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Riforma: LA BOZZA DI REGOLAMENTO PER L'ISTRUZIONE PROFESSIONALE: NOVITA' E PROBLEMI

Comunicati
La bozza di regolamento
 per l’Istruzione Professionale.
 Novità e problemi

di Antonio Valentino, ScuolaOggi 26.2.2009
 Consideriamo preliminarmente le scelte più significative della bozza di Regolamento per l’Istruzione Professionale che circola da qualche giorno e vediamo di coglierne le differenze rispetto agli Ordinamenti in vigore. Il nuovo impianto presenta una articolazione interna identica a quella degli altri sottosistemi del secondo ciclo (2+2+1). Si supera pertanto l’attuale struttura del 3+2. L’orario passa da 36 a 32 ore (fino a due anni fa l’orario era di 40 ore). L’esame di qualifica non conclude più il primo triennio. A questo proposito si afferma che “ai fini del rilascio delle qualifiche e dei diplomi professionali (…) inclusi nel repertorio nazionale (L. 40/2007)”, gli Istituti Professionali (IP) “possono svolgere (…) un ruolo integrativo e complementare rispetto al Sistema di Istruzione e Formazione Professionale (SIeFP) (D.L.vo. 226/2005)”. Tale ruolo possono svolgerlo “in regime di sussidiarietà e nel rispetto delle competenze esclusive delle Regioni in materia, sulla base di accordi tra MIUR e Regioni …”. Pare dunque di capire che gli Istituti di Istruzione Professionale, se c’è delega della Regione (detta più chiaramente: nelle Regioni in cui c’è delega perché non ancora attrezzate al riguardo), potranno continuare a rilasciare le qualifiche, utilizzando a questo scopo gli spazi di flessibilità previsti dal Regolamento. “Ruolo integrativo e complementare” degli IP, ai fini del rilascio delle qualifiche, può anche significare che chi ha frequentato il primo biennio ha la possibilità di uscire dal sistema di istruzione nazionale e inserirsi nel sistema di Istruzione e formazione regionale (all’ultimo anno dei corsi triennali, aboliti opportunamente da Fioroni come secondo canale e ricomparsi con la Gelmini).
 - Si prevede inoltre la possibilità, in termini piuttosto generici, di “concordare intese”, tra MIUR e Ministero di Economia e Finanza (MEF) e Regioni, per “nuovi modelli” di Istruzione Professionale (I.P.), ai fini della realizzazione dell’offerta coordinata tra percorsi di I.P. (Ex L. 40) [in capo allo stato] e percorsi di Istruzione e Formazione Professionale (DL.vo 226/2005) [in capo alle Regioni].
 - Scompare la Terza area, il segmento formativo introdotto dal Progetto ’92 per le classi del biennio terminale (qualcosa come più di 3500 ore sui due anni), finalizzata ad una formazione professionale in cui le imprese erano chiamate a dare un contributo fondamentale. Era previsto – ed ha funzionato inizialmente - un coordinamento della regione. La scomparsa non provocherà rimpianti. Dopo i primi entusiasmi, la terza area non ha soddisfatto le aspettative, essendo mancate le condizioni a contorno (disponibilità delle imprese, protagonismo delle scuole, Agenzia regionale a sostegno e anche le risorse, sempre più insufficienti)
 - Si prevede un’area di flessibilità più ampia degli altri sottosistemi. Si va dal 25% del primo Biennio al 35% del secondo Biennio, al 40% dell’ultimo anno.
 - Rispetto al modello attuale che prevede una pluralità di settori (sette) e un rilevante numero di indirizzi (32), il nuovo impianto prevede due soli settori (industria / artigianato e servizi) e sei indirizzi: uno di Produzioni industriali e artigianali, cinque di servizi (ambiti: agricoltura, manutenzione e assistenza tecnica, socio-sanitario, commerciale, per enogastronomia e ospitalità alberghiera). Il panorama appare fortemente semplificato. Le articolazioni degli attuali ordinamenti (le molteplici figure di operatori e di tecnici) sono destinate a trovare collocazione all’interno del sistema di formazione regionale. Ritengo questa operazione, centrale nelle scelte del Regolamento, importante e sostanzialmente positiva.
 - Impensierisce invece la mancanza, nei quadri orari allegati, delle ore di compresenza (che invece sono evidenziate nei quadri dell’Istruzione Tecnica (I.T.). Ci si augura si tratti di pura dimenticanza. Se non fosse così, sarebbe un disastro non solo per la questione sicurezza. Sarebbe un passo indietro di grosse proporzioni, solo che si consideri il tipo di studenti degli IP e i problemi del fare scuola. Ma di questo, nei punti seguenti.
 - Va valutato invece positivamente la scelta di incrementare in maniera consistente le attività di laboratorio nel secondo biennio e nell’ultimo anno. I quadri orari dell’ordinamento attuale sono infatti, al riguardo, molto deboli.
 - Sull’identità, il Regolamento assume a riferimento le esigenze formative dei settori produttivi individuati e dà come obiettivo prioritario quello di sostenere lo sviluppo delle professioni tecniche a livello terziario (specializzazioni richieste dal mondo del lavoro). Proviamo a ricercare l’elemento centrale di differenziazione tra IT e IP: se, a scopo puramente esemplificativo, si assume a riferimento, per gli IT, il “Settore tecnologico” e, per gli IP, l’”Industria e artigianato” e i “Servizi di manutenzione e assistenza tecnica”, penso che, sulla base dei Piani studi previsti, si possa dire – generalizzando con una buona dose di approssimazione - che i Tecnici privilegiano la progettazione, il controllo di processo e la commercializzazione; mentre i Professionali puntano sulla fabbricazione (per il primo settore), sull’installazione, il collaudo e la manutenzione (per il secondo).
 - Solo per l’indirizzo “Produzioni industriali e artigianali” si prevedono “articolazioni” in “Industria” e “Artigianato”.
 Per una serie di altri aspetti, si ripropongono le scelte fatte per gli IT: Dipartimenti, Comitato Tecnico Scientifico, Istituti Tecnici Superiori come riferimento per gli sbocchi dopo il quinquennio, Poli Tecnologici. A quest’ultimo proposito, credo andrebbero sottolineate di più le potenzialità che i Poli presentano; superare cioè l’evidente criticità del nuovo ordinamento costituita dalla struttura a canne d’organo: un vero e proprio ostacolo all’interazione tra i vari sottosistemi.
 Un impianto quindi con luci ed ombre su cui lavorare nei prossimi mesi.
 Su alcuni aspetti però andrebbe esercitata una particolare attenzione critica per arrivare a soluzioni migliorative o diverse. Ne richiamo i più importanti (almeno a parere di chi scrive).

 Punti di attenzione.
 1. Già si è detto del”ruolo integrativo e complementare” degli IP, rispetto al Sistema di Istruzione e Formazione Professionale (D.L.vo. 226/2005) (…)”, in materia di rilascio delle qualifiche. Questo comporterà situazioni molto diversificate a livello nazionale. Con Regioni non disponibili alla delega, perché dotate di un loro sistema già avviato (penso soprattutto alla Lombardia o all’Emilia Romagna), e altre nelle quali il ruolo integrativo e complementare si renderà necessario. E questo non depone certo a favore della unitarietà del sistema e della omogeneità dell’offerta formativa. I rischi di frammentazione e diseguaglianza del sistema si moltiplicheranno.
 2. Inoltre il ritorno alla scelta morattiana della canalizzazione precoce attraverso i corsi triennali, di fatto alternativi agli IP, e in posizione di vantaggio per via della qualifica, rafforza la percezione che possa essere vanificato l’obiettivo (non formale) dell’innalzamento dell’obbligo di istruzione a 16 anni, nei termini che verranno ripresi in seguito.
 3. C’è, inoltre, un’assenza che pesa su questo Regolamento: riguarda l’insieme di misure specifiche capaci di garantire condizioni di successo ad un settore che è diventato, nel corso degli anni, il luogo dove si raccolgono i ragazzi più svantaggiati, demotivati, meno scolarizzati. I nostri insegnanti degli IP operano in condizioni difficilissime con risultati che a volte sono miracolosi sotto il profilo sia dell’istruzione sia dell’educazione, ma che in molti casi non raggiungono gli standard previsti. Penso che è di qua che dobbiamo partire.
 Va ricordato anche che, se in questi anni i Professionali hanno retto di più rispetto ai Tecnici, in termini di iscrizioni, è perché gli stranieri che vi si iscrivono sono sempre più numerosi.
 Di fronte a queste situazioni di marginalizzazione diffusa e difficoltà oggettive di cui soffrono gli IP, la bozza del Regolamento tace.
 Quando il governo Prodi decise, già nella L. F. 2007, di de-liceallizare l’istruzione tecnica e professionale, ben consapevole del problema, parlò subito, pur con una qualche ambiguità, della possibilità di concordare, tra il MPI e le singole Regioni, “percorsi e progetti, che, fatta salva l’autonomia delle Istituzioni scolastiche, siano in grado di prevenire e contrastare la dispersione e di favorire il successo nell’assolvimento dell’obbligo di istruzione”. Penso che questa scelta andrebbe recuperata e ulteriormente esplicitata attraverso il richiamo a strategie didattiche non necessariamente improntate a modelli scolastici e alla messa in comune, tra i soggetti interessati, di risorse professionali ed umane capaci di concorrere a rendere più mirati ed efficaci percorsi, ambienti, personale, modelli orari, strumentazione didattica.
 Gli IP non più quindi luoghi di contese tra istituzioni, ma terreno di collaborazione e convergenze, pur nella distinzione di ruoli dei soggetti coinvolti.
 Il fatto di ignorare, nel Regolamento, il problema centrale di questo settore, è – mi pare - un segnale di cui preoccuparsi. C’è da sperare nel testo definitivo.

 La domanda
 La domanda conclusiva, a questo punto, è: su cosa si punta per rilanciare, dare “appeal” all’I.P.? (la domanda è in parte la stessa anche per gli IT).
 Non certo sul Comitato Tecnico Scientifico (CTS) o sui Dipartimenti o sull’Ufficio Tecnico (UT), che possono avere senso solo dentro una strategia più complessiva che ne finalizzi il recupero e il rilancio. Nessun rifiuto, ci mancherebbe. Chi li ha sperimentati o li sperimenta, pur nella varietà dei modelli, non può certo sottovalutarne l’utilità. Neanche però può farli apparire “opzioni strategiche”. Nessuno può poi credere al valore salvifico della proposta, piuttosto irrealistica in verità, di una “composizione paritetica di docenti e di esperti del mondo del lavoro, delle professioni e della ricerca scientifica e tecnologica”, per quanto “con funzioni consultive”.
 Forse neanche l’ampia quota di flessibilità, per quanto significativa, costituisce una leva su cui fare sicuro affidamento. Troppi sono gli interrogativi che solleva e troppo grandi le sfide che pone ad una scuola in gran parte sfiancata. Il “cosa” è certamente importante. A condizione però che ci si possa lavorare. Cioè che la scuola sia un luogo in cui si possa fare scuola; cioè ridiventi (cerchi e sappia ridiventare) un luogo di apprendimenti e di crescita.
 Se questa è l’ottica da privilegiare, diventa allora fondamentale investire piuttosto sulla centralità dei laboratori, su una concertato intreccio di teoria e pratica, in cui sia il “fare” il punto di attacco, su un diverso rapporto scuola - imprese, sul superamento di un’idea, prevalente e incontrastata nel paese, per cui la cultura è per antonomasia quella liceale. E, soprattutto, su una didattica laboratoriale. La quale richiede però, soprattutto nel primo biennio (e non solo), adeguate compresenze, assolutamente necessarie nelle attività di laboratorio.
 Il taglio previsto degli Insegnati Tecnico Pratici pone al riguardo seri interrogativi.

 Ancora sui Bienni dell’innalzamento dell’obbligo
 Concludo con un richiamo su cui non si insisterà mai abbastanza: se vogliamo che l’operazione in atto abbia un respiro più ampio del semplice riordino, pure necessario, occorre che negli IP (come anche negli altri ordini di scuola), diventi prioritario il recupero di una idea di scuola che metta al proprio centro le competenze di cittadinanza (a partire dal saper leggere /capire / comunicare / interrogare un testo un fenomeno, un prodotto) come strumenti di uguaglianza e di equità.
 Bisogna farsi persuasi che insistere su un primo biennio equivalenti non è operazione ideologica e idealistica, ma scelta culturale e politica strategica. Si tratta certo di adattarli alle singole situazioni, graduando livelli e modulando interventi. Fondamentale è comunque che l’obiettivo resti la padronanza delle Competenze di Cittadinanza. Senza questo primo “gradino”, anche il resto rischia di essere operazione inefficace sul fronte della crescita democratica di questo paese e molto in salita per la maggior parte degli studenti.
 Ma tale obiettivo interroga evidentemente le scuole medie. E questo è un altro nervo scoperto.








Postato il Venerdì, 27 febbraio 2009 ore 00:05:00 CET di Silvana La Porta
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