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Umanistiche: L'epistolario segreto: Susette Gontard - Friedrich Hoelderlin di Giuseppe Dolei

Rassegna stampa
L’epistolario segreto Susette Gontard-Friedrich Hölderlin
Il 28 dicembre 1795 Friedrich Hölderlin mette piede a Francoforte e si trova dinanzi a un mondo del tutto nuovo. Il poeta, che non conta ancora ventisei anni, ha alle spalle una vita tutt’altro che sedentaria. Dalla natia Lauffen alla più grande città di Nürtingen nella prima infanzia, quindi la scuola elementare e il ginnasio nei collegi(Klosterschulen) di Denkendorf e Maulbronn. Seguono gli anni universitari nello Stift di Tübingen(1788-1793) e infine l’attività di precettore a Waltershausen e il tentativo di trovare stabile occupazione a Jena(1794-95). Si tratta però di ambienti sempre molto piccoli, anche se hanno procurato al giovane, incerto del suo destino, la conoscenza e l’amicizia di spiriti magni quali Schiller, Goethe e Fichte, conosciuti a Jena; Hegel e Schelling, compagni di collegio a Tübingen.
Ma Francoforte è una realtà diversa. Non più l’idillio dell’amato paesaggio svevo, ma il ritmo pulsante di una grande città moderna, ricca di banche e di commerci. Hölderlin vi arriva in possesso di una solida e profonda cultura classica. Ha superato l’alternativa filosofia/poesia in favore di quest’ultima. Di Fichte, conosciuto e ammirato a Jena, respinge l’idealismo assoluto, ne fiuta il dommatismo nella sua teoria dell’io assoluto: <<Il suo Io assoluto>>, scrive a Hegel il 26 gennaio 1795,<< contiene tutta la realtà(…). Non c’è dunque un oggetto per questo Io assoluto, perché in tal caso tutta la realtà non sarebbe contenuta in lui; ma una coscienza senza oggetto non è pensabile(…) Dunque l’Io assoluto è per me nulla>>(1).Hölderlin non nega invece l’esistenza dell’oggetto, del non-io, come delle contrapposizioni che ne derivano. Tocca all’arte di superarle mediante una visione intellettuale(Intellectuale Anschauung).
Il giovane Hölderlin ha superato anche l’antico conflitto col pietismo, religione che ha assorbito col latte materno e nella quale è stato educato da bambino fino all’istruzione universitaria. Pur riconoscendone i limiti, pur avendone patito sulla pelle il rigore eccessivo nei vari collegi frequentati, Hölderlin non ripudia la religione pietistica. Ne accoglie l’impulso all’amore universale e il culto dell’amicizia, per lui sacra sino alla fine. Nella Rivelazione il giovane poeta finisce anzi per individuare l’oggetto più arduo della conoscenza umana. Il senso estetico da lui propugnato, che riprende e amplia il concetto greco di aistesis, dev’essere in grado di eliminare <<il conflitto tra soggetto e oggetto, tra il nostro io e il mondo, e persino tra ragione e rivelazione>>(2). Non è questa solo un’affermazione teorica, giacché all’epoca Hölderlin ha al suo attivo, a tacere del romanzo Iperione, liriche di respiro universale come l’ Inno alla dea dell’armonia(3), che affidano alla poesia il compito di sanare tutti i conflitti dell’umanità, di abbattere i contrasti, tirannide inclusa, e rendere felici gli uomini nel segno dell’armonia e dell’amore.
Ma c’è un nodo irrisolto nella vita di Hölderlin, che rende più difficile la via alla poesia, più arduo il suo sforzo di trovare un nuovo linguaggio capace di fare della poesia la maestra dell’umanità, ritrovando l’altezza della lirica greca, di un Pindaro o di un Omero. Come una spada di Damocle, pende sulla sua testa la professione diparroco, cui lo incita la madre e lo abilitano i suoi studi. Per evitare questa calamità, per sfuggire alla galera della teologia, Hölderlin si sobbarca all’ingrato mestiere del precettore. Ha già subìto delusioni dal suo servizio nel castello di Waltershausen, presso Charlotte von Kalb, dove inutilmente cerca di educare il suo indocile e riottoso rampollo. E ora, dietro la segnalazione di un amico, si presenta alla famiglia Gontard, per educarne il figlio maggiore, che ha otto anni.
I Gontard sono ricchi banchieri e commercianti di stoffe, oriundi di Grenoble e residenti a Francoforte ormai da quattro generazioni. Il padrone di casa, Jacob Friedrich Gontard, chiamato Cobus, non fa mistero della sua vera vocazione. “Gli affari prima di tutto”, è la sua massima preferita. Ma la moglie Susette è di pasta diversa. Bella nel fisico e nell’anima, non ama la vita di società e cerca di fuggirne per dedicarsi alla cura dei quattro bambini e al pianoforte. Hölderlin, dal canto suo, era all’epoca un bel giovane che curava straordinariamente l’aspetto fisico. Talché di lui un compagno dello Stift di Tübingen poteva dire che, quando si alzava e tornava al tavolo, era come se Apollo avesse attraversato la sala. E, oltre le apparenze, la sostanza. Il nuovo precettore è un poeta, suona bene il pianoforte e benissimo il flauto. Egli possiede delle doti del tutto estranee al marito di Susette e porta in casa Gontard una nuova dimensione della vita. Perciò viene subito accolto con straordinario entusiasmo da grandi e piccini.
Tutto sembra favorire la rapida nascita di un idillio tra la padrona di casa e il neo arrivato precettore, e la sua altrettanto rapida trasformazione in passione amorosa. Hölderlin, sensibile all’amore di cui ha però avuto esperienze mediocri, s’infiamma al cospetto di colei che non esita a battezzare “Diotima”, la sacerdotessa greca maestra dell’amore per Socrate e protagonista del romanzo Iperione. Cinque mesi dopo essere arrivato in casa Gontard, il poeta non riesce più a tenere per sé il suo entusiasmo e scrive all’amico Neuffer: <<Caro amico! C’è un essere al mondo, accanto al quale il mio spirito può indugiare e indugerà mille anni, e tuttavia continuerà a vedere quanto ogni nostro pensare e capire risultino degli scolari di fronte alla natura. Grazia e nobiltà, e quiete e vita, e spirito e carattere e statura sono una beata unità in questo essere>>(SWB, II, p.624).
Hölderlin non si sbagliava e non era solo in preda all’entusiasmo dei primi incontri quando scriveva ancora a Neuffer: <<Davvero è spesso impossibile pensare a qualcosa di mortale in sua presenza e proprio perciò si può dire tanto poco di lei>>. L’amore viene ricambiato da Susette e sembra all’inizio essere favorito anche dalla sorte. Il marito Cobus è spesso in viaggio per affari e d’estate, quando la famiglia si trasferisce in campagna in villeggiatura, egli resta resta in città e raggiunge i familiari solo a fine settimana. I due innamorati hanno perciò l’agio di frequentarsi e di restare soli per molte ore del giorno. Qualche anno dopo la fine della relazione, Hölderlin scrive all’amata rievocando il contrassegno di quella felicità, la gioia di essere soli e innamorati: <<Ti ricordi di quelle ore spensierate in cui noi, e noi soli, eravamo uno accanto all’altra? E’ stato un trionfo! Entrambi così liberi e fieri e fiorenti e splendidi nell’animo, nel cuore, negli occhi e nel volto, ed entrambi in celestiale pace uno accanto all’altra!>>(Lettera di fine giugno 1799, SWB, II, p.799).
Quello che rende questo amore eterno fin dall’inizio è la consapevolezza che entrambi i protagonisti hanno di vivere un’esperienza terrena che è l’incarnazione di una legge divina. Susette-Diotima è per Hölderlin il corrispettivo in amore di quello che cercava nella poesia: la sintesi tra soggetto e oggetto, tra io e natura. In una delle tante liriche a lei dedicate e intitolate il poeta fa esplicito riferimento alla forza inarrestabile di questa unione, in quanto incarnazione dell’Uno-Tutto(eis kai pan):
Sì, dove nessuna forza della natura sulla terra,
nessun cenno di Dio ci separa,
dove noi diventiamo l’Uno e il Tutto,
è proprio questo il mio elemento(4).
Nella realtà la relazione durò poco più di due anni e finì con una violenta scenata(25 settembre 1798), in occasione della quale Susette perse il controllo della situazione e, forse per nascondere il suo vero sentimento alla presenza del marito, ordinò al precettore di andarsene via immediatamente. Reazione impulsiva, di cui Susette si pentì subito dopo, perché comportò non soltanto il subitaneo licenziamento di Hölderlin, ma anche l’impossibilità che egli continuasse a fare visita alla famiglia: <<Quante altre cose avremmo potuto organizzare ancora per il nostro futuro! Se solo il nostro congedo non avesse assunto codesto tono dell’inimicizia, nessuno avrebbe potuto impedirti l’accesso alla nostra casa>>(5).
In seguito all’incidente, invece, i due sono costretti a scriversi e a vedersi di nascosto. Ma, a prescindere dall’imprevista lite finale, c’è da chiedersi che cosa avesse causato il deteriorarsi della situazione in casa Gontard. Non abbiamo molti particolari, ma le ragioni della crisi sono intuibili dagli accenni epistolari di Hölderlin. Già il 10 luglio 1797 egli invia all’amico Neuffer un grido d’allarme sulle sue sofferenze, senza specificarne le ragioni: <<O mio amico! Io taccio e taccio, e così si accumula su di me un peso che alla fine dovrà quasi schiacciarmi, o quanto meno oscurarmi i sensi in modo irresistibile(….)Sono lacerato tra l’odio e l’amore>>(SWB, II, pp.657-58).
Qualche mese più tardi leggiamo allusioni più concrete in una lettera alla madre, che il poeta si fa scrupolo di tenere al corrente sul suo lavoro, dato che ella amministra il patrimonio ereditario di Friedriche non si stanca mai di raccomandargli la più sicura attività di pastore. Alla madre Hölderlin comunica dunque di andare incontro, nella sua attività di precettore, a “collisioni” nocive al suo temperamento e alle sue forze. Se potesse, egli seguirebbe l’esempio dell’amico Neuffer e darebbe lezioni private a diversi allievi in una grande città, in modo da guadagnare più tempo per le sue occupazioni letterarie. Ciò gli consentirebbe <<di lasciare una situazione in cui si formano sempre due partiti, uno in mio favore e l’altro a me contrario, dei quali il primo mi rende quasi insolente e l’altro molto spesso mi avvilisce, rendendomi tetro e talvolta amaro>>(6).
Quanto al primo partito, non ci sono dubbi. Stanno dalla parte del precettore Susette, di cui ovviamente Hölderlin non parla alla madre, come pure i bambini, soprattutto Henry, il suo piccolo e inconsolabile discepolo, che va a cercarlo in casa di Hegel e lo implora di tornare, ignaro degli eventi(7).
Il secondo partito, quello avverso e deprimente, non è purtroppo rappresentato solo dal banchiere(e marito di Susette)Jacob Friedrich Gontard, ma da tutto l’ambiente commerciale di Francoforte, che esibisce un modello di vita antipodico a quello hölderliniano. Alla sorella egli scrive divertito di ritenerla fortunata perché vive in una società dove non ci sono molti nobili e molti ricchi, per cui vi si trova gioia, pace e cordialità, mentre a Francoforte <<a prescindere da pochi uomini autentici, tu non vedi che mostruose caricature. Alla maggior parte di loro la ricchezza fa l’effetto del vino nuovo sui contadini; sono proprio altrettanto insulsi, falsi, rozzi e arroganti>>(8). Hölderlin farebbe volentieri a meno della loro presenza, ma non può sottrarsi alla vita di società, che pure detesta ancora più di Susette. Nella lettera alla madre, appena citata, egli rappresenta efficacemente il suo disagio: <<Forse ci sarà anche un po’ di pace nella nostra casa; per tutto l’anno abbiamo avuto quasi sempre visite, feste e dio sa quant’altro, laddove la mia pochezza ha sempre la peggio, visto che specialmente a Francoforte il precettore è sempre la quinta ruota del carro. E tuttavia egli dev’essere presente per ragioni di prestigio sociale>>. E quando il servizio in casa Gontard finisce, la “carissima madre”, come sempre Hölderlin la chiama nelle sue lettere dandole del “Lei”, viene informata con molta precisione sullo stato della questione. Il poeta capisce che l’instabile situazione politica, con l’assedio di Francoforte da parte delle truppe francesi, rende ancora più intrattabili i ricchi commercianti locali, che tendono a scaricare il loro malessere su chiunque dipenda da loro. E’ fatale dunque che la situazione diventi insostenibile per l’orgoglioso precettore. Il lavoro in casa Gontard lo gratifica grazie all’amore che gli portano i bambini e al progresso della loro educazione, ma <<l’incivile superbia, il consapevole spregio quotidiano di ogni scienza e cultura, le affermazioni secondo le quali i precettori sono anche degli impiegati e non possono pretendere nulla di speciale, in quanto sono pagati per quello che fanno, e altre cose del genere che mi venivano scagliate contro, perché questo è il tono di Francoforte, mi hanno mortificato sempre di più, per quanto cercassi di passarci sopra>>(9).
A ciò si aggiunge l’amore, qui inconfessato, per Susette, che induce il poeta a ingoiare molti bocconi amari per riguardo all’amata, al suo animo sensibile e alla sua non florida salute. In una delle tre lettere segrete a lei indirizzate Hölderlin non può fare a meno di sfogarsi: <<Che cosa è meglio, dimmelo, che noi facciamo silenzio o che parliamo di ciò che è nei nostri cuori? Sempre ho recitato la parte del vile per risparmiare te –ho sempre fatto come se potessi adattarmi a tutto, e fossi nato proprio per diventare lo zimbello degli uomini e delle circostanze e non avessi in me un cuore saldo che batte libero e fedele, o vita mia, col diritto di avere il suo bene supremo! Ho spesso negato a me stesso l’amore più caro, talvolta persino i pensieri che mi portavano a te, pur di vivere nella maniera più dolce possibile questo destino, per riguardo a te>>(10).
Come per tacito accordo, i due infelici innamorati adottano la stessa strategia per rendere il distacco meno doloroso: negare l’uno all’altra la perdita subìta in tutta la sua portata esistenziale. Purtroppo le lettere di Hölderlin a Susette sono andate perdute, tranne tre, che forse sono soltanto abbozzi. Ma di Susette ci rimangono diciassette lettere, che vanno dal settembre 1798 al maggio 1800. In questo lasso di tempo, meno di due anni, si avvia a tragico epilogo una delle storie d’amore più alte che la letteratura moderna conosca. Non c’è dubbio. Senza l’epistolario di Susette Gontard, questa storia sarebbe rimasta nell’ombra, nota solo attraverso le suggestioni e le sollecitazioni esercitate sull’opera di un grande poeta. Ma a tutto Susette ha rinunciato tranne che all’eternità del suo amore. Nella prima lettera spedita a Hölderlin dopo il distacco ella esprime con forza il suo desiderio al riguardo: <<Deve in futuro questo amore caro e puro dissolversi e svanire come il fumo, senza lasciare da nessuna parte una traccia duratura? Ecco perché mi è venuto il desiderio di innalzargli, anche con le parole scritte, un monumento che resti indelebile e che il tempo lasci immutato>>(11).
Si tratta di un sentimento che si è trasformato già in fede, la quale soltanto può darle la forza di ricorrere alle parole scritte, nonostante ella per prima sia consapevole della difficoltà dell’argomento da analizzare con la parola. Al pari del suo amato Hölderlin, Diotima sa che la vita dell’anima infiammata dall’amore tocca spesso una dimensione inesprimibile, per la quale non bastano le parole. Sentiamo la sua stessa confessione: <<Ecco che ti ho dovuto scrivere molte parole e ti avrei detto volentieri tante cose, ma non riesco ad esprimere la cosa giusta, essa resta sepolta in fondo al mio animo, solo lacrime di mestizia la possono dire e alleviare. Lo vedi bene che non riesco a trovare le parole!>>(ivi, p.703).
Ci sono cose certe e semplici, che Diotima non ha difficoltà ad esprimere. Tra queste, il senso di vuoto che è calato sulla sua vita da quando Hölderlin ha lasciato casa Gontard, e che la inducono a reazioni di sapore wertheriano, al culto del dolore e delle lacrime: <<Come tutto, da quando non ci sei più, è diventato vuoto e deserto in me e attorno a me, è come se la mia vita avesse perduto ogni significato, la sento ancora solo nel dolore. Come lo amo questo dolore, quando mi ha lasciato e diventa quindi sordo, come lo ricerco con nostalgia, solo le mie lacrime sul nostro destino possono ancora rallegrarmi>>(ivi, p.700). Ma non si tratta di una posa letteraria. Tra tutte le oscillazioni del suo stato d’animo, dovute a una situazione oggettivamente aporetica, c’è una certezza assoluta, sottratta al giogo del destino, e che sopravvive al venir meno di ogni speranza: <<Questo resta certo, che io non cambierò mai>>(ivi, p.704).
Le prime due lettere di Susette contengono già tutti i temi del dramma che prenderà corpo nel corso della corrispondenza. C’è però in esse una più forte disposizione alla speranza nel futuro, e anche una volontà più sicura di lottare contro tutti gli ostacoli, contro quella societàricca e vuota che la circonda e che aveva tenuto a distanza il precettore Hölderlin. Del marito, che le offre regali e gite in campagna come una sorta di consolazione, ella scrive:<<Accettare il più piccolo favore da colui che non ha avuto riguardo per il cuore del mio cuore è per me necessariamente veleno(…) Il mio orgoglio e il mio sentimento mi sono più cari di tutti i beni della terra>>(ivi, p.702). Questo è peraltro, nella fittissima corrispondenza, l’unico accenno al marito. Per Diotima costui, il padre dei suoi quattro figli, non esiste semplicemente, non lo nomina mai, in quanto estraneo alla sfera in cui vive da quando ha conosciuto Hölderlin. E’ talmente diversa tale sfera che Diotima non esita a sottrarla alle leggi della società. Tranne i riferimenti ai bambini e ai trucchi per vedersi di nascosto o di nascosto scambiarsi le lettere, l’epistolario è quasi privo di fatti o persone di questo mondo.
Per converso, ella si appella al “genio dell’amore” come a una forza che l’ha guidata in modo invisibile e che non potrà mai essere piegata. In forma concitata Diotima ribadisce all’amato che anch’ella deve difendersi dalla passione che brucia nel profondo dell’animo. Dominarla con una reazione di calma apparente costa sofferenza, ma non dev’essere interpretata come segno di amore declinante: <<La pena ci consuma alquanto, ma la dolce salvifica mestizia giunge sempre dal cielo nel momento giusto, e riversa nel cuore la sua benedizione, e nella natura non dispererò mai, anche se sentissi la morte dentro di me, direi: la natura mi risveglia, mi restituisce tutti i sentimenti che ho custodito fedelmente e che sono miei>>(12).
L’amore come forza della natura, che dalla morte genera una vita ancora più felice: Diotima non ne fa semplicemente un atto di fede, ne parla come di un’esperienza personale: <<Il germe dell’amore giace profondo e inestirpabile nel mio essere, lo dico per esperienza, giacché so come il mio cuore si sia sempre risollevato più vivo da ogni oppressione>>(ivi, p.731). E questa esperienza personale trae la sua forza dalle leggi dell’universo. Il microcosmo dell’amore è la realizzazione nel piccolo della grande armonia del cosmo e non può crollare se non insieme con quest’ultima, ossia con la trasformazione del mondo in caos: <<E noi potremmo mai andare in rovina? Allora sì che tutto dovrebbe perdere il suo equilibrio e il mondo trasformarsi nel caos, se non lo sostenesse lo stesso spirito di armonia e d’amore che sostiene anche noi; se esso vive in eterno nel mondo, come e perché potrebbe abbandonare noi?>>(ivi, pp. 731-32). Diotima, che conosce non solo la precarietà della sua situazione e della sua salute, ma anche quella del fragile e disoccupato poeta, con commovente candore è pronta a giurare sulla immancabile felicità del loro amore: <<Non possiamo diventare infelici, giacché in noi vive quest’anima. Ed io lo so, il dolore ci renderà migliori e ci unirà più intimamente>>(ivi, p.732).
Che cosa ha trasformato una bella donna della ricca borghesia nella compagna ideale di un grande e misconosciuto poeta, che cosa ha insomma fatto di Susette Gontard la Diotima di Hölderlin? Nelle fitte e spesso concitate lettere di quest’ultima, tranne un fugace accenno ai capelli, non affiora né il ricordo né la nostalgia di un qualche particolare fisico dell’amato. Ma i suoi libri, l’Iperione in primo luogo, le sue poesie, le sue lettere vengono costantemente rievocati come un patrimonio prezioso, fonte di infinita consolazione nella miseria presente. Diotima ha trovato attraverso Hölderlin il genio dell’amore e della bellezza. La sua vita è stata radicalmente trasformata e perciò non esiste per lei la possibilità di tornare indietro, l’alternativa all’amore sarebbe la fine della vita: <<Fintantoché tu vivi, non voglio soccombere. Se non sentissi più, se l’amore scomparisse da me, e che sarebbe per me la vita senza amore, io sprofonderei nella notte, nella morte(…). Tu mi porti in alto e mi guidi nel sentiero della bellezza>>(13).
Altrove, col trascorrerenon propriamente favorevole del tempo, Diotima sente di avere interamente assorbito la forza propulsiva dell’amore, che le ha regalato una seconda giovinezza, ma che può costarle il sacrificio della vita, ove venisse meno ogni possibilità di restare legata al “giovane del suo cuore”: <<Spesso mi sono meravigliata di me, per essere tanto avanzata nell’età della ragione e tuttavia apparire così giovane a me stessa. Allora penso pure: meglio essere una vittima dell’amore che vivere senza di esso! Chi sa come e che cosa può ancora venire, oscure sono le strade del destino>>(14).
La passione infiamma l’animo di Susette, ma non rende cieca la sua ragione. Le strade del destino non procedono in direzione benevola. E prima ancora che la relazione con Hölderlin venga interrotta definitivamente, Susette anticipa con coraggio lo scenario che con molta probabilità l’aspetta. Tra tutti i crucci che l’agitano il più acuto è l’ignoranza della condizione esatta delle finanze dell’amato e di quali siano le sue possibilità di trovare un impiego. Licenziato da casa Gontard, su consiglio dell’amico Sinclair Hölderlin ha preso alloggio ad Homburg. Questa cittadina non dista molto da Francoforte, dove il poeta continua a recarsi per le visite segrete e i segreti scambi epistolari con Susette. L’alloggio non è caro, ma quanto possono durare i risparmi accumulati durante il servizio di precettore?
Hölderlin tenta due strade per assicurarsi dei proventi adeguati. Forte dei suoi studi teorici sull’arte, oltre che della sua produzione lirica ancora inedita, egli pensa di fondare una rivista letteraria mensile, da intitolare <<Iduna>> e per la quale tratta con l’editore Steinkopf di Stoccarda. Gli propone un profilo programmatico che corrisponde agli ideali da lui perseguiti negli studi coevi di teoria letteraria: <<Fusione e conciliazione della scienza con la vita, dell’arte e del gusto con il genio, del cuore con l’intelletto, del reale con l’ideale, della cultura(nel senso più ampio della parola) con la natura –Questa sarà la caratteristica più generale, lo spirito della rivista>>(15).
Ma il progetto fallisce. L’editore pone come condizione la partecipazione di scrittori famosi, i quali, al pari di quelli meno famosi, non degnano di una risposta il trepidante poeta. Solo Schiller si fa vivo, ma per dire che il suo lavoro non gli consente di assumere altri impegni e per sconsigliare l’aspirante editore dal cacciarsi in un’attività assai poco remunerativa. L’altra strada non conosce un destino migliore. Vincendo la sua naturale ritrosia, Hölderlin scrive a Schiller chiedendogli un piccolo posto a Jena, che gli garantisca una modesta remunerazione e il prosieguo della sua attività poetica. Questa volta nemmeno Schiller lo degna di una risposta e con ciò il poeta perde ulteriormente la fiducia in se stesso e si sente costretto a tornare in patria, nella sua Svevia.
Diotima però non aspetta che la sorte dell’amato sia definitivamente segnata per lanciare degli ammonimenti che denotano la profondità del suo sentimento, pronto alla rinuncia pur di non ostacolare la missione poetica di Hölderlin. In una delle lettere più drammatiche, scritte all’amato in attesa di occupazione, il sentimento di Diotima oscilla paurosamente tra la certezza di non poter fare a meno dell’amore e il minaccioso dubbio di essere costretta a farlo. Dopo avere descritto la sua esistenza divorata dalla nostalgia, ella prorompe come in un grido: <<Ma ahimè! Questo è il passato! Che cosa è il presente? che cosa il futuro? Ora mi chiedo ogni giorno: come deve campare in sé e per sé singolarmente un essere che è stato esaltato dall’amore per una persona nobile e bella?>>(16). Resta la possibilità del sogno, ma Diotima lo ripudia decisamente definendolo “autodistruzione” e “viltà”. Con lucida determinazione ella intuisce che un amore fatto solo di ricordi e nostalgia non può durare all’infinito, l’amore vero non può rinunciare alla presenza fisica degli amanti: <<Noi siamo legati fortemente, e in eterno, nel bello e nel buono; legati, al di là di ogni pensiero, nella fede e nella speranza. Ma nel mondo reale che ci racchiude questa relazione d’amore non esiste soltanto grazie allo spirito; anche i sensi(non la sensualità)ne fanno parte, un amore che noi rimuoviamo completamente dalla realtà, e sentiamo ancora solo nello spirito, senza potergli dare nutrimento né speranza, diventerebbe alla fine una fantasticheria o scomparirebbe da noi>>(ivi, p.742).
Dopo questa premessa di carattere generale(il rapporto tra amore e realtà), Diotima passa a parlare della realtà specifica di Susette Gontard e Friedrich Hölderlin. A differenza di grandi critici come Goethe e Schiller, che vedevano nel giovane un aspirante poeta di buona volontà ma di scarso valore, Diotima sa bene che Hölderlin è un vero poeta e che tale resterà essenzialmente, qualunque sia l’attività pratica impostagli dalle circostanze. Ma se questa è una realtà sicura, non rischia la sua relazione d’amore di diventare un ostacolo alla missione del sensibile poeta? E’ un dubbio angoscioso che non può tenere per sé, l’amato deve sapere fin d’ora che ella è pronta al sacrificio, se lo richiede il fine superiore della poesia: <<Quando dovesse essere necessario restare vittime del destino, promettimi che ti libererai da me e che vivrai completamente nel modo che ti renda ancora felice e ti consenta di adempiere al meglio i tuoi doveri nei confronti di questo mondo, e non fare che la mia immagine ti sia di ostacolo. Solo questa promessa può darmi la pace con me stessa>>(ivi, p.743). E per rendere meglio giustificata la sua richiesta, Diotima mette l’accento sulla differenza esistenziale tra i due protagonisti dell’infelice amore: <<Io ho raggiunto in parte il mio scopo, ho abbastanza da fare nel mondo, ho ricevuto grazie a te più di quello che potessi mai aspettarmi, il mio tempo era già trascorso, ma tu dovresti cominciare a vivere solo ora, ad agire, operare; non fare che io ti sia di ostacolo e non sciupare la tua vita nel sogno di un amore disperato>>(ivi, p.743).
Sagge e nobili parole, dettate dalla ragione. Ma il cuore ha le sue ragioni che la ragione non comprende. Nella stessa lettera Diotima confessa di tremare al pensiero che la rivoluzione possa estendersi a Francoforte, separandoli per sempre uno dall’altra. E a prescindere dall’eventualità di una rivoluzione, ella trema più concretamente nel constatare che più di mezzo anno è trascorso dal momento della separazione, laddove Hölderlin le ha comunicato di avere mezzi finanziari sufficienti ancora per un anno: che succederà dopo? Come si vede, il suo discorso oscilla da un estremo all’altro e Diotima capisce che la sua disarmante sincerità non può che rattristare ulteriormente lo stato d’animo del poeta, ma d’altronde non si sente di tenerlo all’oscuro della sua angoscia: <<Perdonami! Carissimo! se ti coinvolgo in questi miei pensieri, per te tutto dovrebbe essere soltanto dolce, vorrei darti un cielo e allontanare da te tutto ciò che possa turbarti; ma sento che il nostro amore è troppo sacro perché io possa illuderti>>(ivi, p.744).
Nessun segreto dunque per l’amato. Diotima gli racconta tutti i particolari del suo stato d’animo, gli alti e bassi dell’umore, le ansie crescenti e le sempre più vaghe speranze, infine la profonda malinconia che minaccia la sua salute. Quello che non può vedere nella realtà appare nel sogno al suo animo esaltato: <<Quando mi sono addormentata, sognai di incontrarti in compagnia di un gruppo di persone durante una passeggiata, ti vidi salire liberamente come sempre la nostra scala e ti aprii la porta, restammo insieme di buon animo senza avere paura alcuna, e i miei occhi gioivano di riposare nei tuoi>>(17). Il risveglio la costringe però a fare i conti con la realtà, che non offre una via di scampo: <<Sentii fortemente che senza di te la mia vita appassisce elentamente muore, e nello stesso tempo so che qualsiasi passo io possa fare per vederti segretamente in preda alla paura, con tutte le conseguenze che potrebbero derivarne, finirebbe per logorare ugualmente la mia salute e la mia pace>>(ivi, p.831). Non le resta che credere ai miracoli, conclude amaramente Susette, perché si realizzi il suo più ardente desiderio di ogni giorno: ricongiungersi con l’amato, ma senza paura, come nei primi tempi del loro amore.
Hölderlin, dal canto suo, non si trova in una situazione più felice. Incerto del futuro, incerto della sua vocazione in assenza della necessaria tranquillità, egli diventa un buon profeta della sorte cui vanno incontro entrambi, una lenta inesorabile rovina: <<E’ certo degno di tutte le lacrime che da anni abbiamo versato non avere avuto la gioia che potevamo darci, ma grida vendetta al cielo dovere pensare che entrambi con le nostre forze migliori dobbiamo forse perire perché manchiamo uno all’altra>>(18). Egli ammira il coraggio eroico dell’amata, la sua capacità di mettere a tacere ciò che non si può modificare, di <<nascondere e seppellire in se stessa la scelta eterna del suo cuore>>, ma teme che questa lotta incessante, con le contraddizioni che l’accompagnano, possa lentamente ucciderla. Perciò si affaccia anche in lui la necessità di dire addio alla speranza una volta per tutte. Non senza avere chiesto all’amata qualche consiglio: quale attività ritiene Diotima che sia più utile o adatta a lui?
La risposta rivela ancora una volta l’intuito infallibile di una donna che non aveva grande esperienza letteraria, e tuttavia capisce non solo il valore della poesia hölderliniana, ma anche la singolare natura del suo autore, soggetto alla distruzione se troppo rudemente ostacolato dagli eventi. Diotima si sottrae a un consiglio preciso, adducendo la sua scarsa conoscenza del mondo, ma non può fare a meno di aggiungere un monito. Nel caso in cui Hölderlin non trovi un’occupazione sicura, è meglio che resti nella situazione attuale, cercando di aiutarsi come può, piuttosto che esporsi ai rischi del destino e andare incontro alla disfatta. Diotima ha vissuto sulla sua pelle il dramma di casa Gontard e conosce bene il peso delle umiliazioni subìte dall’amato poeta e culminate nell’onta finale del licenziamento. In caso di esperienze simili teme perciò per la sua salute e, ancora di più, per quella che ella ritiene, al di là di ogni evenienza,la sua vera missione: <<Non puoi mettere in gioco te stesso, la tua nobile natura, lo specchio di tutto ciò che è bello non può in te frantumarsi, tu hai anche il dovere di dare al mondo quello che a te appare trasfigurato in una forma superiore, e di pensare particolarmente alla tua salute. Pochi sono come te! E quello che ancora non ha risonanza resta sicuramente per il futuro>>(19).
Diotima ha visto giusto. In una delle prime lettere a lei inviate, Hölderlin le aveva confidato di sentirsi, rispetto ai grandi geni che avevano infiammato e infiammavano il mondo, <<come un lumicino quasi spento che cerca di mendicare una goccia d’olio per rilucere ancora un poco nella notte>>(20).L’amata sa invece che nell’animo del modesto e sfiduciato precettore cova la fiamma della grande poesia, che non tarderà a risplendere in tutta la sua luce, al di là delle mete già raggiunte nell’Iperione e nelle liriche a lei note. E ha visto giusto anche sulla precarietà del destino di Hölderlin, sul pericolo che ulteriori rovesci della sorte potessero sopraffarlo e annientarlo, privando il mondo e i posteri della sua poesia.
Giovedi, 8 maggio 1800: è l’ultimo incontro segreto tra Hölderlin e Diotima, anche se quest’ultima lascia teoricamente aperta la possibilità di scambiarsi missive qualche volta all’anno. In realtà si tratta dell’addio. Con una scrittura più nervosa del solito Diotima incita l’amato a fidare nel destino perché il momento gioioso del rivedersi venga al più presto, quando che sia. Gli parla anche del suo proposito di dedicarsi all’agricoltura, di piantare alberi nel giardino adiacente al Meno di recente ereditato. Questo lo scrive alla vigilia dell’incontro. Ma la mattina dopo l’ansia dell’attesa la divora con sentimenti contrastanti, che l’inducono ad aggiungere alla lettera una sorta di postilla, un febbrile testamento da donare all’amato in occasione del congedo definitivo: <<Verrai dunque! Tutta la contrada è muta, e vuota, senza di te! Ed io sono tanto in preda all’angoscia, come racchiuderò e conserverò nel petto i forti sentimenti che anelano a te? Se tu non vieni---------E se vieni? Anche in questo caso è difficile mantenere l’equilibrio e astenersi da sentimenti troppo forti. Promettimi che non vorrai tornare più e che te ne andrai via serenamente(…)Andiamo con fiducia per la nostra strada e sentiamoci felici anche nel dolore, con l’augurio che possa durare per noi a lungo a lungo, giacché in esso avvertiamo un sentimento perfettamente nobile e forte. Addio! Addio! La benedizione sia con te>>(21).
Diotima, al secolo Susette Gontard, morirà due anni dopo avere scritto queste parole, il 22 giugno 1802. Causa ufficiale della morte la rosolia, malattia contratta per contagio dai suoi bambini che amorevolmente curava. Certo, la malattia stroncò un fisico malaticcio, assai probabilmente affetto da tubercolosi. Ma in realtà la morte era già nel suo cuore da quando aveva dovuto rinunciare all’amore. Alla notizia della sua morte la sua più cara amica scrive che Susette le aveva già dato l’impressione di <<un’anima afflitta e malinconica, che è poco interessata a questo mondo>>(22). Sinclair, dal canto suo, dandogli l’annuncio della morte, scrive a Hölderlin che Susette <<era rimasta coerente con se stessa sino alla fine. La sua morte è stata uguale alla sua vita>>(23). Un altro modo per dire quello che Susette aveva affermato per lettera: <<Meglio essere vittima dell’amore che vivere senza di esso>>. A tale proposito Diotima ha dunque tenuto fede.
Quando ella morì, Hölderlin era appena tornato in patria da Bordeaux, dopo tre mesi di servizio come precettore nella casa del console Meyer. Le sue condizioni di salute psichica erano già compromesse e il lungo viaggio a piedi dalle coste dell’Atlantico fino a Stoccarda, con sosta a Parigi, aveva stremato il suo fisico. Quando si presentò all’amico Friedrich Matthisson, costui lo riconobbe appena, tanto era pallido e dimagrito, i capelli e la barba lunghi, gli occhi vuoti e selvaggi, vestito come un mendicante. Ma paradossalmente, proprio in questo stato di intermittente demenza fu riservata a Hölderlin l’epifaniadella sua grandezza poetica, una breve folgorante rivincita sulle resistenze altrui e sulla propria censura. Durante il viaggio di ritorno da Bordeaux, il meridione della Francia lo affascina per la forza e la semplicità dei suoi pastori, un’umanità virile che gli ricorda quella dei Greci. Uomini e natura propizi perché l’oscuro viandante Friedrich Hölderlin sia accolto da Apollo nel cielo degli eroi e dei poeti: <<Il possente elemento, il fuoco del cielo e il silenzio degli uomini, la loro vita nella natura e la loro modestia e contentezza mi hanno scosso continuamente e, per dirla con gli eroi, posso senz’altro affermare che Apollo mi ha colpito>>(24).
La morte di Susette, appresa a Stoccarda agli inizi di luglio(1802), non determinò certamente lo squilibrio mentale del poeta. Ma ugualmente certo è che l’inattesa notizia aggravò il suo stato di agitazione e smarrimento, come dimostra la sua immediata partenza da Stoccarda per Nürtingen, per rifugiarsi dalla madre. E’ l’inizio della fine e si può dire che solo di qualche anno Hölderlin sopravvisse a Diotima, se si escludono i trentasette anni di vita vegetativa trascorsi dal poeta nella casa del falegname Zimmer a Tübingen, edificio con torre e splendida vista sul Neckar e la sua vallata. La sua vera vita con Diotima –le ore d’amore spensierato trascorse con lei, i colloqui fidati nella pace delle anime, l’alito del Dio comune- Hölderlin l’aveva già eternata nel Lamento di Menone per Diotima, altissimo monumento al loro amore:

Ma noi, uniti e felici, come i cigni che si amano
quando sul lago riposano o, cullati dalle onde,
guardano nell’acqua, dove si specchiano nuvole d’argento
e l’azzurro etere fluttua sotto a loro, naviganti,
così passavamo sulla terra(25).
















N o t e(Dolei)

1. F.HÖLDERLIN, Lettera a Hegel del 26 gennaio 1795, in Sämtliche Werke un Briefe, a cura di Michael Knaupp, Hanser, Monaco 1992-93, vol.II°, pp.568-69. Questa edizione in tre volumi sarà in seguito citata con la sigla SWB, seguita dal numero del volume e della pagina.
2. Lettera a Immanuel Niethammer del 24 febbraio 1796, in SWB, II, pp.614-15.
3. Hymnus an die Göttin der Harmonie, in SWB, I. pp.111-115.
4. Diotima, in SWB, I, p.173.
5. Lettera di Susette Gontard del settembre-ottobre 1798, in SWB, ii, p.703.
6. Lettera alla madre del novembre 1797, in SWB, II, p.673.
7. Lettera di Henry Gontard del 27 settembre 1798, in SWB, II, pp.699-700: <<Non riesco quasia sopportare che tu non ci sia. Oggi sono stato dal signor Hegel, il quale mi ha detto che tu già da molto tempo avevi l’intenzione di andare via(…) Torna presto da noi, mio Holder; da chi altri dovremmo imparare?>>.
8. Lettera alla sorella di metà aprile 1798, in SWB, II, p.687.
9. Lettera alla madre del 10 ottobre 1798, in SWB, II, pp.706-707.
10. Lettera a Susette Gontard dell’ottobre-novembre 1799, in SWB, II, pp.833-834.
11. Lettera del settembre-ottobre 1798, in SWB, II, p.700.
12, Lettera del gennaio 1799, in SWB, II, p.730.
13. Lettera del gennaio 1799, SWB, II, p.740.
14. Lettera del 31 ottobre 1799, SWB, II, p.832.
15. Lettera a Steinkopf del giugno 1799, SWB, II, p.778.
16. Lettera di fine febbraio 1799, SWB, II, p.741.
17. Lettera del 31 ottobre 1799, SWB, II, p.831.
18. Lettera a Susette Gontard dell’ottobre/novembre 1799, SWB,II, p.833.
19. Lettera del 1-6 luglio 1799, SWB, II, p.787.
20. Lettera a Susette Gontard di fine giugno 1779, SWB, II, p.779.
21. Lettera del 7-8 maggio 1800, SWB, II, p.866.
22. Lettera di Marie Rätzer al fratello(18 agosto 1802), in Hölderlins Diotima Susette Gontard. Gedichte-Briefe-Zeugnisse, a cura di Adolf Beck, Insel, Franfurt a.M. 1980, p.160.
23. Lettera di Sinclair a Hölderlin(30 giugno 1802), SWB, II, pp.918-19.
24.Lettera a Casimir Ulrich Böhlendorf(Nürtingen, novembre 1802), SWB, II, p.921.
25. Menons Klagen um Diotima, SWB, I, p.292: <<Aber wir, zufrieden gesellt, wie die liebenden Schwäne,/ wenn sie ruhen am See, oder, auf Wellen gewiegt,/ niedersehen in die Wasser, wo silberne Wolken sich spiegeln,/ und ätherisches Blau unter den Schiffenden wallt,/ so auf Erden wandelten wir.>>








Postato il Giovedì, 18 dicembre 2008 ore 18:55:38 CET di Pasquale Almirante
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