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Umanistiche: UNA MALATTIA DELLA STORIA: IL NEGAZIONISMO

Rassegna stampa

UNA MALATTIA DELLA STORIA:IL NEGAZIONISMO

di Ilaria Mori*

La premessa metodologica necessaria per affrontare l’argomento del revisionismo storico a scuola al termine della scuola secondaria superiore è costituita dal fatto che gli studenti dovrebbero aver interiorizzato dal precedente percorso di studio le seguenti nozioni:

A)ogni opera storica reinterpreta il passato e quindi tutti gli storici sono revisionisti. Revisionisti, per esempio, sono stati gli storici delle Annales a cui si deve l’introduzione della storia sociale ed economica, di una storia ‘policentrica’, in netta rottura con la storia politica e militare che aveva dominato fino a ottant’anni fa la storiografia ufficiale;

B) ogni storico porta con sé le sue passioni anche politiche e civili, le sue interpretazioni, nonché lo spirito dei tempi;

C) Benedetto Croce affermava che ogni storia è una storia contemporanea nel senso che la ricostruzione di un’epoca storica ha sempre delle ricadute sull’attualità politica.

Ma questo, ovviamente, non significa che tutte le interpretazioni possono essere messe sullo stesso piano: ci sono interpretazioni che si fondano su evidenti manipolazioni e falsificazioni oppure che sono prive di una convincente profondità analitica.

Revisione e negazione della storia

Ai giorni nostri per revisionismo intendiamo la corrente che cerca di riscrivere la storia contemporanea. Gli studi più noti che hanno suscitato polemiche e controversie di particolare intensità riguardano l’interpretazione delle origini del fascismo e del nazismo e in alcuni casi il tentativo di “relativizzare” l’orrore dello sterminio degli ebrei. In tale contesto gli studiosi più accreditati sono Nolte, De Felice e Furet.

Col termine negazionismo si intende, invece, l’obiettivo da parte di alcuni ‘studiosi’ di dimostrare con argomentazioni variabili:

a) che la Shoahnon si è mai verificata perchè il regime nazista non voleva sviluppare una politica di sterminio;

b) che il numero degli ebrei morti durante la Seconda guerra mondiale è di gran lunga inferiore a quello accertato dalla storiografia;

c) che le camere a gas, l’uso dello Zyklon B, dei forni crematori sono aspetti della propaganda postbellica. Oggi la maggiore espressione dei negazionisti è l’Institute for Historical Review, fondato alla fine degli anni 70 negli Stati Uniti, a cui fanno riferimento alcuni storici tra cui D. Irving, R. Faurissone del più noto negazionista italiano C. Mattogno. La differenza sta nel fatto che il revisionismo riformula il giudizio su un evento, ne dà un’interpretazione diversa basandosi sulle fonti, ma non ha come fine la sua cancellazione.

Un altro caso di negazione genocidaria meno noto e forse meno studiato è quello che riguarda lo sterminio degli Armeni avvenuto durante la 1a guerra mondiale da parte del governo ottomano. Una stima seria non può scendere sotto il milione di morti, ossia la metà degli Armeni presenti nel 1914 nell’impero. Il negazionismo è diventato l’ufficiale paradigma storico della repubblica turca, sebbene siano disponibili negli archivi europei testimonianze e informazioni approfondite e dettagliate sulle atrocità commesse. Uno dei principali obiettivi della posizione negazionista è quella di dissipare le obiezioni del Parlamento europeo all’entrata della Turchia nell’Unione.

Il negazionismo della Shoah

Per i negazionisti l’Olocausto sarebbe un’ invenzione tesa a screditare, a demonizzare la Germania di Hitler e/o un mito creato al fine di favorire gli interessi degli ebrei nel mondo e giustificare la nascita e la difesa di Israele. Le tesi del negazionismo, prive di una credibile e convincente profondità analitica, hanno la pretesa di presentarsi come scientifiche in ambito storiografico “autorappresentandosi, anzi, quale unica storiografia dotata di rigore scientifico analitico, con l’obiettivo di delegittimare la storiografia corrente, naturalmente respinta perché ideologicamente e politicamente orientata” (F. Germinario, Razzismo, antisemitismo, negazionismo, ISRAT,2007). I negatori dello sterminio pongono una questione semplice ma dirimente: prima di costruire analisi e riflessioni sulla Shoah si deve dimostrarne la verità storica e quindi quell’unicità che la rende l’evento simbolo degli orrori del XX secolo definito da T. Todorov “il secolo delle tenebre” in opposizione al “secolo dei lumi”(in Storia, verità e giustizia: i crimini del XX secolo, a cura di M. Flores). Le camere a gas, in particolare, sono oggetto di critica investigativa da parte di questi storici fino a sostenerne l’inesistenza così come essi denunciano uno scenario di grande bugia da dissolvere, di pericoloso complotto sionistico da smascherare.

Il metodo storiografico dei negazionisti si fonda sulla ricerca dello scoop che possa coinvolgere il grande pubblico storicamente poco informato; tra i presunti fondamenti probatori più sensazionali del negazionismo ci sono quelli che si ricavano, per esempio dal libro The Hoax of Twentieth Century (1976), di A. R. Butz, docente di ingegneria presso l’università di Chicago, in cui l’autore sostiene che lo Zyclon-B fosse utilizzato nei campi con funzione di insetticida e che le morti sarebbero state provocate per lo più dalla diffusione del tifo. Altro esempio eclatante è il Rapporto Leuchter del 1988 ( F. Leuchter è un ingegnere e ricercatore di Boston che progettò una nuova camera a gas per il penitenziario di stato del Missouri) la cui prefazione è a cura dello storico negazionista R. Faurisson. In tale documento si sostiene l’assenza di residui di cianuri negli ambienti di Auschwitz-Birkenau destinati allo sterminio; inoltre è impossibile credere che gli inservienti, anche se con le maschere, potessero entrare subito nei locali senza che essi stessi venissero uccisi dai veleni letali. Faurisson, professore dell’università di Lione, diventato autore di riferimento per molti negazionisti propone una versione “economicista” del negazionismo (M. Mustè e C. Scognamiglio, Il giudizio sul nazismo, pag. 69). Partendo dal confronto tra l’antisemitismo nazista e il razzismo proprio del colonialismo occidentale giunge a postulare la contraddittorietà di sterminare coloro che potevano essere sfruttati economicamente come mano d’opera, soprattutto in un contesto di guerra totale. Dopo la pubblicazione del suo libro (Memoire en défense contre ceux qui m’accunsent de falsifier l’histoire,1980) Faurisson veniva condannato, per la prima volta, per contestazione di crimine contro l’umanità.

E le immagini dei prigionieri-scheletro riprese dagli americani? Lo stato di quei prigionieri, sostengono i negazionisti, sarebbe dovuto all’abbandono senza cibo e medicine in seguito allo sfaldamento del fronte tedesco.

Menzogne e complotti

Un’altra caratteristica delle argomentazioni negazioniste è il rifiuto della testimonianza diretta come fonte storica: i racconti dei superstiti dei campi nazisti vengono definiti “menzogne”. Il diritto di parola non viene riconosciuto ai sopravvissuti perché la loro identità ebraica li qualifica come pericolosi sovvertitori dell’ordine e perché la loro natura li rende “perfidi”: quei testimoni non sono credibili, raccontano il falso, perché il loro obiettivo sarebbe la conquista del potere. L’antisemitismo, anche dopo il 1945, ha mantenuto intatto il tema dell’esistenza di una cospirazione sionista anche se non ebraica (F. Germinario, op. cit. pag. 68). Simbolo del negazionismo è la figura di David Irving, la cui reputazione di storico stimato viene incrinata a partire dagli anni Novanta del secolo scorso per le sue simpatie verso gli ambienti dell’estrema destra che lo hanno spinto alla riabilitazione di Hitler, con il tentativo di scagionarlo dalle responsabilità dello sterminio degli ebrei, che non viene negato, ma indubbiamente ridimensionato; inoltre Irving confuta la sistematicità delle uccisioni attribuite al ricorso alle camere a gas. Per quel che riguarda il numero delle vittime della persecuzione antiebraica, Irving nega la fondatezza dei rapporti dei capi di polizia e dell’esercito, a suo avviso “gonfiate” dai redattori per dimostrare la loro efficienza. Inoltre, molti ebrei sarebbero stati trasportati in Palestina con una nuova identità, altri potrebbero essere morti sotto i bombardamenti alleati e altri vittime del freddo e della fame in Europa Orientale. La prof.ssa Deborah Lipstadt, autrice di un libro molto critico nei confronti del negazionismo, indica Irving come intenzionale manipolatore delle fonti finalizzate alla negazione dell’olocausto e all’apologia del führer. Nel 2000 il tribunale britannico che ha trattato la causa per diffamazione intentata da Irving alla storica ha messo in discussione l’imparzialità del querelante, sentenziando che aveva distorto e falsificato l’evidenza storica, riconoscendo in lui un rappresentante dell’antisemitismo.

La distruzione delle prove, origine del negazionismo

D’altro canto non si deve dimenticare che il primo a praticare il negazionismo fu lo stesso regime nazista: man mano che le truppe nemiche avanzavano sia da Ovest che da Est i nazisti cercavano di distruggere le prove dei loro crimini, organizzando l’evacuazione degli internati (le famose marce della morte) bruciando i registri, facendo saltare in aria i forni crematori e cancellando molte tracce dell’impianto di morte costruito dal Terzo Reich. Primo Levi ricorda che le SS si divertivano a irridere cinicamente i prigionieri affermando che, qualora fossero sopravvissuti, il mondo non avrebbe creduto al racconto di fatti così mostruosi, e che la storia dei Lager, sarebbero stati loro[i nazisti] a raccontarla.

All’indomani della Seconda guerra mondiale la destra più radicale per potersi ripresentare nell’arena politica delle idee e delle competizioni elettorali si trovava nella condizione di dover negare o quanto meno minimizzare le proprie responsabilità nella produzione degli orrori della guerra che erano vivi nell’immaginario collettivo. F. Germinario sostiene che le posizioni storiografiche del negazionismo risultano la “precondizione necessaria e indispensabile” per riproporre la presenza dei movimenti di estrema destra europea sul “mercato politico” e che quella dei revisionisti e persino dei negazionisti è la caratteristica dei “vinti della storia” che per sopravvivere sono costretti a riscriverne una nella quale possono continuare a esistere (op cit. pag. 70-71).

Analisi e critica del negazionismo

Per quanto riguarda il metodo storiografico e le strategie interpretative dei negazionistirisulta di particolare interesse lo studio di Valentina Pisanty Come si nega un fatto: le strategie interpretative dei negazionisti (in Storia,verità, giustizia, op. cit.). La ricercatrice, partendo dalla semiotica, si propone di analizzare la struttura logica degli scritti dei negazionisti per capire se vi sia un’ossatura argomentativa costante e se e come tale ossatura si discosti sensibilmente dal metodo interpretativo impiegato dagli storici di professione. La sua attenzione si concentra su alcuni nomi (per esempioFaurisson e il suo allievo H. Roques ) che hanno adottato uno stile apparentemente più accademico e scientifico per dare l’impressione del tutto “illusoria” che sia in corso un serio dibattito storiografico tra la storiografia “ufficiale” (sterminazionista) e quella “revisionista”.

Il negazionismo può essere definito “un’ideologia” anzi, lo storico francese Pierre Vidal-Naquet lo definisce “una setta religiosa, un’ opposizione settaria al culto dominante” in una serie di articoli dal titolo suggestivo Gli assassini della memoria. Saggi sul revisionismo e la Shoah (Viella, 2008) in cui affronta le posizioni dei negazionisti pur rifiutandosi sempre di dibattere con loro faccia a faccia, non reputandoli interlocutori accettabili. Secondo lui la sacralizzazione della Shoah è rischiosa perché non deve essere considerata un culto suscettibile di creare un anti-culto, ossia un’eresia, né deve essere uno strumento politico. É un genocidio che insieme agli altri – quello degli zingari (simultaneo), degli armeni (precedente) e del Ruanda ( successivo) – deve impegnare gli storici cui spetta il compito di tener viva la memoria.

Il fatto che in questi ultimi dieci anni storici, filosofi, sociologi si sentano particolarmente impegnati nella necessità di mantenere viva la memoria della Shoah è rivelatore che tale memoria attraversi una crisi non solo dovuta all’esaurimento della generazione dei testimoni ma soprattutto perché la condizione diffusa nella nostra società è quella in cui le specificità del passato storico svaniscono, il passato è tutto schiacciato sul presente oppure è percepito in una dimensione “neomitica” che non ha rapporti di continuità con il presente. La conseguenza più rischiosa consiste nel fatto che i più pensano che ciò che è stato non potrà riprodursi in forme nuove e a danno di altri.

*Insegnante di Italiano e Storia presso un liceo romano.









Postato il Venerdì, 27 marzo 2009 ore 00:05:00 CET di Salvina Torrisi
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