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Umanistiche: LA GELMINI DEVE ESSERE CHIAMATA ''MINISTRO'' O ''MINISTRA''?

Rassegna stampa
Vorrei sapere se la forma femminile di certe professioni, quali per esempio “ministra” o “avvocata”, è accettata nella lingua italiana. Mi pareva che certe professioni se femminilizzate assumessero un certo tono dispregiativo o ridicolizzante. Grazie.

Bisogna risalire a un momento importante del dibattito sulla cosiddetta “lingua sessuata”, che ha impegnato, specialmente dagli anni Settanta del Novecento in poi, studiosi, intellettuali, soprattutto sotto la spinta delle elaborazioni teoriche delle donne, in particolare di parte femminista. Il momento coincide con la formulazione delle Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana (1987) della studiosa Alma Sabatini. Nel saggio, Sabatini trasformava in suggerimenti linguistici le riflessioni frutto del più ampio studio Il sessismo nella lingua italiana (di cui le Raccomandazioni costituiscono il terzo capitolo), elaborato per la Presidenza del Consiglio dei ministri e per la Commissione per la Parità e le Pari opportunità tra uomo e donna. «Lo scopo di queste raccomandazioni - scriveva la Sabatini - è di suggerire alternative compatibili con il sistema della lingua per evitare alcune forme sessiste della lingua italiana, almeno quelle più suscettibili di cambiamento. Il fine minimo che ci si propone è di dare visibilità linguistica alle donne e pari valore linguistico a termini riferiti al sesso femminile».
La studiosa era perfettamente consapevole della implausibilità di imporre un, pur politicamente corretto, dirigistico intervento sulla lingua italiana. Nella lingua anche un singolo morfema, per dire, il suffisso -essa (col suo piegarsi a usi ironici o francamente spregiativi: vigilessa, medichessa, sindachessa) non è eliminabile d’imperio, poiché si porta dentro un carico secolare di sedimentati valori extra-linguistici, che, per quanto criticabili, tendono a far norma a partire dall’uso. Inoltre, rifletteva la Sabatini, «la maggior parte della gente è conservatrice e mostra diffidenza – se non paura – nei confronti dei cambiamenti linguistici, che la offendono perché disturbano le sue abitudini o sembrano una violenza "contro natura"». Concludeva il ragionamento la studiosa: «Toccare la lingua è come toccare la persona stessa». Dietro il meritorio lavoro svolto dalla Sabatini premeva però una realtà in mutamento, un mondo di valori se non in crisi, quanto meno in subbuglio, nel quale si cominciava a percepire con chiarezza, per esempio, che i suffissi in -essa e in -trice avevano sempre indicato le poche attività svolte dalle donne con il benevolo e spesso ipocrita benestare degli uomini: dottoressa, professoressa, badessa, studentessa, poetessa; levatrice, ricamatrice, pittrice, scrittrice.
 
Nel mondo anglosassone, a partire dagli Stati Uniti negli anni Settanta del secolo scorso, le iniziative per contrastare il sessismo nella lingua hanno comportato sia interventi istituzionali, sia un'attenzione massiccia, nei luoghi tradizionali di diffusione di cultura e informazione (case editrici, redazioni di giornali, associazioni culturali, organismi religiosi, istituzioni giuridiche), verso l'uso di certe forme criticabili e la predilezione per nuove altre non discriminatorie. In Italia ci si è mossi con ritardo, perché i mutamenti economico-sociali e la consapevolezza culturale sono maturati con più lentezza. Ma oggi ingegnere, avvocato, chirurgo, assessore, sindaco, ministro, questore, deputato, vigile, arbitro, medico non bastano più a designare referenti che sono sia di sesso maschile (secondo tradizione), sia – sempre di più – di sesso femminile.
Perciò le Raccomandazioni della Sabatini hanno effettivamente costituito una buona base di riflessione e un'utile indicazione operativa. Sempre più nei media si usano forme e vocaboli considerati meno o non sessisti e sempre più spesso capita che istituzioni pubbliche adottino o caldeggino l’adozione di vere e proprie guidelines (linee guida), se non propriamente di codici, di comportamento linguistico rinnovato. Certo, il processo non è lineare. Né è prevedibile quanto del nuovo si sedimenterà nel vocabolario attivo, oltre che passivo, della comunità dei parlanti, fino a grammaticalizzarsi e lessicalizzarsi in modo stabile.
 
In buona sostanza, rispondiamo alla signora Guasco che l'uso di ministra e di avvocata possono essere interpretati come una testimonianza dell'espandersi della nuova sensibilità ideologico-linguistica, esprimendo, tra l’altro, la corretta “normalità” della flessione al femminile in -a, rispetto a un sostantivo maschile di mestiere o professione in -o (chi si scandalizza di impiegata rispetto a impiegato, postina rispetto a postino?). Il problema sta nell’adattarsi rapidamente all’idea che il mestiere designato sia normalmente appannaggio di una donna... Che sia un fatto normale, cioè, che una donna sia ministra o avvocata, al pari del collega uomo ministro o avvocato.
 
Certo non è la preferenza del singolo a decidere per conto del sistema, ma se le preferenze singole fanno massa, ecco che il neologismo o la forma alternativa rispetto a quella tradizionale da opzione privata tendono a proporsi come nuovo elemento di norma, fino a poter essere inclusi nei dizionari di lingua e accolti nelle grammatiche. In ogni caso, i dizionari della lingua italiana dell’uso da qualche anno danno conto, in genere senza alcun atteggiamento censorio, di questa nuova attenzione verso la lingua “sessuata”.








Postato il Giovedì, 19 febbraio 2009 ore 00:05:00 CET di Silvana La Porta
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