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Voce alla Scuola: Tuttoscuola FOCUS n.32/128

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lunedì 1 dicembre 2003

TuttoscuolaFOCUS N. 32/128

SOMMARIO

  1. Riforma degli organi collegiali territoriali/1: il no dei sindacati
  2. Riforma degli organi collegiali territoriali/2: anche Berlinguer...
  3. Riforma degli organi collegiali territoriali/3: cosa cambia
  4. Un sabato nero per il ministro Moratti
  5. Dal "Punto e a capo" del ministro al "Punto e basta" del sindacato
  6. Primo decreto attuativo/1: lo stallo continua
  7. Primo decreto attuativo/2: i contenuti del contrasto
  8. Primo decreto attuativo/3: al via il confronto parlamentare
  9. La via nostalgica dei Comunisti italiani
  10. "Cancelliamo la riforma che ha cancellato le nostra..."
  11. Più pensionamenti del previsto nella scuola
  12. Sempre più difficile resistere fino a 65 anni nella scuola


 

Le scadenze in TuttoscuolaMEMORANDUM di questa settimana:


1 dicembre - ammissione dei candidati esterni agli esami di Stato
1 dicembre - affissione liste elezioni RSU
9 dicembre – Inizio votazioni per elezioni RSU
10 –16 dicembre – scadenze amministrative relative al mese di dicembre
12-17 dicembre - affissione risultati elezioni RSU
15 dicembre – Borse di studio INPDAP
15 dicembre – Predisposizione programma annuale 2004
18 dicembre – PON Scuola 2000-2006

 

1. Riforma degli organi collegiali territoriali/1: il no dei sindacati

Lo schema di decreto legislativo per la riforma degli organi collegiali territoriali approvato in prima lettura dal Consiglio dei ministri, su proposta del ministro Moratti, non si è limitato a un maquillage dei vecchi organismi. Li ricostruisce dalle fondamenta, e non tutti sono d’accordo. Dal fronte sindacale in particolare è partito un cannoneggiamento ad alzo zero verso il provvedimento, che ora sarà sottoposto al parere della Conferenza unificata Stato-Regioni, per essere poi definitivamente approvato (con eventuali modifiche) dal Consiglio stesso ed emanato, nelle intenzioni del Governo, entro la fine del prossimo mese di gennaio.
Cosa non è piaciuto ai sindacati? In primo luogo il metodo seguito dal vertice politico che in una materia che investe la rappresentanza di tutti gli operatori scolastici, ha riconosciuto alle organizzazioni rappresentative un coinvolgimento marginale.
In secondo luogo, che ai docenti non è attribuito nei nuovi organi territoriali "un ruolo corrispondente alle responsabilità che essi esprimono" (Ricciato, Snals); "il pesante ridimensionamento della presenza della componente dirigente, docente ed ATA, che garantita nei consigli di istituto rischia di scomparire negli altri organi" (Colturani, Cisl-scuola); "l’assoluta mancanza di democrazia" (Panini, Cgil-scuola).


2. Riforma degli organi collegiali territoriali/2: anche Berlinguer...

Del resto i sindacati nei precedenti organi collegiali, istituiti nel 1974, avevano un ruolo primario grazie alla massiccia rappresentanza della categoria.
Ad esempio, nel CNPI, il massimo organismo collegiale scolastico, composto da 74 membri, ben 64 componenti erano eletti in rappresentanza del personale, su liste sindacali o di associazione, 4 erano di nomina ministeriale e 5 designati da Enti. Non per niente quel Consiglio era ritenuto una specie di parlamentino sindacale grazie ad una rappresentanza che sfiorava il 90% dell’intero consiglio.
I nuovi organi territoriali riconoscono maggiore spazio alle famiglie e agli studenti nei processi decisionali che investono il loro futuro.
Una manovra della Moratti per indebolire l’influenza del sindacato? L’organismo nazionale era già stato riformato dal ministro Berlinguer, che lo aveva ridimensionato portandolo da 74 a 36 membri, contenendo al 50% la rappresentanza della categoria e prevedendo il restante 50% di nomina ministeriale. Ma il decreto di Berlinguer (n. 233/1999) era stato bloccato dall’attuale ministro che si accinge ora a sostituirlo definitivamente, confermandolo a 36 componenti, ma eliminando completamente la rappresentanza elettiva della categoria per lasciar posto ai 19 rappresentanti dei consigli scolastici regionali (di diritto), a 7 membri designati e a 10 membri di nomina ministeriale.


3. Riforma degli organi collegiali territoriali/3: cosa cambia

Composizione, dimensione e rappresentanze: passa da lì la riforma degli organi collegiali scolastici territoriali proposta dal ministro Moratti e che dovrebbe entrare in funzione dal prossimo anno scolastico.
Ci sono arrivi e partenze per i nuovi organi collegiali scolastici territoriali: arrivano i consigli scolastici regionali non previsti dall’attuale ordinamento e se ne vanno per sempre, con pochi rimpianti, i consigli dei distretti scolastici.
Cambia decisamente il modo di costituire gli organi: non più un’"abbuffata elettorale" con elezione diretta e con chiamata al voto di centinaia di migliaia di elettori (soprattutto personale scolastico), bensì una rappresentanza istituzionale di secondo e terzo grado del tipo "domino": i consigli di istituto designano tra di loro i componenti dei consigli territoriali; i presidenti dei consigli territoriali sono membri di diritto dei consigli regionali; i presidenti dei consigli regionali sono membri di diritto del consiglio nazionale.
I consigli territoriali (provinciale e nazionale) non sono più gli organi collegiali della categoria con massiccia presenza dei rappresentanti eletti del personale scolastico, ma sono piuttosto l’espressione dei diversi livelli di gestione collegiale dei livelli territoriali inferiori, con una presenza molto ridotta dei rappresentanti del personale scolastico. E su questo le organizzazioni sindacali certamente interverranno nelle sedi istituzionali chiamate a concorrere alla definizione del decreto per modificare i contenuti del provvedimento (che per qualche sigla sindacale andrebbe completamente riscritto).
Infine i nuovi organi, rispetto a quelli precedenti, vengono drasticamente ridimensionati nel numero con una composizione complessiva che è circa la metà di quella dei vecchi organismi.


4. Un sabato nero per il ministro Moratti

Il 29 novembre è stata una giornata da annotare in nero sul calendario del ministro Moratti. Ben tre manifestazioni nello stesso giorno, e tutte "contro" la sua politica di riforme.
Ha aperto le danze in mattinata la manifestazione degli studenti appartenenti alle associazioni della sinistra, scesi in piazza a difesa della scuola pubblica.
Le manifestazioni clou della giornata si sono comunque avute a Roma e a Bologna.
Nella capitale le tre confederazioni sindacali Cgil-Cisl e Uil hanno chiamato a raccolta lavoratori, docenti e genitori per difendere la scuola pubblica, che essi ritengono messa in pericolo dalla politica del Governo e dal ministro dell’Istruzione.
In piazza ovviamente c’erano anche i sindacati scuola confederali per "riaffermare il valore strategico dell’istruzione, difenderne il carattere nazionale, contrastarne la devoluzione, protestare contro una finanziaria che ripropone solo tagli ed un'ulteriore precarizzazione del lavoro, rifiutare un modello di scuola che riduce l’offerta di istruzione ed amplifica le diseguaglianze sociali".
Daniela Colturani, segretaria nazionale della Cisl-scuola, ha chiesto, anche a nome degli altri sindacati, il ritiro dello schema di decreto legislativo relativo alla scuola dell’infanzia e al primi ciclo dell’istruzione, attualmente all’esame della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari.
A Bologna, quasi in contemporanea, vi è stata la manifestazione per la difesa del tempo pieno, promossa da un apposito comitato nazionale, con la presenza di docenti e genitori, per scongiurare modifiche all’attuale ordinamento.


5. Dal "Punto e a capo" del ministro al "Punto e basta" del sindacato

Quando il ministro Moratti lanciò le linee della riforma del sistema di istruzione agli Stati Generali di due anni fa, usò un titolo eloquente: "Punto e a capo", uno slogan che suonò come volontà di azzeramento dei progetti riformatori precedenti e di cambiamento radicale del sistema vigente.
I sindacati della scuola ebbero da subito un atteggiamento diffidente, che andava dalla posizione più radicale della Cgil-scuola a quella prudentemente critica degli altri sindacati.
Mentre sul metodo della riforma per delega, è sempre stata unanime la contrarietà del fronte sindacale, nel merito dei contenuti della riforma qualche piccolo spiraglio di attenzione c’è stato da parte del sindacato più rappresentativo del settore, la Cisl-scuola, e dallo Snals.
Ne è stata prova anche la recente vicenda estiva del Consiglio nazionale (CNPI) dove è stato concesso dal sindacato (contraria la Cgil-scuola) una tregua e un timido lasciapassare per il progetto nazionale di innovazione per la generalizzazione dell’inglese e dell’informatica, e per alcuni aspetti dei piani di studio individualizzati, nelle prime classi della primaria.
Ma la tregua è finita e il ministro Moratti sembra ora aver perso qualsiasi appoggio, anche se indiretto, del mondo sindacale.
Proprio il segretario generale della Cisl-scuola, intervenendo nella manifestazione di sabato 29 novembre a Roma, ha affermato: "Questa riforma non ci piace. Ma ci piace ancor meno il primo decreto attuativo. Per questo ne chiediamo il ritiro immediato". E ha aggiunto "Due anni sono bastati per farci capire che questo governo sulla scuola è capace solo di cose perniciose. Per questo diciamo: punto e basta!".


6. Primo decreto attuativo/1: lo stallo continua

L’iter del primo decreto attuativo della legge di delega di riforma della scuola, approvato in prima lettura dal Governo il 12 settembre, segna il passo.
Uno snodo importante per l’approvazione è il parere della Conferenza Unificata Stato-Regioni-città e autonomie locali, che però continua a slittare. Nella riunione del 26 novembre è stato deciso di esaminare solo 12 dei 25 punti all’ordine dei giorno. Tra questi non è stato compreso, nonostante le insistenze del sottosegretario Aprea, il decreto sulla scuola dell’infanzia, elementare e media.
I motivi del rinvio della discussione sarebbero due: in primo luogo la richiesta di Regioni, Province e Comuni di un approfondimento della istruttoria sulla copertura finanziaria del provvedimento; in secondo luogo la mancata formalizzazione ufficiale degli orientamenti espressi dai rappresentanti del MIUR il 20 novembre sulle 8 proposte emendative presentate dall’ANCI durante la seduta tecnica preparatoria della Conferenza Unificata.
Il ministro per i rapporti con le Regioni La Loggia, facendosi interprete dell’urgenza di definire il parere nel tempo più breve ha chiesto e ottenuto che la riunione della Conferenza, già prevista per il 18 dicembre, fosse anticipata al 10 dicembre.


7. Primo decreto attuativo/2: i contenuti del contrasto

Quali gli ostacoli per un parere positivo? Le Regioni contestano, come anticipato da TuttoscuolaNEWS (v. n. 127 del 24 novembre), il mancato passaggio in Conferenza del piano finanziario, le indicazioni nazionali per i piani personalizzati (allegati da A a D) che invaderebbero le competenze delle Regioni, la figura del tutor e la blindatura del numero delle ore che avrebbe a disposizione che comprimerebbe l’autonomia delle istituzioni scolastiche. I Comuni denunciano invece l’intero impianto finanziario della legge e, in particolare, la mancata previsione delle risorse per finanziare i costi aggiuntivi che graveranno sugli enti locali. Hanno chiesto di mantenere e di ampliare l’esperienza, giudicata positiva, degli istituti comprensivi e di assicurare la dotazione organica necessaria per garantire la presenza degli insegnanti durante la mensa ed un tempo scuola di 40 ore settimanali. Su questo il ministero non dovrebbe faticare ad accogliere la richiesta, visto che coincide con quanto affermato dal ministro alle commissioni parlamentari e puntualizzato nel commento allo schema di decreto apparso sul sito del ministero. A questo punto i soggetti in campo, il MIUR da una parte, le Regioni egli enti locali dall’altra, hanno tempo fino al 10 per individuare soluzioni condivise.


8. Primo decreto attuativo/3: al via il confronto parlamentare

Intanto per accelerare i tempi la settimana scorsa è iniziato l’esame del decreto in Commissione istruzione del Senato. Infatti i presidenti dei due rami del Parlamento hanno sottolineato la necessità di avviare la discussione anche in assenza del parere e delle modifiche che potrebbero derivare dai lavori della Conferenza Unificata.
Il presidente Asciutti, anche a seguito delle pressioni esercitate dall’opposizione, ha deciso di procedere ad una serie di audizioni dei soggetti che a vario titolo operano ed agiscono nella scuola (sindacati, associazioni professionali, etc).
A questo punto le incognite che avvolgono l’esito del decreto sono tante. Come si svolgerà il lavoro delle commissioni? Quale parere darà la conferenza unificata? Quale sarà la posizione del ministro dell’Economia in presenza di modifiche? Quando sarà formalizzato in via definitiva, e a quando la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale?
Su quest’ultimo punto, secondo le dichiarazioni del sottosegretario Aprea la Gazzetta Ufficiale potrebbe pubblicare il decreto definitivo entro il 15 gennaio 2004, appena in tempo per le iscrizioni al prossimo anno scolastico.
Se così non fosse, le scuole non sarebbero nelle condizioni di illustrare con precisione il tipo di servizio che potranno garantire, e i genitori non potrebbero ricevere risposta alle loro domande sul tempo e modalità di funzionamento della scuola.
Il problema che si stanno ponendo ora al MIUR è sul come definire gli organici: calibrarli sulla riforma e sui nuovi modelli didattici o elaborare gli organici a legislazione vigente, tenendo pronta anche un’ipotesi alternativa elaborata sui nuovi modelli?
Non si tratta di questioni di poco conto e certamente il sentiero per l’approvazione nei tempi previsti, si è fatto, in ragione dei numerosi passaggi ancora da perfezionare, strettissimo. Sempre più difficile da rispettare.


9. La via nostalgica dei Comunisti italiani

"Finalmente c’è un fronte che si batte contro questa maggioranza populista e autoritaria", si è sentito dire durante il seminario promosso dai gruppi parlamentari del PCI (Partito dei Comunisti Italiani) a Roma, lo scorso 27 novembre, in una prestigiosa sala della Camera dei deputati. Il riferimento era alla vasta aggregazione di forze politiche e sindacali copromotrici della manifestazione anti-Moratti del 29 novembre.
Chi parlava era una sindacalista della CGIL, ma il tema è stato ampiamente ripreso: l’obiettivo politico condiviso dal "fronte" (parola magica per molti dei presenti, evocativa di antiche battaglie) era naturalmente quello di combattere "frontalmente", e possibilmente far cadere in anticipo, il governo Berlusconi e il suo ministro simbolo Moratti, responsabili della "mercificazione dell’istruzione", funzionale all’affermazione del "pensiero unico". Sulla riforma Moratti, ha detto il sen. Bergonzi, responsabile scuola del partito, nessuna mediazione è possibile e neppure pensabile: i fautori del dialogo bipartisan sulla riforma tradiscono la causa della lotta dura e intransigente contro di essa. La riforma, in caso di ritorno al governo, va semplicemente "cancellata".
Per fare che cosa? In sostanza il partito di Cossutta e Diliberto, che ha presentato una propria proposta di legge, rilancia la legge n. 30 di Berlinguer con poche modifiche: otto anni di scuola di base anziché 7, e obbligo scolastico subito a 16 anni, e in prospettiva a 18. Viene proposto anche il ripristino delle commissioni miste (metà interni e metà esterni, con presidente esterno) per l’esame di Stato. Il tempo pieno costituisce una "articolazione fondamentale nella scuola di base". Nel complesso, sembra che lo sguardo e il cuore dei comunisti italiani siano rivolti più al passato che al futuro. Un sentimento ben interpretato nelle parole di uno dei relatori, il prof. Franco Frabboni, che ha individuato nel quarantennio 1960-2000 una sorta di "età dell’oro" della scuola italiana, a suo giudizio non più restaurabile neanche in caso di successo elettorale del "fronte".


10. "Cancelliamo la riforma che ha cancellato le nostra..."

Nel complesso, sembra che lo sguardo e il cuore dei comunisti italiani siano rivolti più al passato che al futuro. Un sentimento ben interpretato nelle parole di uno dei relatori, il prof. Franco Frabboni, che ha individuato nel quarantennio 1960-2000 una sorta di "età dell’oro" della scuola italiana, a suo giudizio non più restaurabile.
Ma il proposito di abrogare, in caso di cambio di maggioranza, la legge Moratti non è solo dei Comunisti italiani. Secondo Alba Sasso, autorevole rappresentante dei diesse in campo scolastico, "sarà necessario cancellare le più inique scelte di questo governo (dalle leggi finanziarie alla controriforma Moratti)". Diversa invece la posizione della senatrice dello Sdi Maria Rosaria Manieri, che pur criticando "l'enfasi propagandistica e ideologica posta sulla riforma Moratti dal governo", ritiene che l'Ulivo non commetterà l'errore del centrodestra che cancellando la legge Berlinguer invece di correggerne i punti più critici e di maggiore dissenso, ha aperto la stura a contrapposizioni ideologiche, acuendo lo scontro politico su un terreno decisivo per il futuro dei giovani".
Insomma va registrato che qualcuno ha il proposito di cancellare la riforma Moratti, che a sua volta ha cancellato la riforma Berlinguer, e poi chissà, di questo passo, qualcuno cancellerà la riforma che avrà cancellato la riforma Moratti. Il brutto è che non si tratta di uno scioglilingua, ma di una fase storica della politica scolastica italiana. Forse c’è qualcosa di sbagliato in tutto questo...


11. Più pensionamenti del previsto nella scuola

Erano stati previsti per quest’anno 9-10 mila pensionamenti di docenti statali, ma al 1° settembre scorso se ne sono andati quasi il doppio (17.497). Quasi centrata invece la previsione dei pensionamenti Ata (7.837). Complessivamente tra il personale docente e Ata sono stati in 25.334 a lasciare il servizio (il 2,8% del personale a tempo indeterminato in servizio nell’anno scolastico 2002-2003). L’anno scorso se ne erano andati in pensione circa 2 mila in meno: esattamente 23.329, per un totale complessivo nel biennio di 48.663 tra docenti, personale educativo e Ata. Con quasi 6 mila pensionamenti (11 mila nel biennio 2002-2003), è la seconda superiore, come gli anni scorsi, ad avere il maggior numero di uscite e, conseguentemente, di vacanza di posti. I docenti di scuola dell’infanzia sono invece quelli meno inclini al pensionamento (5.504 posti nel quadriennio 2000-2003, cioè meno dei pensionamenti dei prof delle superiori del solo 2003). Considerato che i posti per le immissioni in ruolo previsti dal Consiglio dei ministri saranno 15 mila (ancora da ripartire tra docenti e Ata), il turn over del biennio 2002-2003 resta ampiamente non coperto, con la conseguenza di lasciare privi di titolare più di 23 mila posti (solamente in parte cancellati dalle Finanziarie). Con questo ritmo di pensionamenti, al 1° settembre prossimo, quando verranno assunti i 15 mila previsti dall’ok del governo, vi saranno almeno altri 25 mila posti vacanti che, se pur dimezzati dai tagli previsti in finanziaria, determineranno un’ulteriore precarietà di assunti.


12. Sempre più difficile resistere fino a 65 anni nella scuola

Su 100 docenti che vanno in pensione, solamente 16 lo fanno per raggiunti limiti di età (65 anni): gli altri lasciano il servizio anzitempo per dimissioni o altre cause.
Resiste di più in servizio il personale ATA che va in pensione per raggiunti limiti di età in una misura più che doppia di quella degli insegnanti (35%).
Tra gli insegnanti resistono di più quelli dell’infanzia (31,5%) ed elementare (21%), mentre solamente il 12% dei prof resiste sulla cattedra fino alla vecchiaia.
È quanto emerge dai dati definitivi ( http://www.tuttoscuola.com/ts_news_128-1.doc
) raccolti dal Miur sul personale scolastico statale collocato in pensione dal settembre 2003.
A fronte della quantità ridotta di pensionamenti per vecchiaia (dovuti alla mancanza di "materia prima" per consistente uscita anticipata avvenuta negli anni scorsi) si registra ancora una volta un consistente numero di dimissioni (quasi 11 mila insegnanti), che rappresenta il 62% del totale pensionamenti.
Ci sono anche pensionamenti per altre cause (decadenza, decesso, passaggio ad altre amministrazioni, inidoneità) che quest’anno hanno raggiunto quasi 5.700 unità tra docenti e personale Ata.
Quasi la metà di queste altre cause sono dovute a inabilità fisica o inidoneità per motivi di salute (1.628 tra gli insegnanti e 879 tra il personal ATA).


 

 

 

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Postato il Lunedì, 01 dicembre 2003 ore 09:34:10 CET di Piera Privitera
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