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Umanistiche: MORALE E POLITICA ALLE SOGLIE DEL XXI SECOLO:INTERVISTA A JACQUES LE GOFF

Rassegna stampa

Jacques Le Goff

Morale e politica alle soglie del XXI secolo

Professor Le Goff, in questa conversazione vorremmo parlare del XXI secolo, ossia di una storia non solo tutta da scrivere, ma ancora tutta da fare. Quale può essere il contributo specifico di uno storico nel parlare di tale argomento? Può la storia essere maestra di vita?

Può sembrare curioso o addirittura paradossale chiedere a uno storico di parlare dell'avvenire, ma credo che bisogna intendersi su che cosa è la storia e su che cosa sono la funzione e il mestiere di storico. A lungo si è detto che la storia è la scienza del passato, ma sempre più gli storici - e la società che sta intorno agli storici - si rendono conto che, come aveva già detto Marc Bloch - il grande storico francese, morto tragicamente durante la Resistenza, fucilato dai Tedeschi nel 1944 -, "la storia è la scienza degli uomini in società, nel tempo". Bloch, nel suo celebre libro Apologia della storia (trad. it. Torino, Einaudi, 1969), aveva precisato che la storia si fa con un doppio movimento: illuminando il presente mediante il passato - e questa è sempre stata la funzione della storia -, ma anche il passato mediante il presente, perché il passato si comprende meglio alla luce di quello che è successo dopo e alla luce delle questioni che gli pone lo storico, guardando alla propria epoca e ai suoi problemi. Marc Bloch aggiungeva: compete allo storico di interessarsi del futuro.

Si potrebbe pensare però che per questo gli accadimenti futuri siano già stabiliti ?

A questo punto bisogna evitare un'idea semplice quanto falsa: il determinismo storico. Se il presente e l'avvenire nascono dal passato e sono segnati dal passato, resta tuttavia una parte di caso: l'avvenire è un farsi, l'avvenire è inconoscibile e lo storico non è un indovino; egli non conosce il futuro, ma può e tanto più deve illuminare il futuro per ciò che conosce del passato e con l'analisi del presente. Infatti, un'altra definizione dello storico è quella che lo caratterizza come lo specialista della continuità e dei cambiamenti nell'evoluzione delle società umane, attraverso il tempo. Lo storico deve reperire ciò che, a volte, sotto la copertura e la superficie mutevole e brillante degli eventi, esiste come struttura e come fenomeno profondo. D'altra parte, deve essere sensibile ai cambiamenti, perché la storia non è immobile e le società che costituiscono il suo oggetto di studio non sono immutabili. Ecco perché credo che lo storico abbia qualcosa da dire sul modo in cui si annuncia il XXI secolo e possa formulare delle ipotesi illuminate e ragionevoli, sulla base di ciò che sa del passato e del presente, sul modo in cui entreremo nel XXI secolo.

Professore, dal punto di vista politico, e sociale, il secolo XX, il nostro secolo appunto, si è travagliato profondamente intorno ai problemi della libertà e della democrazia, dei nazionalismi, dell'ordine internazionale, della pace. Si può parlare allora di "fine della storia", di un esito conclusivo dell'esperienza di questo secolo al riguardo?

A noi, che abbiamo vissuto e che viviamo ancora i drammi, gli sconvolgimenti del XX secolo, può sembrare curiosa l'idea che il progresso generale debba concludersi con la fine della storia, cioè che, da un processo dialettico di conflitti si sia arrivati ad una situazione che si presenta come la situazione definitiva, normale della società. Anche qui dobbiamo tentare di valutare, ma soprattutto di scrutare i meccanismi, in base ai quali ciascuno dei valori di cui Lei ha parlato comporta, insieme con un aspetto progressivo, dei pericoli - pericoli che, disgraziatamente, si sono spesso realizzati.

Farò solo qualche rapida considerazione sulla libertà, anche se si tratta di un valore essenziale. La libertà è stata trattata assai male nel XX secolo. E' vero che in parecchi punti c'è stata una restaurazione, una affermazione del valore individuale, collettivo, nazionale della libertà, che può far pensare a un suo trionfo. Ma, attenzione! Al tempo stesso vediamo che, secondo una formula della Rivoluzione francese, che si trova nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo, la libertà di ciascuno si ferma là dove comincia la libertà del prossimo. Dunque la libertà è un termine sotto il quale dobbiamo mettere istituzioni e comportamenti oltre che valori.

Per fare un facile esempio: la libertà economica, generata dal liberalismo economico, porta a un duro regime di ineguaglianza, dove insorgono continuamente conflitti e dove la libertà può diventare un valore e una parola d'ordine solo se è resa esplicita e se è guidata ancora una volta da preoccupazioni morali.

Questo ambivalenza vale anche per la nozione di "democrazia" ?

Democrazia è una parola di cui lo storico sa bene che ha designato nel tempo realtà differenti. La democrazia appare nell'antichità con le città greche e in particolare ad Atene, ma sappiamo che il popolo a cui si riferisce la parola "democrazia" - che significa "potere del popolo" - era "popolo" in un senso ristretto, era una minoranza, erano i cittadini di pieno diritto, da cui erano escluse le donne, gli stranieri e, a maggior ragione, la massa degli schiavi. Non bisogna nemmeno dimenticare tuttavia che importante progresso ci sia stato quando un gruppo di uomini - del resto differenti per ricchezza e potenza - hanno proclamato il diritto a essere uguali e a governare. Abbiamo visto ideali di democrazia e istituzioni democratiche sorgere gradatamente, facendo continui progressi, ma anche producendo sempre nuovi pericoli.

Oggi io credo che, quando si parla di democrazia, bisogna essere attenti a distinguere le forme di democrazia legate allo stato di diritto, da un altra accezione del termine. E' solo la democrazia rappresentativa la forma istituzionale e politica che garantisce, io credo, nel modo migliore quelle aspirazioni verso l'uguaglianza, la giustizia, il diritto, che la democrazia rappresenta. Io so bene che questo tipo di democrazia lascia sussistere delle ineguaglianze, specialmente nell'ordine economico e sociale, ma all'altro estremo di ciò che oggi passa sotto il nome di "democrazia" ci sono forme più o meno anarchiche, più o meno irrazionali, di democrazia diretta, in breve ciò che noi chiamiamo "populismo", con un termine che, in diversi contesti, ha acquistato di recente sempre più importanza. Non posso fare un discorso su questo tema e continuo a pormi dal punto di vista della morale, non faccio una presa di posizione politica, ma credo che certe forme, certe idee di democrazia possano nascondere il pericolo dell'irrazionalismo populista. Anche una dittatura della ragione può essere immorale, ma non c'è potere morale che non sia fortemente compenetrato dalla ragione: è questa, io credo, una conquista dell'umanità.

Crede che, nonostante il nazionalismo che sempre rinasce e si rafforza, il secolo XXI saprà portarci un nuovo contratto sociale e un nuovo statuto internazionale?

Il nazionalismo è uno dei pericoli più evidenti e tuttavia siamo ancora, sotto questo aspetto, vicini al XIX secolo e viviamo quasi un prolungamento del XIX secolo. Uno dei suoi più grandi progressi è stato il diritto dei popoli all'autodeterminazione. Si coglie qui il nesso tra indipendenza e nazionalismo - che io preferisco chiamare patriottismo.

Riprendo adesso la dialettica, semplice ma efficace, del lato buono e cattivo di una stessa nozione. Del nazionalismo sono solito dire che è come il colesterolo. I medici dicono che c'è un colesterolo buono e uno cattivo, ma l'azione del colesterolo è necessaria. Lo stesso si può dire del nazionalismo. Bisogna vedere quale è il nazionalismo legittimo, il nazionalismo che non mente con il suo passato e che rispetta gli altri.

Il mio dovere di storico è dire che c'è una morale storica. Essa consiste nel tentativo di cercare di mostrare ciò che è giusto dire sulla verità del passato. Ci sono parecchie interpretazioni del passato, ma alcune sono insostenibili. In generale il cattivo nazionalismo si appoggia su manipolazioni del tutto illegittime e, per cominciare, proprio a livello scientifico, a livello storico. Dunque anche qui io credo che noi dobbiamo far progredire il lato positivo.

Io inoltre vedo un errore, o almeno un'illusione, nell'idea che gli aspetti positivi di queste nozioni - libertà, democrazia e nazionalismo - attestino che la storia è arrivata alla fine, è pervenuta a uno stato di quiete. Una illusione che lo storico, con la sua esperienza, ha il dovere di denunciare, tanto più che conosce altri sforzi utopistici di questo genere. Per nostra sfortuna è chiaro che non è possibile una "fine della storia". Non sappiamo quando la storia si fermerà e se si fermerà. Ad ogni modo possiamo dire che non è affare di domani. La storia non si fermerà alla soglia del XXI secolo.

La storia ripropone sempre nuove e vecchie ingiustizie perché l'errore è intrinseco alla natura umana?

Non posso parlare della natura umana, parlo invece piuttosto di situazione dell'uomo nella storia: è questo il mio interesse, il mio punto di vista, il mio mestiere.

Ciò che mi rende relativamente ottimista è l'impressione che, in definitiva, il grande evento forse del XX secolo è stato la crisi del progresso. La nozione - e la realtà - del progresso è cominciata con la rivoluzione scientifica inglese del secolo XVII, si è sviluppata con lo spirito dell'Illuminismo e ha trionfato soprattutto con i progressi scientifici del XIX secolo. Nel secolo XX ci si è accorti che sia nelle scienze, sia in politica (nel lato utopistico del marxismo), il progresso non aveva la forza che gli era stata attribuita, non era né generale, né lineare. Il progresso è entrato in crisi. Ma ho l'impressione che siamo arrivati forse a un punto di esasperazione della crisi del progresso, che è anche un punto di svolta. E penso che un progresso più lucido e meno ambizioso potrà essere rilanciato, perché l'umanità ne ha bisogno.

Noi abbiamo bisogno anche al di fuori di ogni religione positiva, di avere un fine, uno scopo nella storia, una meta che ci attragga e ci permetta di migliorare. Ho l'impressione che da questa crisi, che è una crisi terribile di mutazione, noi forse stiamo cominciando a uscire. Non parlo della crisi economica, che ne è solo un aspetto, parlo di una crisi più generale e credo che si rimetterà in marcia, senza più gli errori, o piuttosto le illusioni, del XIX e del XX secolo, il progresso di cui abbiamo bisogno.









Postato il Mercoledì, 06 maggio 2009 ore 00:05:00 CEST di Salvina Torrisi
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