’alleanza con i gruppi italiani. Avere un atteggiamento di chiusura e criminalizzazione aiuta le organizzazioni mafiose perché si costringe ogni migrante a relazionarsi alle mafie se da loro soltanto dipendono i documenti, le abitazioni, persino gli annunci sui giornali e l’assistenza legale. E non si tratta di interpretare il ruolo delle ‘anime belle”, come direbbe qualcuno, ma di analizzare come le mafie italiane sfruttino ogni debolezza delle comunità migranti. Meno queste vengono protette dallo Stato, più divengono a loro disposizione. Il paese in cui è bello riconoscersi - insegna Altiero Spinelli padre del pensiero europeo - è quello fatto di comportamenti non di monumenti. Io so che quella parte d’Italia che si è in questi anni comportata capendo e accogliendo, è quella parte che vede nei migranti nuove speranze e nuove forze per cambiare ciò che qui non siamo riusciti a mutare. L’Italia in cui è bello riconoscersi e che porta in se la memoria delle persecuzioni dei propri migranti e non permetterà che questo riaccada sulla propria terra.

 

Published by arrangement with Roberto Santachiara Literaiy Agency

 

(13 maggio 2009 )

 

 

 

 

 

 









Postato il Domenica, 31 maggio 2009 ore 00:15:34 CEST di Libero Tassella
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