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Umanistiche: IL RAPPORTO TRA IL SAPERE UMANISTICO E IL SAPERE SCIENTIFICO

Rassegna stampa

Il rapporto tra il sapere umanistico e il sapere scientifico

di Bianca Garavelli*

Non più divise o nemiche come denunciava Charles Snow nel saggio Le due culture, oggi scienza e letteratura percorrono sentieri più vicini, e che a volte si intrecciano, con effetti positivi per la conoscenza dell'umanità e dell'universo.

Una cultura senza confini

Sono passati esattamente cinquant'anni da quando Charles Percy Snow (1905-1980) pubblicò il suo saggio-denuncia sulla divisione fra cultura scientifica e cultura umanistica nella nostra civiltà nella conferenza poi diventata saggio Le due culture. Un testo non privo di contraddizioni e limiti, ma che ha il merito di aver mostrato la realtà di una netta divisione fra un sapere definito "umanistico" e uno invece "scientifico": una divisione che non aveva alcun significato fino a poco più di un secolo prima. Snow, che era un fisico, sosteneva che i letterati nutrivano un certo disprezzo per le discipline scientifiche, ritenendo che la scienza fosse poco più di un'attività "di manovalanza" al servizio della società: se uno scienziato conosceva Shakespeare era semplicemente il suo dovere, mentre era normale che un intellettuale non sapesse dire nulla sui concetti di massa e accelerazione. In realtà, Snow suggeriva che questo disprezzo era del tutto ingiustificato, e che lo snobismo degli intellettuali verso la scienza era dannoso al progresso dell'umanità. Lui stesso da scienziato divenne anche scrittore, pubblicando alcuni romanzi che nel suo tempo ebbero un notevole successo. E questa scelta potrebbe far pensare a un suo complesso di inferiorità nei confronti di una sorta di 'potere creativo' della letteratura.

È corretto dunque chiedersi se la divisione denunciata da Snow c'è ancora, se è in termini netti o più morbidi, oppure si è creata nel frattempo qualche mediazione. Possiamo farlo attraverso due strade, trasformabili in altrettanti percorsi di insegnamento: gli scrittori-scienziati e la scienza come oggetto della letteratura che sconfina in un discorso più generale sui rapporti fra scienza e letteratura oggi. Limitando il campo, per ragioni di spazio e di utilità, il più possibile ai casi italiani.

Scrittori-scienziati nella letteratura italiana

Per chi insegna in un liceo, soprattutto se classico, sarà interessante far osservare come nel mondo antico scienza e filosofia, e quindi letteratura, erano tutt'uno. Ma per ogni tipo di istituto, sarà altrettanto possibile e interessante mettere in rilievo come questa assenza di divisioni all'interno del sapere continuasse nel Medioevo, quando un uomo di buona cultura aveva il dovere di conoscere le discipline del Trivio e del Quadrivio, cioè materie, diremmo oggi, sia scientifiche sia umanistiche. Dante ne è l'esempio più luminoso, proprio alle origini della nostra letteratura: le sue conoscenze scientifiche non lo allontanavano dall'amore per la scrittura e nemmeno dalla fede, anzi ne erano solida conferma. Basti pensare alla famosa "dimostrazione" con specchio e doppiere usata da Beatrice nel canto II del Paradiso per spiegare la vera natura delle macchie lunari. Una realtà 'scientifica' secondo i parametri del tempo che non contraddice anzi è uno dei tasselli del cosmico mosaico che rappresenta la struttura armoniosa dell'universo, così come Dio l'ha creata.

La continuità fra scienza e letteratura prosegue nei secoli successivi, sia pure con minore evidenza, e rende possibili figure come Juan Caramuel (1606-1682), matematico, architetto e poeta spagnolo, ma vissuto a lungo in Italia, del Seicento, e Tommaso Ceva (1648-1737), gesuita, matematico e poeta milanese vissuto tra Seicento e Settecento, autori che hanno dato un contributo alla letteratura che oggi è rivalutato, che non hanno mai considerato incompatibili o divisi da un muro il sapere tecnico e quello retorico.

I problemi cominciano a sorgere dopo l'Illuminismo, quando ancora era possibile che un matematico come D'Alembert desiderasse occuparsi di tutta l'enciclopedia del sapere, soprattutto con la rivoluzione industriale: la trasformazione mostruosa delle città in enormi dormitori per operai, lo sfruttamento di questi ultimi e la demolizione delle strutture stesse della famiglia e della società, fecero sì che gli intellettuali cominciassero a vedere la scienza, e soprattutto la tecnologia di cui sembrava essere al servizio, con uno sguardo fortemente critico.

Nel Novecento, però, questa situazione mostra un graduale cambiamento, come se con una sorta di osmosi scienza e letteratura riprendessero confidenza reciproca: il caso di Carlo Emilio Gadda, ingegnere e romanziere, non è isolato, visto che nella seconda metà del secolo un grande scrittore e un grande testimone dell'Olocausto come Primo Levi si salva dalla morte in campo di sterminio grazie alla sua laurea in chimica. Mario Tobino, psichiatra, e proprio ai nostri giorni Cesare Viviani, psicanalista, fanno di una delle "scienze umane" la loro professione e vi affiancano la scrittura per cui sono diventati noti ai lettori.

La scienza come oggetto della letteratura

Essere scienziati e scegliere per esprimersi la letteratura indubbiamente è segno di un sentimento opposto a quello del disprezzo nei confronti dell'uno o dell'altro insieme di discipline. Memorabile il caso di Italo Svevo: nel finale del suo capolavoro, La coscienza di Zeno (1923), già pervaso da quella che era la nuova scienza umana del Novecento, la psicanalisi, osa una profezia, che anticipa molta fantascienza, sugli esiti catastrofici della scienza applicata alla tecnologia, un campo che ben conosceva per lavoro. Senza scendere nei dettagli, Svevo anticipa quello che sarebbe stato un grande dilemma per la scienza, messo in scena da Michael Frayn molti anni dopo nel dramma Copenaghen che ora torna a essere rappresentato in Italia. Frayn immagina quel che si sono detti due grandi scienziati, Niels Bohr e Werner Heisenberg, nel loro incontro del 1941, mettendo a nudo i risvolti etici degli studi di quest'ultimo, coinvolto nel piano di ricerca nucleare della Germania nazista, che avrebbe portato all'invenzione della bomba atomica.

Ma nel secondo Novecento c'è un caso ancora più evidente: un ritorno alla collaborazione fra quelle che Snow aveva definito "le due culture" con un altro Italo, Calvino. Nato in un ambiente, diremmo oggi, 'scientificamente corretto', da un padre agronomo e da una madre biologa, l'autore di Le cosmicomiche (1965) e Ti con zero (1968) trova naturale parlare di fenomeni scientifici in ambito letterario. Elabora con il suo ingegno di scrittore le avventure di un personaggio dal nome illeggibile, una scelta che potrebbe addirittura essere interpretata come un metodo divertente per svelare i misteri dell'astrofisica. In effetti però, quello di Calvino è un tentativo ancora più ambizioso, che lo avvicina per grandiosa progettualità a Dante: cercare di comprendere i misteri dell'universo attraverso i mezzi dell'ingegno umano, con una letteratura aperta alle suggestioni della scienza. Ne è prova uno degli ultimi libri pubblicati in vita dell'autore, Palomar (1983), dove il protagonista eponimo, che ha il nome di un famoso osservatorio astronomico, indaga i vari fenomeni della vita che lo circonda, con piglio di scienziato e sensibilità di poeta.

Scienza e letteratura oggi

A proposito di poesia: oggi l'interesse delle neuroscienze, l'insieme di discipline scientifiche, afferenti anche a psicologia e filosofia, che studiano il funzionamento del cervello, si è rivolto verso la letteratura. La versione scientifica del fenomeno dell'ispirazione poetica è andata ad arricchire l'elenco degli strumenti umani a disposizione per descrivere il mondo. La lettura delle leggi dell'universo non è più appannaggio dei soli scienziati, ma addirittura dei poeti, di cui viene studiata la capacità di intuire le grandi leggi fisiche che governano l'universo, in un percorso "non contro ma in parallelo alla conoscenza razionale" (Casadei, p. 77). Del resto, la 'teoria della complessità', che parla di corrispondenze fra il microcosmo delle sinapsi cerebrali e il macrocosmo delle distanze spazio-temporali fra i pianeti, non è lontana dall'idea di nessi nascosti ed eterne relazioni fra le cose della poesia simbolista. È un tema che affascina un celebre candidato al Nobel come Yves Bonnefoy, poeta e matematico, accademico di Francia che in diverse occasioni ha dichiarato di aver visto l'effetto benefico della poesia sulla ricerca scientifica. È anche il tema del recente saggio dello studioso di letteratura, e a sua volta poeta, Alberto Casadei, Poesia e ispirazione, ricco di ottimi spunti da portare in classe. Come anche il numero 39 del prestigioso trimestrale di letteratura "Nuovi argomenti", dedicato proprio al rapporto fra scrittori e scienza, con interventi di giovani scrittori contemporanei come Leonardo Colombati, Demetrio Paolin, Tommaso Pincio, Chiara Valerio, Giuseppe Genna, e di filosofi e scienziati come David Calef e Giulio Giorello.

*Scrittrice e interprete di Dante, è critico letterario di "Avvenire" e "Letture". Ha pubblicato alcuni romanzi, tra cui Guerriero del sogno (La Vita Felice, 1997), Beatrice (Moretti & Vitali, 2002), Il passo della dea (Passigli, 2005), Amore a Cape Town (Avagliano, 2006, Premio "Angeli nel cielo del Cilento" 2007). Ha curato un commento alla Commedia di Dante (Bompiani 2000-2001) e coordinato la collana "I Grandi Classici della Poesia" (Fabbri, nelle edicole dal 1997 al 2000). www.biancagaravelli.it









Postato il Sabato, 04 aprile 2009 ore 00:05:00 CEST di Salvina Torrisi
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