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Voce alla Scuola: LA RIFORMA DELL'ISTRUZIONE TECNICA

Opinioni
La riforma dell’Istruzione Tecnica

Claudio Cereda, ScuolaOggi 30.3.2009
Leggo e rileggo la bozza di regolamento da qualche mese; ci ripenso; riprendo in mano il quaderno di TreElle sulla Istruzione Tecnica, ritorno a quel regolamento e mi chiedo: ce la faremo a cambiare in profondità? Ce la faremo ad invertire la rotta del declino? La riforma è sufficientemente radicale? Non sarei onesto nel dire che sono tranquillo, che qualcosa cambierà… Mah !?!
Il perito
La crisi dei Tecnici viene da lontano anche se la sua esplicitazione è avvenuta abbastanza di recente: la diminuzione o il ristagno delle iscrizioni sono infatti solo l’atto finale, ma la crisi vera ha riguardato la perdita di autonomia nella gestione delle risorse e del personale, la perdita di specificità, il cambiamento nelle motivazioni di chi sceglie il Tecnico.
Il mondo della produzione, quello che fa stare a galla l’Italia, ci dice: noi abbiamo bisogno di bravi tecnici e di bravi ingegneri. Il nostro candidato ideale conosce il suo ambito di specializzazione, sa leggere un problema e sa dove andare a cercare gli strumenti per risolverlo, sa lavorare in team, sa integrare conoscenze nei settori vicini al suo, non ha paura di viaggiare, conosce l’Inglese; datevi da fare.
Oltre a dei bravi periti servono dei bravi ingegneri. E qui sorge la prima domanda? A cosa deve servire l’ITIS, a formare tecnici o a formare futuri ingegneri o a entrambe le cose?
Io penso che la risposta giusta sia la prima con, in subordine, una scelta a favore dell’Università; ma non di qualsiasi università e devo dire che sarebbe meglio lavorare seriamente per la formazione tecnica superiore senza quella perdita di tempo che rischierebbe di essere la laurea triennale in ingegneria.
Se è pensata per i liceali essa rischia di essere poco calibrata su un perito che ha già avuto la formazione tecnica e ha semmai bisogno di una alta specializzazione. Diciamolo allora, anche se nell’Italia di oggi si rischia di non essere politicamente corretti. Il nostro paese ha bisogno di verità e non di diritti da sventolare che poi nessuno pratica:  nella vita bisogna saper scegliere ed essere coerenti con le proprie scelte.
Suggerirei dunque un rafforzamento identitario dell’articolo 2 del regolamento.
La specializzazione
Ho poco da dire sulla necessità di ridurre di molto le specializzazioni: siamo a nove. Quasi per tutte si tratta di macroaree; è emblematico il caso di “meccanica, meccatronica ed energia”. Osservo che lo sviluppo del settore energetico per definizione rinvia ad aree molto diverse: meccanica dura, termotecnica, elettromeccanica, fisica dei semiconduttori, aerodinamica, scienza dei materiali, fisica nucleare e se ne ritrova un puntuale riscontro nelle tabelle di confluenza.
La apertura del profilo e la multidisciplinarietà non mi preoccupano; dovranno svilupparsi attraverso le parti opzionali e facoltative del curricolo e attraverso una accorta politica vocazionale da svolgere sul territorio. L’importante è che questa operazione non degeneri in ciò che è accaduto a livello universitario dove sforniamo dottori in “scienze ippiche” o “scienze del benessere animale” perché veterinaria è a numero chiuso.
In altri termini occorrono tre condizioni: gli ITIS devono poter muoversi in maniera sinergica con le associazioni imprenditoriali del proprio territorio, occorre un minimo di programmazione territoriale che eviti duplicazioni in ambiti geografici troppo vicini (il contrario di ciò che avviene oggi), le scelte di specializzazione di una istituzione scolastica non devono basarsi sulla logica delle graduatorie e delle classi di concorso per cui alla fine si fa quello che serve a “salvaguardare i posti di lavoro” ma devono invece guardare al territorio.
Orari e laboratori
L’orario scende a 32 ore per ripristinare un po’ di legalità (l’ora è fatta di 60 minuti non di 45 o 50) e per prendere atto che pensare alla scuola al pomeriggio non è “politicamente corretto” e le mense non ci sono.
Mi piacerebbe che fosse previsto almeno un rientro e che non si cominciasse con la manfrina delle 6 ore continuate, magari per stare a casa il sabato. Nessuno, anche se molto giovane, tiene la concentrazione per 6 ore consecutive. Quando studiavo all’Itis si facevano 2 o 3 rientri settimanali e per due volte lo schema era di 8 ore (4 di teoria e 4 di laboratorio):  così vi abituate al lavoro di fabbrica, ci dicevano.
Le ore di laboratorio (cioè di compresenza tra docente teorico e insegnante tecnico pratico) sono 6 nel primo biennio, 8 e mezza nel secondo (7 e 9) e 10 in quinta. Forse quelle del primo biennio sono poche, se si tiene conto della “esuberanza” dei quindicenni ma il problema principale mi pare quello di garantire efficacia a quelle ore e a quegli insegnamenti visto che la attività laboratoriale richiede necessariamente tempi lunghi e mal si concilia con la campanella.
Si potrebbe prevedere, nell’ambito della autonomia, una gestione del laboratorio diversa dalla modalità a prezzemolo (un po’ qua e un po’ là) e si potrebbe affidare al Collegio e al Dirigente la possibilità di gestire le ore di laboratorio in maniera diversa per le diverse classi (in alcune si fa una materia, in altre un’altra a seconda delle caratteristiche del gruppo classe e dei docenti da coinvolgere, ma in tutti i casi con un monte ore significativo).
Sogno? No penso alla innovazione che, come è noto, è nemica delle graduatorie.
La struttura oraria nei diversi anni si articola secondo il seguente schema:
** primo biennio: 20 ore di area comune (comune anche tra il settore economico e quello tecnologico) e 12 ore di insegnamento obbligatorio di indirizzo (molto diverse tra i due settori perché o si fa fisica decentemente o si fanno più lingue straniere)
** secondo biennio: 15 + 17
** ultimo anno: 15 + 17
Per fare cosa?
I percorsi “si realizzano attraverso metodologie finalizzate a sviluppare competenze basate sulla didattica in laboratorio, l’analisi e la soluzione dei problemi, il lavoro per progetti; sono orientati alla gestione di processi in contesti organizzati e all’uso di modelli e linguaggi specifici; sono strutturati in modo da favorire un collegamento organico con il mondo del lavoro e delle professioni, ivi compresi il volontariato ed il privato sociale. Stage, tirocini e alternanza scuola lavoro sono strumenti didattici per la realizzazione dei percorsi di studio”
 Sono cinque righe di una modernità assoluta e corrispondono esattamente alle richieste che vengono dal mondo delle imprese, ma … ma per realizzare quella scuola servono delle condizioni che ritrovo a fatica in quello che segue per carenza di coraggio. Vediamo come e perché.
Flessibilità oraria
Viene prevista in percentuali di tutto rispetto nei tre periodi in cui è diviso il quinquennio: 20%, 30%, 35%. Ora la flessibilità oraria ha bisogno di condizioni materiali (politiche del personale) per materializzarsi.
La domanda che pongo da dirigente al ministero è esplicita: ci verrà dato un margine di autonomia nel gestire la corrispondente quota di personale per chiamata diretta e prescindendo dalle condizioni impiegatizie in cui versa la professione docente?
Se la risposta è sì la flessibilità diventa una cosa seria; se la risposta è no la flessibilità rimarrà una finta come è rimasto in larga misura il margine del 20% già previsto nel regolamento della autonomia e nelle successive modifiche.
Cosa me ne faccio di una dichiarazione formale sulla possibilità di stipulare contratti d’opera con esperti (mondo del lavoro e professioni) se non ho a disposizione un budget e le risorse sono quelle attuali iscritte nel programma annuale che vengono bruciate nelle spese di funzionamento e nel FIS?
Organizzazione per dipartimenti e Comitato Tecnico Scientifico
I dipartimenti sono una delle forme importanti di articolazione del Collegio Docenti. Non è il caso di scrivere da qualche parte che il Collegio si riunisce 2 volte l’anno (all’inizio per il POF e il piano delle attività e alla fine per il consuntivo) e che le restanti funzioni sono trasferibili alle articolazioni del Collegio medesimo?
Nella scuola dell’autonomia non ci sarebbe neanche bisogno di scriverlo; basterebbe dare ai Tecnici autonomia statutaria come richiede, inascoltata, TreElle.
I dipartimenti sostengono la didattica, fanno ricerca, elaborano i percorsi all’interno degli Obiettivi Specifici di Apprendimento (OSA), fanno parlare tra loro le discipline affini, impostano percorsi comuni, propongono diverse articolazioni orarie tra le diverse materie, ragionano sugli aspetti particolari del recupero.
Dice l’articolo 5: gli Istituti “costituiscono un comitato tecnico-scientifico, con una composizione paritetica di docenti e di esperti del mondo del lavoro, delle professioni e della ricerca scientifica e tecnologica, con funzioni consultive e di proposta per l’organizzazione delle aree di indirizzo e l’utilizzazione degli spazi di autonomia e flessibilità”.
Va bene prevedere un organo di supervisione e raccordo con i dipartimenti e prevederlo a composizione mista; ma se non si scioglie il nodo della governance non se ne esce perché gli organismi consultivi saranno perennemente in crisi di identità e difficili da costituire.
E quindi in un prossimo articolo si parlerà di governance e di passaggio al nuovo ordinamento.








Postato il Martedì, 31 marzo 2009 ore 00:05:00 CEST di Silvana La Porta
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