Gli atti meccanici di inquietante crudeltà, eseguiti da mostri ordinari, dagli sguardi spenti e privi di genio acquisiscono, su quella sedia al banco degli imputati, il giusto peso, la loro reale portata, poiché nuovamente dotati di pensiero e coscienza della colpa. E’ questa l’idea forte che sottende alla filosofia politica del libro della pensatrice e giornalista Hanna Arendt, intellettuale tedesca, ebrea di origine che sperimentò in prima persona lo strazio dell’emarginazione intellettuale del suo popolo, la decadenza culturale dovuta alle leggi razziali, l’emigrazione e il campo di concentramento. Abbandonate la “tribù malinconica dei filosofi”, l’Università e
Al bivio tra pensiero contemplativo e prassi non esitò dunque ad imboccare quest’ultima, anche se questo significò infrangere il conformismo di una vita inautentica e additare pericolosamente il male assoluto nelle sue radici: i totalitarismi. Nelle sue più famose opere, Le origini del totalitarismo, La banalità del male e Vita Activa. La condizione umana, Hanna Arendt osserva l’uomo a partire dai suo atti storici più atroci, e lo incoraggia ad una riabilitazione, possibile attraverso il pieno recupero del proprio strumento razionale. Le azioni criminali del nazismo sono spogliate dall’aura di eccezionalità, e diventano, nel contesto di un sistema che schiaccia l’individuo e lo dispone all’accettazione dell’orrore, il rischio in agguato in ogni mente mediocre incapace di sottrarsi, con la disobbedienza civile, alle leggi.
La vita della mente, sua ultima opera pubblicata postuma, è secondo le sue stesse parole “un trattato del buon governo mentale”. Le teorie dell’Arendt sciolgono, attraverso la biografia e le lucide analisi della realtà storica del Novecento, il paradosso della reggenza dei filosofi presente nell’utopia politica di Platone: nella realizzata follia del totalitarismo, saggezza e senso critico si rendono indispensabili per chi conduce lo Stato: un’azione di guida che, attraverso la ribalta delle soggettività e una cittadinanza priva di delega,
Irene Giuffrida