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Umanistiche: "Celeste Aida. Una storia siciliana" di Marinella Fiume

Rassegna stampa

Il romanzo ricostruisce la torbida vicenda familiare da cui scaturì l'esecuzione capitale attraverso i cunti dei cantastorie, fonti orali e giornalistiche, atti giudiziari, che consentono di mettere a fuoco il contesto del dramma: il "disordine" della famiglia contadina siciliana e la politica familiare del fascismo. Squisitamente letterari sono, invece, l'impianto narrativo e il linguaggio: la storia di una bambina, segnata dalla diversità già nel nome e travolta dall'assurda banalità del male, comunica una profonda impressione anche per l'efficacia e la profondità con cui sono tratteggiati i personaggi che balzano vivi dalle pagine, uscendo dal coro che commenta ai margini.

Riceviamo, con grande soddisfazione questo splendido (e richiesto) contributo, da Marinella Fiume, :

La difficile arte del narrare
Appare in crescente aumento, negli ultimi decenni, la scrittura fatta da donne e che parla di donne. Ma esiste uno specifico letterario femminile all’interno dello statuto della letteratura? Si può parlare di letteratura femminile o la classificazione è un’operazione riduttiva che può dar luogo a forme di confinamento e di emarginazione? E poi, come scrivono le donne appartenenti a culture diverse dalla nostra? Ci sono elementi comuni per aree geografiche?
La risposta a queste questioni ci porterebbe lontano. Possiamo solo tentare qui di definire un ambito della "letteratura femminile" che comprenda non solo scritture che ruotano intorno alle tematiche della condizione femminile, ma anche quelle che, pur parlando d’altro, rivelino i segni della "differenza". Così, come non parleremo di "letteratura femminile", ma di "scritture di donne", non parleremo di "letteratura mediterranea", ma di "scritture di donne in area mediterranea", per esprimere la molteplicità e la diversità dei modi di scrivere delle donne, che possono trovare un elemento unificatore, non tanto o non più nell’appartenenza di genere, quanto nel modo di concettualizzare e vivere la pratica della scrittura a partire dalla consapevolezza di sé in quanto donna, capovolgendo nozioni di un linguaggio neutro, che in realtà assolutizza, secondo relazioni asimmetriche per sesso, razza e cultura, l’esperienza di pochi individui, basata su relazioni di dominio. La differenza del "punto di vista" delle scrittrici ha finito per innovare lo statuto, perché per le donne "il bisogno di scrivere in modo nuovo segue un nuovo modo di essere nel mondo" (Christa Wolf).
In un contesto "mediterraneo", acquista particolare complessità il discorso relativo alla condizione delle donne, assimilabili ad altre categorie di colonizzati.
La donna colta, la scrittrice in Tunisia, in Algeria come in altri paesi arabi, rimane oggetto di critiche, di discriminazioni e di violenze. Una forte valenza politica acquista in questi paesi la scrittura delle donne, in un contesto storico in cui loro patrimonio tradizionale è stata la trasmissione orale delle conoscenze. Anche per queste scrittrici, tuttavia, le soggettività escono fuori dall’intreccio classe, genere, razza, etnia, mentre ne portano tutti i segni. È il caso di Assia Djebar, prima scrittrice algerina che ha scelto come tema delle proprie opere i problemi delle donne nei paesi islamici, facendone oggetto di romanzi già a partire dal 1957 ("La sete"); e prima donna regista algerina (il film "La Nouba" è premio della Critica internazionale al Festival del Cinema di Venezia del 1979).
Tradotto in italiano e in diverse altre lingue, il romanzo "Donne di Algeri nei loro appartamenti" ha consacrato la sua notorietà e insieme stimolato la curiosità di conoscere un universo prima sconosciuto al grande pubblico, quello delle donne maghrebine, sepolte in casa e detentrici della sfera del privato e della parola orale, escluse dalla scrittura e delegate a celebrare le gesta dei fratelli, dei padri, dei figli, dei mariti morti. Sin dagli inizi dell’Islam, le donne sono state progressivamente espulse dalla scrittura intesa come potere e questo ha comportato la loro assenza come individui, la loro mancanza di diritti civili e politici. La stessa Algeria ha taciuto con il silenzio dei suoi intellettuali ammazzati, come scrive nell’ultimo racconto "Bianco d’Algeria". D’altra parte, le numerose donne del Maghreb che scrivono usano il francese, ossia una scrittura che viene da altrove, mentre lo stesso romanzo, nel mondo arabo, è un genere letterario importato dall’occidente e sviluppatosi in francese. Nel romanzo "L’amour, la fantasia" (Paris, Lattes, 1985), l’A. si sofferma a riflettere sul significato dello scrivere in francese per una donna araba, mentre l’espressione della soggettività resta ancora proibita e la trasgressione è un attentato al codice dell’onore dei padri e dei fratelli.
Ma la soggettività non può esprimersi in una lingua straniera, per cui il romanzo è la storia del fallimento dell’autobiografia e la ricerca nella "storia degli antenati" del permesso ad esprimersi. Come afferma anche nell’intervista resa a Renate Siebert, "Andare ancora al cuore delle ferite", scrivere nella lingua "straniera", abbandonando l’orale del berbero delle montagne di Dahra e dell’arabo delle città, riporta la scrittrice alla ribellione delle donne della sua infanzia, perché scrivere non uccide la voce, ma la risveglia, per risuscitare tante sorelle scomparse. Da qui anche l’idealizzazione di certi luoghi femminili come l’harem, visto non come spazio d’esclusione e di segregazione, ma come luogo privilegiato della comunicazione tra donne. L’autrice sembra propendere per uno specifico "femminismo" d’ambito arabo-musulmano. L’eroismo delle donne immolate nel rogo della torturata Algeria d’oggi, insieme con i martiri della rivoluzione ispirano anche l’ultima raccolta, "Nel cuore della notte algerina".
Tra le scrittrici egiziane che continuano a battersi contro l’integralismo, ricordiamo Latifa al-Zayyat, intellettuale di sinistra, politicamente impegnata nel movimento studentesco e nazionalista, più volte in carcere, che scrive "Carte private di una femminista", la testimonianza raccontata da una donna in terza persona, come se volesse prendere le distanze da sé per osservarsi meglio.
Tra le scrittrici greche che si riferiscono spesso più o meno esplicitamente alla dittatura dei colonnelli ed a problematiche sociopolitiche, ricordiamo le autrici di racconti pubblicati dalla Casa editrice E/O, come Maro Douka o Alki Zei, che hanno partecipato attivamente al movimento di opposizione, subendo il carcere o l’espatrio.
L’interesse suscitato in Europa da queste scrittrici è testimoniato anche dai premi letterari: il Premio Moravia per la letteratura straniera è stato assegnato a due donne che vivono in Palestina su due opposti fronti: Sahar Khalifah, femminista palestinese, autrice di romanzi tra cui "Il fico d’India", "Il Girasole", "La svergognata", e Ida Fink, israeliana di origine polacca che, avendo peregrinato molti anni ed essendo vissuta clandestinamente in Germania durante la guerra, approdata in Israele, comincia a scrivere, rielaborando le esperienze dell’olocausto.
Ci immettiamo ora nella problematica dei rapporti tra razza, sesso, mercato culturale che sarebbe lungo trattare e per la quale rimandiamo al bel libro di Bell Hooks, "Elogio del margine" con prefazione e cura di Maria Nadotti (Feltrinelli).
È significativo che il seminario internazionale tenutosi a Palermo nel 1988, che ha visto la partecipazione di italiane, maghrebine, egiziane, americane, tedesche, spagnole, sia stato organizzato da Arcidonna e gli atti pubblicati (a cura di D. Corona) dalla casa editrice palermitana di donne "La Luna". La stessa casa editrice che pubblicava (a cura di G. Fiume) gli atti di un seminario internazionale tenutosi ancora a Palermo l’anno prima su "Onore e storia nelle società mediterranee", che raccoglieva il contributo di studiosi europei, americani e dell’area maghrebina su un concetto che consente agli studiosi di Scienze Sociali di affermare un’ipotetica unità culturale dei paesi dell’area mediterranea. La risposta degli studiosi più avvertiti è che, per ovviare ai rischi che la "mediterraneità" sia un inventario di luoghi di "fossili sociali", è preferibile parlare di "società mediterranee".
E penso all’altro convegno tenutosi ancora a Palermo, ai cantieri della Zisa, e recensito da Clelia Lombardo sulle pagine del palermitano "MezzoCielo", mensile di politica culturale e ambientale pensato e realizzato da donne, con il titolo "Narrare per convivere", sul confronto tra narrazioni, lingue e culture diverse che convivono nelle nostre città. La narrazione è il genere forse più frequentato dalle donne perché, attraverso il racconto, alcuni eventi non solo non vengono dimenticati, ma riprendono corpo e forza, facendosi "resistenza" ad ogni forma di dominio. Narrare è identità, scandaglio della propria esistenza, in relazione ad altre esistenze, ascolto degli altri, quelli che vivono tra noi ma che vengono da altri paesi: "la difficile arte del narrare, allora, aiuta la difficile arte del convivere".
La Sicilia, "fegato" del Mediterraneo, è inesauribile fonte di vitalità esistenziale e letteraria di una nouvelle vague di scrittrici, che hanno una sorte migliore della conterranea Maria Messina (1887-1944), la quale trovò non poche difficoltà ad affermarsi, mentre bisogna attendere la ristampa negli anni ‘80 di alcune sue opere da parte della Casa editrice palermitana di Elvira Sellerio, per rompere il silenzio che tanti anni gravò su di lei. La sua opera oscilla tra la volontà di denunciare i meccanismi sociali di oppressione della donna e la contraddittoria accettazione acritica di modelli tradizionali interiorizzati, dalla divisione dei ruoli, all’assetto sociale classista.
Si volta pagina con Maria Occhipinti (Ragusa 1921 - Roma 1996), che è già una donna e una scrittrice del nostro tempo. Rappresenta la generazione delle ragazze siciliane che vanno a scuola fino alla terza elementare per andare poi ad imparare il mestiere presso una sarta; si sposa a 17 anni, quando il marito viene richiamato alle armi, riprende a studiare da autodidatta. Con grande scandalo dell’ambiente che la circonda, si iscrive alla Camera del Lavoro ma, contro le direttive del Partito Comunista in Sicilia, organizza la rivolta contro il richiamo alle armi deciso dal governo Bonomi. Confinata ad Ustica dove nasce sua figlia, viene poi trasferita nel carcere di Palermo. Tornata a Ragusa, si accorge che il divario con il marito e gli ex compagni di lotta è ormai insanabile, per cui lascia la sua città girovagando per il mondo. Infine si stabilisce a Roma senza dimenticare la Sicilia, si impegna nelle lotte contro la base missilistica a Comiso. Autrice di racconti brevi ("Il carrubo"), è più nota per il suo libro autobiografico "Una donna di Ragusa".
La milanese "La tartaruga" stampa l’esordiente catanese d’adozione Silvana La Spina ("Morte a Palermo", 1987; "Scirocco", 1992; infine "Penelope", 1998) che approda alla Bompiani ("Ultimo treno per Catania", 1992; "Quando Marte è in Capricorno", 1994) e alla Mondadori ("Inganno dei sensi malizioso", 1995 e "L’amante del paradiso", 1997). Si tratta di scrittrici che spesso vengono da studi classici e filologici e in ambito critico si occupano del rapporto tra mito e scrittura. Così, la La Spina analizza tra i miti di una terra "ammorbata dalla presenza di madri luttuose e terribili", il conflitto madre-figlia espresso nel mitico rapporto Demetra-Proserpina e vede nell’atteggiamento della figlia il conflitto con la tradizione, un tradimento che le costerà la colpa, il dolore, e la scrittura vissuta come giustificazione dell’esistenza. Rivisita personaggi femminili del mondo classico, come quello di Penelope consacrata dal mito come la paziente tessitrice, la sposa fedele del "rabbioso" Ulisse, colta nell’atteggiamento di raccontare la parte in ombra della propria vita: la violenza subita dal padre Icaro, la gelosia del figlio Telemaco, l’amore per un altro, il suo punto di vista, rovesciato rispetto a quello dei classici, sulla guerra di Troia, sul ritorno di Ulisse e la strage dei pretendenti, nello sforzo di liberarsi dell’ingombrante ombra del marito per incarnare la femminilità umiliata di ogni tempo.
Proviene dagli stessi studi anche Silvana Grasso, che esordisce con i racconti "Nebbie di Ddraunara" (La Tartaruga, 1993), cui Seguono i romanzi "Il bastardo di Mautana" (Anabasi, 1994), "Ninna nanna del lupo" (Einaudi, 1995), "L’albero di Giuda" (Einaudi, 1997), nei quali si inventa un codice linguistico originale che è un impasto del dialetto delle madri siciliane ma anche un rovesciamento, perché le parole delle madri sono le parole del pregiudizio, del dominio maschile e dell’esclusione femminile, e inchiodano le figlie ad un ruolo meramente riproduttivo, È necessario alle figlie un "viaggio all’inferno", mettere l’oceano tra loro e le madri, per tornare ad usare il dialetto degli avi, finalmente riconosciuto come proprio.
Gli interrogativi iniziali non possono, dunque, essere disciolti se ci poniamo un intento classificatorio, proprio per la complessità di queste scritture all’interno del singolo Paese e nei Paesi della vasta area geografica. Anzi, proprio dall’impossibilità di riassumere e sintetizzare questa letteratura, da questa "ambiguità" in più, dal suo costituirsi non come spazio di sintesi ma di moltiplicazione della parola, deriva il fascino della sua "diversità".
Marinella Fiume,èstata  Sindaco di Fiumefreddo (CT). Dottore di Ricerca in Letteratura Italiana, docente di Materie letterarie nei Licei. Autrice tra l’altro di "Vita di Orazia contadina e guaritrice", Palermo, 1988.L' angelo di Botero,  ,Sibilla Arcana, Mariannina Coffa (1841-1878) Il vecchio del fiume freddo e moltre altre  pubblicazioni.








Postato il Domenica, 01 febbraio 2009 ore 16:16:50 CET di Maria Allo
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