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Umanistiche: I SESSANT'ANNI DELLA DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI UMANI

Rassegna stampa

La Dichiarazione universale dei diritti umani.

Sessant'anni portati bene 

diAntonio Marchesi*

 

Fino al 10 dicembre del 1948, giorno in cui l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato a larga maggioranza la Dichiarazione universale, i diritti umani non erano internazionalmente riconosciuti; ed erano sprovvisti, di conseguenza, di qualsivoglia forma di tutela internazionale. Nessuna regola internazionale prendeva in considerazione i diritti della persona in quanto tale (solo, eventualmente, quelli del cittadino straniero, inteso quale ‘appendice’ del proprio stato di appartenenza che era libero di attivarsi in suo favore o di sacrificarlo sull’altare dei buoni rapporti con lo stato territoriale). Ciascuno stato, pertanto, attraverso il proprio apparato di governo, esercitava poteri sovrani su una porzione di territorio, e sulle persone presenti su quella porzione di territorio, senza incontrare limiti ‘esterni’. E non erano tanti gli stati nei quali il potere si era autolimitato, il cui sistema interno comprendeva strumenti idonei a garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona di fronte a eventuali abusi dell’autorità.

Verso il diritto internazionale dei diritti umani

Con la Dichiarazione universale si produce un cambiamento epocale. Per la prima volta nella storia, in quegli anni fertili di importanti novità che seguono la fine della Seconda guerra mondiale, gli stati s’impegnano l’uno nei confronti dell’altro a rispettare - senza fare distinzioni di razza, sesso, lingua o di alcun altro genere - i diritti elencati in una Dichiarazione solenne; e accettano l’idea che si debba rendere conto, che si debba rispondere dell’eventuale mancato rispetto di quell’impegno, alla comunità internazionale. La questione dei diritti umani cessa così di essere ‘dominio riservato’ di ciascuno stato, terreno dal quale escludere le ‘indebite ingerenze’ altrui. E si creano le condizioni per lo sviluppo di un diritto internazionale dei diritti umani quale componente essenziale del diritto internazionale contemporaneo, superando l’impostazione precedente in base alla quale il diritto internazionale doveva limitarsi a disciplinare la mera coesistenza fra stati (e alcune, limitate, forme di cooperazione fra governi).

È questa la vera ragione dell’importanza della Dichiarazione universale dei diritti umani. Per il resto, il ‘catalogo’ dei diritti da essa sanciti, per quanto valido ancora oggi, non è immutabile. È pur sempre il prodotto dell’epoca storica in cui ha visto la luce ed è stato, e potrà ancora essere, aggiornato e arricchito. L’impegno assunto con l’adozione della Dichiarazione è, peraltro, da un punto di vista formale, un impegno politico e morale. La tappa successiva consisterà, infatti, nella ‘traduzione’ dei principi della Dichiarazione in norme giuridiche vincolanti - attraverso la negoziazione, l’adozione e la ratifica di una serie di convenzioni internazionali.

 

La trasformazione in norme attraverso due patti internazionali

Al centro del sistema internazionale di protezione dei diritti umani, la cui nascita è stata resa possibile dal rovesciamento di prospettiva introdotto con la Dichiarazione universale, vi sono due Patti: il Patto internazionale sui diritti civili e politici e il Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, adottati nel 1966. I tempi relativamente lunghi richiesti per la negoziazione di tali accordi, e la circostanza che siano stati adottati due accordi distinti anziché - come previsto in origine - uno soltanto, si devono, per un verso, allo scontro ideologico tra Est e Ovest e al peggioramento complessivo del clima politico internazionale - pochi anni dopo la fine della guerra mondiale era già iniziata la guerra fredda - e, per altro verso, alla consapevolezza da parte degli stati che l’impegno assunto si traduceva questa volta in norme vincolanti (e in procedure di controllo sul loro rispetto). La struttura dei due Patti (o meglio, della prima parte di ciascuno dei due Patti - quella contenente le regole sostanziali) è, nonostante la diversa natura giuridica degli atti, piuttosto simile a quella della Dichiarazione. È una struttura ‘a catalogo’: a una norma generale di apertura, che impone l’obbligo di rispettare e assicurare il rispetto dei diritti riconosciuti nell’accordo, fa seguito l’elenco dei diritti a cui quell’obbligo si riferisce.

 

La componente regionale del diritto internazionale dei diritti umani

La trasformazione in norme dei principi della Dichiarazione universale non avviene però solo nel quadro ‘universale’ delle Nazioni Unite. Il diritto internazionale dei diritti umani ha anche una importante componente regionale. Tre continenti - l’Europa, l’America e l’Africa - danno vita, in tempi diversi, a un sistema proprio. E i tre strumenti attorno a cui ruota ciascuno di questi sistemi regionali di protezione dei diritti umani (rispettivamente la Convenzione europea dei diritti umani del 1950, la Convenzione interamericana dei diritti umani del 1969, e la Carta Africana dei diritti umani e dei popoli del 1981) contengono anch’essi, nel capitolo dedicato alle regole di condotta che s’impongono agli stati parti, un catalogo di diritti, analogo in sostanza agli elenchi di diritti adottati nel quadro delle Nazioni Unite (solo quello africano presenta talune specificità notevoli). Non è tanto nella parte sostanziale, del resto, quanto nella parte procedurale, quella dedicata ai meccanismi di garanzia (in particolare alle norme che regolano il funzionamento di altrettante corti regionali) che stanno il valore aggiunto e la principale ragion d’essere dei sistemi regionali.

 

Le convenzioni ‘specializzate’ per categorie specifiche di persone

I due Patti del 1966 e le tre convenzioni regionali, dunque, riconoscono un’ampia gamma di diritti a tutte le persone. Sono, dal punto di vista del loro contenuto, strumenti di carattere generale. La tappa successiva (quantomeno in senso logico … la cronologia è più complessa) dello sviluppo del diritto internazionale dei diritti umani si caratterizza invece per la ‘specializzazione’, intesa in primo luogo nell’ottica della potenziale vittima di violazioni. Sono state infatti adottate alcune convenzioni nelle quali sono riconosciuti i diritti non più di tutti, ma solo di coloro che appartengono a una specifica categoria di persone. Si tratta di persone particolarmente vulnerabili, bisognose di una tutela rafforzata che sia integrativa della protezione offerta dagli strumenti generali. Uno degli esempi più noti di accordo di questo tipo è la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei bambini del 1989.

 

Le interpretazioni unilaterali da parte degli stati

Il ‘riconoscimento’ nell’ambito di un accordo internazionale di una serie di diritti della persona significa, in sostanza, che agli stati parti di quell’accordo s’impone un obbligo di rispettarli e farli rispettare. Quell’obbligo è tuttavia, negli strumenti di cui abbiamo detto finora, formulato in termini alquanto generici, tanto da lasciare agli stati un margine di discrezionalità piuttosto ampio. La norma, in altre parole, contempla un risultato da raggiungere, nulla precisando in ordine ai mezzi che ogni stato dovrà mettere in campo a tal fine (per alcuni tipi di diritto consentendo anche una certa gradualità temporale nell’attuazione dell’impegno assunto). Il rischio insito in questa situazione è quello delle interpretazioni unilaterali da parte degli stati, portati naturalmente a dare una lettura restrittiva di ciò che sono tenuti a fare (o ad astenersi dal fare) in base alla norma, se non addirittura a eludere gli obblighi che da questa derivano.

 

La convenzione Onu contro la tortura: un caso esemplare di specificazione dei diritti

Ebbene, uno dei modi utilizzati per fare fronte a questo problema consiste nell’adozione di accordi ‘specialistici’, ma di un tipo diverso rispetto a quelli dedicati ai diritti di categorie specifiche di persone. Ci riferiamo agli accordi relativi a un diritto soltanto (o meglio, a una violazione soltanto). Il modello di questo tipo di accordo è la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e gli altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti del 1984 (di recente è stato adottato un accordo analogo sulle ‘sparizioni’). Scopo di questa non è, ovviamente, quello di proibire la tortura: il diritto a non subire torture o trattamenti analoghi è già riconosciuto da numerosi accordi pre-esistenti. Il fine che ci si propone è, invece, di rafforzare quella proibizione, di contribuire a sradicare davvero il fenomeno - ancora assai diffuso - della tortura, in primo luogo definendo in maniera precisa la condotta vietata e, in secondo luogo, imponendo agli stati una serie di obblighi specifici di prevenzione e repressione. Si abbandonano, in altre parole, la struttura ‘a catalogo’ e gli obblighi formulati in termini generali, fissando per iscritto, con riferimento a un’unica violazione particolarmente grave dei diritti umani, regole di condotta assai precise. La Convenzione contro la tortura impone agli stati parti di prevedere la tortura come reato e di stabilire per essa pene adeguate; di applicare all’ipotesi della tortura il criterio della giurisdizione penale universale (in alternativa all’estradizione); di non espellere o estradare nessuno verso uno stato in cui rischia di essere vittima di tortura; di non ammettere come prove valide confessioni o informazioni ottenute mediante tortura; e altro ancora. In breve, si vuole incidere sul modo in cui ciascun sistema giuridico statale dà seguito all’impegno di rispettare e assicurare il rispetto del diritto a non subire torture.

 

Ci siamo occupati di una soltanto delle due componenti del diritto internazionale dei diritti umani, quella sostanziale (mentre alle procedure di garanzia è dedicato il contributo di questo dossier di Cristiana Bianco dal titolo La protezione internazionale dei diritti fondamentali). Un breve accenno alla componente procedurale è nondimeno necessario, in conclusione, per dare conto del carattere dinamico del sistema che nasce con la Dichiarazione universale. È questo carattere, infatti, che permette alle norme (soprattutto se formulate in termini generali) di assumere contorni più precisi, di articolarsi in regole specifiche, di adattarsi continuamente alle mutevoli esigenze della vita.

 

Organi appositi per specificare il contenuto degli obblighi

Sia gli accordi stipulati nel quadro delle Nazioni Unite (dai due Patti alla Convenzione contro la tortura alla Convenzione sui diritti dei bambini, passando per diversi altri accordi su cui non ci siamo soffermati) sia gli accordi regionali (a cominciare dalle tre convenzioni principali di cui si è detto) affidano a organi appositamente creati il compito di gestire una serie di procedure nell’ambito delle quali questi sono chiamati a interpretare gli accordi stessi. Può trattarsi di procedure contenziose, attivate mediante ricorso individuale, o di meccanismi di altro genere (per esempio, dell’esame dei rapporti degli stati parti sull’attuazione di un accordo). Ciò che interessa sottolineare è che, in un modo o nell’altro - che si tratti di applicare la regola a un caso concreto o di verificare la conformità del diritto interno agli obblighi imposti dall’accordo, questi organi svolgono un’attività continua di specificazione del contenuto degli obblighi. E sono gli obblighi così come interpretati dalle istituzioni a ciò preposte, le regole spesso assai impegnative formulate sulla base degli accordi dalla Corte europea dei diritti umani o dal Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura (o da uno degli altri organi di controllo) a imporsi agli Stati; non certo le regole così come interpretate unilateralmente, a proprio uso e consumo, dagli stati stessi.

 

*Insegna Diritto internazionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Teramo e nella Facoltà di Filosofia dell’Università di Roma. È stato Presidente della sezione italiana di Amnesty International. Tra le sue pubblicazioni: La pena di morte. Una questione di principio, Roma-Bari, 2004; Diritti umani e Nazioni Unite, Milano, 2007.

 

 

 

 

 

 

.

 

 

 

 









Postato il Mercoledì, 17 dicembre 2008 ore 08:55:00 CET di Salvina Torrisi
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