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Umanistiche: ''ANOTHER BRICK IN THE WALL'' DEI PINK FLOYD

Rassegna stampa
We don't need no education. We don't need no thought control. No dark sarcasm in the classroom. Teacher, leave those kids alone. Hey, Teacher, leave those kids alone! All in all it's just another brick in the wall. All in all it's just another brick in the wall. We don't need no education. We don't need no thought control. No dark sarcasm in the classroom. Teacher, leave those kids alone. Hey, Teacher, leave those kids alone! All in all it's just another brick in the wall. All in all it's just another brick in the wall. All in all it's just another brick in the wall. PINK FLOYD The Wall(Emi) 1979 psychedelic-rock di Sigfrido Menghini Novembre 1979: la Emi scalpita; nel solo periodo che precede le feste si realizza il 30% delle vendite annuali di dischi. I Pink Floyd, a oltre due anni di distanza dal precedente "Animals", non possono aspettare oltre; le pressioni sono incontenibili, gli interessi in campo enormi. Dopo mesi e mesi di sala di registrazione tutto viene fatto di corsa al punto che alcune decisioni dell'ultima ora rimescolano la scaletta delle canzoni nell'album. Prova ne sono un paio di errori nella riproduzione dei testi nella doppia copertina del vinile ormai mandata in stampa. E' infatti presente il testo di "What shall we do now", canzone eseguita dal vivo ma assente su disco per problemi di spazio e sostituita dalla più concisa "Empty space". Il testo di "Hey you", canzone di apertura del secondo di disco, è invece collocato erroneamente a chiusura della terza facciata. Non male come pasticcio per un disco da lanciare in grande stile su scala mondiale… Ma eccolo finalmente, il 30 novembre, nelle vetrine dei negozi illuminati a festa, "The Wall", doppio colossale Lp della band che ha dominato gli anni 70 sfornando dischi da decine di milioni di copie vendute. L'uscita discografica assume immediatamente i connotati di evento planetario ed epocale, certamente uno dei più importanti eventi della storia del rock. Le stazioni radio di tutto il mondo vengono invase da "Another brick in the wall" felice intuizione commerciale con venature funky che balza in cima alle classifica di vendita. La stampa, anche quella scandalistica, spende fiumi di parole e troverà, come vedremo, anche elementi per montare evanescenti casi di cronaca. Il disco del muro, dei mattoni e degli splendidi disegni di Gerald Scarfe entra nella vita e nell'immaginario di milioni di "kid", segnandoli per sempre. Un mito che si trasmetterà di generazione in generazione fino ai giorni nostri. A quasi 25 anni dall'uscita si contano circa 20 milioni di copie vendute, numero impressionante per un disco doppio, a cui vanno aggiunti i risultati delle varie operazioni discografiche che seguiranno, come lo show di Berlino del 1990 uscito come disco solista di Waters e la discutibile immissione sul mercato nel 2001 di "The Wall Live", che riprende le registrazioni degli storici concerti del 1980 e del 1981. Tra quei "kid", allora quindicenne, c'era anche chi scrive, e per di più alle prese con il suo primo disco rock. Per questioni affettive quindi la mia analisi non potrà che essere molto personale, una delle tante, infinite interpretazioni che può suscitare un disco come questo che ha tra le sue qualità più grandi quella di riuscire a dialogare con il vissuto dell'ascoltatore. Attorno a un'opera come questa, infatti, l'intreccio delle personali storie degli ascoltatori si legano indissolubilmente alla trama dell'opera e ne diventano parte, come riflessi di vita che si rifrangono per infiniti giochi di specchi; come se la materia dell'opera si dilatasse e diventasse pregnante, consistente, reale nel vissuto di chiunque l'ha ascoltata e amata. La genesi del disco è nota. Nel 1977 i Pink Floyd sono in giro per il mondo a suonare "Animals", la loro ultima e controversa fatica discografica. Abbandonate le piccole sale da concerto dove il pubblico dei primi anni 70 amava ascoltarli in rigoroso e quasi religioso silenzio, la band gira per gli stadi, dove decine e decine di migliaia di persone si affollano nelle gradinate, spingono alle transenne, diventando un organismo unico, indistinto, entusiasta e entusiasmante, ma per certi versi pauroso. Waters è stanco, sfibrato. Un decennio trascorso in una folle corsa che in pochi anni l'ha portato da un livello di artista quasi anonimo a miliardaria star internazionale. Un percorso che nella storia del rock ha fatto più di una vittima. Un ragazzino, uno qualunque tra le decine di migliaia, a Montreal durante un concerto della faraonica tournèe mondiale intitolata "Pink Floyd. In the Flesh", è lì in prima fila e grida, si dimena, inneggia a "Money", la sua hit preferita, sembra essere presente solo per creare confusione. Waters non resiste, non riesce a sopportare quel parassita della platea. Prende la mira, come un fuciliere di sua Maestà la Regina, e lo centra in faccia, maledettamente. E' sconvolto Waters, per quel gesto che gli appare subito terribilmente fascista, sconvolto a tal punto da mettere in moto un processo di catarsi creativa che lo porterà a sviluppare l'idea di una delle più grandi opere rock di sempre. Ecco quindi trovato il concept, l'idea attorno alla quale costruire la nuova opera, ovvero il muro di incomunicabilità tra l'artista e il pubblico. Un muro che col passare del tempo si arricchirà nella testa di Waters di tanti mattoni fino a farlo diventare un emblema dell'alienazione e dell'estraniazione dal mondo a tutto raggio. Waters inizia a lavorare alle musiche e ai testi nell'autunno del 1977 e prosegue fino a luglio del 1978. A questo punto ha raccolto tanto materiale da preparare un demo di 90 minuti che fa ascoltare al resto del gruppo nel frattempo dedito a tutt'altro. Gilmour e Wright in particolare usciranno nel 1978 con due deboli album solisti. Quello di Wright risulterà addirittura imbarazzante nonostante la partecipazione di ospiti di lusso. Mason, musicalmente latitante, si dedicava presumibilmente al suo passatempo preferito, collezionare auto d'epoca e da corsa. Piccolo aneddoto: Mason, ai tempi dell'uscita di "The Wall", partecipò addirittura alla 24 ore di Le Mans con una Lola 2000 sponsorizzata dalla Emi e con il disegno dei famosi mattoni che la ricoprivano interamente! La band inizia a lavorare sul materiale scritto da Waters nel novembre del 1978 ma è solo nell'aprile del 1979 che iniziano effettivamente le registrazioni in studio. "The Wall" è quindi a tutti gli effetti un'opera di Waters, che scrive tutti i testi, ma nonostante ciò, e a differenza del successivo "Final Cut" del 1983, il disco suona ancora molto floydiano. Intanto il contributo di Gilmour, coproduttore del disco insieme allo stesso Waters e a Bob Ezrin, risulterà decisivo. Il chitarrista collabora infatti alla stesura di tre importanti canzoni, "Comfortably numb", forse la più bella di tutte, oltre a "Young last" e "Run like hell", tra le più fresche del disco. Gilmour canta inoltre in diverse canzoni e inanella una serie di soli e invenzioni chitarristiche di buon livello, con alcuni picchi memorabili. Il chitarrista, a rimarcare il ruolo di peso all'interno della band, sarà infine accreditato come direttore musicale dell'imponente, per non dire faraonico, "The Wall Show", che i Pink Floyd porteranno in scena per pochissime e selezionatissime date negli Stati Uniti e in Inghilterra nel 1980 e poi ancora a grande richiesta nel 1981. Il tastierista Wright invece, in rotta col padre padrone Waters, non partecipa nemmeno a tutta la registrazione del disco per quanto soprattutto nella prima parte si avverte la sua presenza con soluzioni sonore semplici ma di grande effetto. Decisive e incisive risultano invece le orchestrazioni curate da Michael Camen, certamente uno dei tratti musicali distintivi di quest'opera insieme ai meravigliosi impasti vocali dei sei coristi accreditati nelle note di copertina (dove peraltro non si trovano tracce dei nomi di Mason e Wright). Dal punto di vista musicale "The Wall" non presenta particolari innovazioni, anzi è decisamente una battuta d'arresto (peraltro definitiva) nella ricerca musicale della band che lungo gli anni 70, pur entro i contorni di una forma rock facilmente fruibile e infatti segnata da un successo commerciale travolgente, non aveva disdegnato percorsi musicali dilatati e inusitati (vedi in particolare la recente revisione operata da certa critica rock su "Animals", disco uscito nel 1977 ma composto prevalentemente nell'estate del 1974, che lo vuole addirittura assurgere a disco ispiratore della new wave). Ma al di là dell'approccio strettamente storiografico musicale, "The Wall" va letto come uno straordinario sforzo di sintesi di un intero decennio. Solo la lunghissima esperienza dei Pink Floyd poteva regalare un disco di tale qualità musicale, di arrangiamento e di registrazione. "The Wall" è il trionfo delle professionalità che si sono sviluppate negli anni accanto alla musica rock, perché la storia del rock ha dialogato e si è evoluta costantemente con l'industria del disco, le sue tecnologie, i suoi strumenti di comunicazione. Gli ingegneri del suono, i produttori, i creativi del packaging sono protagonisti assoluti in "The Wall" alla pari della sostanza musicale. Da questo punto di vista, "The Wall" è ai massimi livelli storici. Suono perfetto, qualità e cura certosina degli arrangiamenti, straordinaria potenza evocativa dei disegni di copertina di Gerald Scarfe, che curerà le animazioni sia dello Show che del film che apparirà sugli schermi qualche anno più tardi. Solo altre professionalità nate e cresciute col rock (leggi parte della critica) sembrano non voler accettare una tale prospettiva allargata, relegando "The Wall" a ruolo di disco uscito fuori tempo massimo, in quanto contemporaneo a nuovi fermenti (punk, new wave) che scuotevano l'ambiente musicale dell'epoca. Waters, estimatore della prima ora di Beatles e Byrds, ritorna con "The Wall" al suo primo grande amore, la forma canzone tradizionale, della quale ci restano di lui svariate gemme sin dai tempi di "More" (1969), "Atom Heart Mother" (1970) e "Meddle" (1971). Sul disco grava un senso di inquietudine e di oppressione incombente che lo rende a volte ostico, indigesto, insostenibile. Come per tutte le opere rock che si misurano sulle quattro facciate (è giusto riportare alla dimensione strutturale del vinile l'analisi di un disco la cui uscita è stata pensata per le caratteristiche di quel tipo di supporto) non mancano i momenti di stanca e i passaggi ridondanti. La paranoia di Waters a tratti, soprattutto nella seconda facciata, mette a dura prova l'ascoltatore, ma "The Wall" è da annoverarsi nel ristrettissimo gruppo di dischi che possono fregiarsi del titolo di "opera rock". Tra questi, "Tommy" degli Who e "The lamb lies down on Broadway" dei Genesis, nati dalla penna di altri due totem del rock, Pete Townshend e Peter Gabriel. Nel complesso di "The Wall" impressiona la monumentalità, la potenza evocativa ed empatica sull'ascoltatore, che facilmente si identifica con la storia narrata. La trama narrativa, tessuta accanto alle liriche e alle musiche attraverso l'innesto di voci, grida, sussurri, pianti, dialoghi, rombi d'aereo, pale d'elicottero, è così fitta da prestarsi a evocazioni continue, inducendo chi ascolta a figurarsi immagini, situazioni, scene. "The Wall" appare a tutti gli effetti come la colonna sonora di un film che però non ha ancora visto la luce all'uscita del disco nel 1979 e che probabilmente non rientrava nemmeno nei piani iniziali di Waters. Il film invece si farà solo tre anni più tardi, nel 1982, con la regia di Alan Parker e con Bob Geldof, leader dei Boomtown Rats a impersonare Pink, il protagonista. "The Wall" è in fondo la colonna sonora che ognuno di noi può adattare ai momenti più difficili della propria vita; un'opera quindi che non ha la sua forza nella profondità e unitarietà del messaggio, che anzi, restando abbastanza in superficie accontenta un po' tutti. E' come un'opera con diversi livelli di interpretazione dove ognuno è libero di spaziarvi in superficie oppure di penetrarvi in profondità, contribuendo a creare nuove chiavi di lettura e di fruizione. Ma i risvolti simbolici, sociali e politici, più per libera associazione che per intenzione programmatica del gruppo, vanno anche oltre la chiave strettamente psicologica personale. "The Wall" è, ad esempio, un disco molto amato in Germania, allora ancora divisa e sulla quale incombeva a Berlino la terribile presenza del muro. Tanto amato che nel 1990, a seguito della caduta del muro, Waters, ormai dedito alla sua altalenante carriera solista, verrà chiamato a riproporlo dal vivo proprio a Berlino davanti a una folla immensa e accompagnato da numerosi musicisti di prestigio (Bryan Adams, Marianne Faithfull, Jerry Hall, Ute Lemper, Joni Mitchell, Van Morrison, Sinéad O'Connor ecc.). La storia narrata nel disco è abbastanza semplice ma anche un po' confusa a causa dei continui ripensamenti durante la lunghissima genesi compositiva. Lo analizzerò seguendo la sequenza del disco in studio e cercando di riprendere il più fedelmente possibile le dichiarazioni rilasciate dallo stesso Waters nelle interviste dell'epoca. A posteriori, però, si ha l'impressione che nel disco ci sia ancora qualche confusione nello sviluppo narrativo e che solo con l'uscita del film del 1982 si arrivi a un'unitarietà drammaturgica complessiva. Il film, che peraltro contiene anche un pregevole inedito "When the tigers brock free", è quindi assolutamente consigliato e rappresenta un'integrazione importante, ma non imprescindibile, all'ascolto del disco. Nella composizione della storia Waters dichiara di attingere a tre livelli di ispirazione. Uno strettamente autobiografico (la morte del padre). Uno che deriva dall'osservazione del sociale (ad esempio la generica incomunicabilità nei rapporti di coppia). Uno infine che rappresenta il puro artificio narrativo. Spesso, si è invece esagerato nell'intravedere nel personaggio di Pink un riferimento a Syd Barrett, il fondatore della band, persosi per strada dopo l'eccezionale disco di debutto "The piper at the gates of dawn". L'unico richiamo certo e dichiarato alla figura di Syd è infatti nel testo di "Nobody Home". Per il resto la figura di Pink attinge genericamente all'iconografia della rockstar. Disco 1 "In the flesh?" (Waters) Si (ri)parte da dove tutto era cominciato, il tour "Pink Floyd. "In the Flesh" del 1977. La spettacolare intro è di grandissima violenza e impatto con una progressione d'accordi scandita dalla chitarra che si stempera melodicamente nel successivo sviluppo armonico. Poi la stasi improvvisa con la ritmica che si svuota e la voce di Waters che diventa protagonista su un semplice accompagnamento di tastiere e con i cori, meravigliosi in tutto il disco, a fare da contrappunto. Si nota subito la crescita espressiva di Waters, che dimostra di aver lavorato durissimo sulla propria voce nella seconda metà degli anni 70. Va ricordato, ad esempio, come durante le registrazioni di "Have Cigar" da "Wish you where here" del 1975, Waters rinunciò alla parte vocale perché troppo tirata per le proprie capacità affidandola a Roy Harper. Dal punto di vista narrativo "In the flesh?" è un flash back, la canzone verrà ripresa molto più avanti nel disco. "The Thin Ice" (Waters) Il pianto di un neonato introduce alla nascita di Pink, il protagonista della storia (pare che in occasione di un'intervista un giornalista imbecille chiese ai Floyd: "chi di voi è Pink?"). "The thin ice" è un gioiello acustico di grande dolcezza. Lo sviluppo dinamico della canzone riflette uno dei leit motiv di "The Wall", ovvero l'alternarsi di implosioni ed esplosioni, di momenti di intimismo lirico e di violente fiammate, spesso lanciate, come in questo caso, dalle sciabolate della chitarra di Gilmour. "Another Brick in the Wall part I" (Waters) E' la prima parte di un tema che si rivela come una delle più belle invenzioni musicali del disco. La chitarra carica di effetto delay, riverbera e fluttua creando un tappeto irresistibile e dilatato che rischia però di annoiare dilungandosi eccessivamente. Ma le soluzione di arrangiamento, come il crescendo improvviso delle tastiere o l'innesto di accordi distorti sul tappeto cristallino, restano chicche memorabili, piccole gemme di arrangiamento di cui tutto il disco è disseminato e che si imprimono indelebilmente nella mente dell'ascoltatore. "The happiest days of our lives" (Waters) e "Another brick in the wall part II" (Waters) Ormai abituati ad ascoltarla insieme alla traccia che la precede e sotto il semplice titolo di "Another brick in the wall" ecco a voi, annunciata dall'arrivo degli elicotteri, uno dei più grandi hit di tutti i tempi. La canzone, di una semplicità disarmante, è costruita su un solo accordo e mantiene a distanza di decenni un pathos impressionante, e davvero poco importa se il celeberrimo solo di chitarra non è stato scritto neanche da Gilmour. Soprattutto il coro dei bambini, composto da 23 ragazzi della quarta classe di musica della Islington Green School di Londra con età compresa fra i 13 e i 15 anni, resta memorabile. La stampa montò un caso attorno alla faccenda del coro accusando i Pink Floyd di non aver pagato i ragazzi. Risultò invece che il loro insegnante aveva approvato e siglato l'operazione ottenendone in cambio l'utilizzo gratuito, a fini didattici, dei Britannia Row Studios di proprietà degli stessi Pink Floyd. Il caso venne chiuso e i ragazzi ci guadagnarono anche qualche copia dell'album prontamente distribuita da Waters. Sempre "Another brick in the wall", che imperversò a lungo nelle radio di tutto il mondo, scatenò le ire del governo razzista del Sud Africa che ne proibì la diffusione in quanto gli slogan del ritornello ("non abbiamo bisogno di istruzione, non abbiamo bisogno di controllo del pensiero") vennero utilizzati dai manifestanti di colore in occasione dell'anniversario della sommossa di Soweto repressa nel sangue. Tutte le copie vennero ritirate dai negozi e per chi ne possedeva una pesò addirittura la minaccia della galera. "Mother" (Waters) E' una splendida ballata acustica con il tempo "rubato" della chitarra e con preziosi innesti "bucolici" di organo. La canzone è centrata sulla figura materna, fondamentale in tutto lo sviluppo della storia. Una madre iperprotettiva che segnerà l'esistenza di Pink impedendogli di trovare l'indipendenza, la maturità e la capacità per gestire la propria esistenza senza condizionamenti. "Goodbye Blue Sky" (Waters) Siamo all'inizio della seconda facciata, quella più claustrofobica, durante la quale Pink, mattone dopo mattone, completerà il muro che lo isolerà dal resto del mondo. Eppure musicalmente "Goodbye blue sky", dopo le tetre sonorizzazioni introduttive, possiede momenti di grande dolcezza grazie agli ottimi impasti vocali. Ma è solo un'impressione. L'atmosfera torna cupa e tetra con la voce di Gilmour che si libra sui bassi pesantissimi. Pink sta entrando inesorabilmente in un vicolo cieco. "Empty Spaces" (Waters) Appena prima di "Empty Space" mandando all'incontrario il disco in vinile c'è un messaggio scoperto all'epoca dell'uscita del disco da un dj radiofonico: "Congratulazioni! Hai appena scoperto il messaggio segreto. Per favore manda la tua risposta al vecchio Pink, presso la buffa fattoria Chalfont". "Empty spaces" non viene eseguita dal vivo e nemmeno apparirà nel film sostituita dalla più incisiva e martellante "What shall we do now". Musicalmente, la canzone è una torbida marcia verso il baratro dell'isolamento e dell'incomunicabilità. "Youg Lust" (Waters, Gilmour) Si tratta di un rock robusto e sincopato, una "pastiche" di vari generi musicali, una sorta di parodia del rock così come, dichiararono i Pink Floyd, molti anni prima lo era stata "The Nile Song" nella colonna sonora del film "More". "Young lust" risulta comunque una delle canzoni più fresche e riuscite soprattutto per chi ha mal sopportato il taglio pessimistico, ossessivo e claustrofobico impresso a buona parte del disco da Waters. La canzone fa riferimento alle cosiddette "groupie", ragazze disposte a tutto pur di venire a contatto con la rockstar di turno (memorabile la scena del backstage nel film). Ma più in generale è una canzone sul desiderio di evasione, dei momenti giovanili senza pensieri, delle sbronze e della pornografia a buon mercato. E ancora, come dichiara Waters, sulla sensazione di potere e di invulnerabilità che si respira sul palco dietro la protezione di montagne di watt che si scaricano sulla platea. "One of My Tunes" (Waters) Squilla il telefono, ma a vuoto. Pink tenta di raggiungere la moglie, vanamente. La scena si svolge all'interno di una camera d'albergo, da qualche parte a Los Angeles. Una delle scene madri dell'opera, riproposta in vari momenti sia dello show live che del film. La stanza d'albergo, spoglia, impersonale, con la televisione perennemente accesa, rappresenta l'isolamento definitivo, l'assenza di radici, il distacco dal mondo. Pink ha rimorchiato una ragazza ma non c'è possibilità di dialogo, resta solo coi suoi pensieri davanti alla televisione. Rimugina sulla sua vita, sul matrimonio andato in frantumi. E poi improvvisamente, mentre la chitarra vibra in un "solo" acido, Pink esplode istericamente distruggendo la camera. Devastazione e follia mentre la trama della canzone si perde in un grido disperato. "One of my turns" uscì come lato B del 45 giri "Another brick in the wall part II". "Don't Leave Me Now" (Waters) La canzone più claustrofobica del disco, fino quasi a risultare insostenibile con le tastiere che tessono un tappeto melmoso nel quale si rischia di sprofondare. E poi finalmente, liberatoria, arriva l'apertura musicale con lunghe note di chitarra e tappeti ipnotici di tastiere che ci trascinano fuori dalla palude. "Another Brick in the Wall Part III" (Waters) Delle tre versioni di "Another brick in the wall" è la più violenta. Per Pink e' arrivato il momento della reazione; con un moto d'orgoglio il protagonista si convince che l'isolamento è una condizione desiderabile, una libera scelta e lo grida al mondo. "Goodbye Cruel World" (Waters) Un semplice "pedale" sulle ottave per dichiarare che il muro è completato. Pink è totalmente isolato e se ne compiace. Fine della prima parte. Disco 2 "Hey You" (Waters) Musicalmente tra le più belle canzoni del disco "Hey you", stenta invece a trovare una collocazione narrativa nel progetto di Waters. Dapprima prevista al termine della terza facciata, viene inserita su disco all'inizio della stessa e nel film del 1982 viene addirittura tagliata. La famosa e splendida parte di basso "freatless" che apre la canzone viene accreditata nella recente raccolta "Echoes" a Gilmour. In fondo, niente di sconvolgente: nessuno ha mai messo in discussione la mano pesante di Waters né la mano fina di Gilmour. Ridistribuiti i meriti per la parte di basso, la canzone è davvero mirabile melodicamente, con un crescendo scandito da arpeggi di chitarra e note sognanti di tastiera. Immancabile, arriva il solo di Gilmour, tra i migliori del disco, che suona su un riff ipnotico di chitarra in un crescendo di grande intensità. Una breve variazione e si torna alle svisate di basso su un sordo tappeto di suoni brulicanti, che sembrano evocare insetti, parassiti, vermi. "Hey you" è un grido disperato di aiuto rivolto al mondo esterno e i vermi sono la rappresentazione simbolica del decadimento. In altre parole chi si isola, marcisce. "Is There Anybody Out There?" (Waters) Di fronte al muro insormontabile Pink grida semplicemente: "C'è qualcuno oltre il muro?". Dolcissima e semplice sequenza di arpeggi, tema di esercizio per schiere di chitarristi fai da te. Da cameretta e da spiaggia. "Nobody Home" (Waters) Splendida ballata per pianoforte e voce, la canzone rappresenta un momento di riflessione molto poetica ed evocativa. Pink ripercorre gli oggetti e i riti della propria esistenza che sono poi i luoghi comuni della rockstar. La pettinatura alla Hendrix, pressoché obbligatoria nell'ambiente musicale alla fine degli anni 60, o l'accenno ai lacci che tenevano realmente legati al polpaccio gli stivali di Barrett. E poi ancora il cucchiaio d'argento, le macchie di nicotina, un libretto con le proprie poesie… "Vera" (Waters) Vera Lynn era una cantante inglese del primo ‘900 le cui canzoni venivano cantate dalle truppe durante la 2° Guerra Mondiale. Magistralmente orchestrata, "Vera" sottolinea il dramma di Waters-Pink legato alla perdita del padre. "Bring The Boys Back Home" (Waters) E' una marcia scandita dal rullo dei tamburi che annuncia il rientro dei "ragazzi" dalla guerra. La canzone ritenuta da Waters il perno centrale di tutto il disco, ripartendo dal tema del mancato ritorno a casa dei soldati, vuole sottolineare l'importanza dei rapporti umani essenziali: gli amici la famiglia, la coppia, i figli. Nulla, non il lavoro, non le corse folli e snervanti dell'esistenza quotidiana, devono anteporsi agli affetti primari. "Comfortably Numb" (Gilmour, Waters) Canzone immortale tra le più belle dell'intera produzione floydiana, quindi del rock. L'orchestrazione, soffice e leggera, sembra galleggiare e in questa sensazione sospesa si aggrappano anche i nostri sogni. La strofa è cantata da Waters, poi irrompe la voce di Gilmour. Nello show live questo avvicendamento di ruolo alla voce solista diventerà un artificio scenico altamente spettacolare, con Gilmour che appare magicamente da dietro il muro costruito sul palco, suscitando immancabilmente l'entusiamo della platea. La canzone è semplicemente un capolavoro impreziosito anche da piccole memorabili "trovate" (ad esempio il grido che accompagna l'inizio della seconda strofa), che entrano negli annali del rock e nel nostro immaginario musicale. Gilmour, ai suoi massimi livelli, chiude splendidamente la canzone con uno dei soli più belli di sempre. Intenso, drammatico, teso, con le note mai così vicine alla forza di una fredda lama di rasoio, quella che Pink nel film utilizza per rasarsi petto e sopracciglia, quella che ad ogni ascolto perfora ogni difesa e va dritta al cuore. Leggenda. In "Comfortably Numb" il manager di Pink irrompe in albergo trovandolo in stato catatonico. In tutta fretta e senza troppo curarsi delle sue reali condizioni, Pink viene drogato e rimesso in piedi ; lo show, semplicemente, deve continuare. "The Show Must Go On" (Waters) Ancora gli splendidi cori che dialogano con la voce di Gilmour aprono l'ultima e decisiva facciata del disco. Breve frammento di grande incisività, "The show must go on", invita lo spettatore, sottolineando lo sgomento e i timori di Pink, allo spettacolo che finalmente sta per cominciare. "In The Flesh" (Waters) E' arrivato il momento del rito alienante, dello spettacolo trasformato in raduno fascista, con Pink nelle vesti di un dittatore sanguinario. "In the Flesh" è ancora più bella della versione di apertura con cori e arpeggi paradisiaci che fungono da tappeti rossi per accogliere l'ingresso della voce teatrale di Waters. Pink, dal palcoscenico-podio ne ha per tutti, in particolare le categorie emarginate più facilmente identificabili: gli ebrei, i neri, gli omosessuali, gli adolescenti brufolosi. "Run Like Hell" (Gilmour, Waters) Altra parodia musicale, questa volta della disco music, "Run like hell" è un'altra godibilissima canzone, lanciata dalle radio anche come seconda hit. La struttura è semplice: sulla cassa che martella i quarti, la chitarra costruisce un tappeto cristallino. Sul piano narrativo "Run like hell" è il proseguimento dello spettacolo messo in scena da Pink e ne incarna il momento più alienante. Il battere quadrato della batteria, tipico della musica da discoteca, induce il pubblico a muoversi all'unisono come un organismo unico, senza volontà, che obbedisce ai deliri del dittatore. "Waiting For The Worms" (Waters) Bellissima canzone, tra le migliori del disco, rappresenta per Pink il momento della lenta ripresa di coscienza dopo l'effetto delle droghe. Tra gli arrangiamenti, da ricordare la splendida sonorità dilatata dei piatti della batteria di Mason. All'improvviso però l'atmosfera rarefatta è interrotta dalla cruda e inquietante voce filtrata da un megafono (in realtà Waters che canta in presa diretta turandosi il naso). Da questo momento, la canzone descrive in un crescendo imperioso una marcia del Fronte Nazionale, gruppo filofascista, per le vie di Londra da Brixton a Hyde Park. Il concetto sotteso è quello dell'isolamento, che spinge la gente a compiere gesti violenti e a unirsi a gruppi di fanatici e di estremisti. "Stop" (Waters) Per Pink è arrivato il momento di abbandonare la maschera del dittatore, è arrivato il momento di dare il via a uno spietato processo interiore. "The Trial" (Waters, Ezrin) "The Trial" descrive con toni marcatamente teatrali la spietata autoanalisi di Pink, che si traduce in un confronto diretto con tutto ciò che lo ha allontanato dalla realtà: l'insegnante che ha represso la sua vocazione artistica e poetica; la moglie che ha sposato troppo presto e con la quale non è riuscito a costruire un rapporto maturo; la madre che ha costruito il guscio protettivo e che rappresenta il rifugio ultimo, fetale. Il verdetto è semplice: "Hai dimostrato sentimenti umani"; la punizione scontata: "abbandonerai la sicurezza del tuo isolamento". Il muro deve essere abbattuto e Pink riconsegnato alla realtà. Il muro crolla, in un crescendo musicale di grande intensità e coinvolgimento. "Outside The Wall" (Waters) Ecco le parole della canzone, emblematiche: Da soli o a due a due Quelli che davvero ti amano Vanno e vengono al di là del muro Alcuni mano nella mano Altri riuniti in gruppi Quelli sensibili e gli artisti Cercano di abbatterlo E quando ti avranno dato il meglio di loro Qualcuno barcollerà e cadrà Dopotutto non è facile Picchiare il cuore contro il muro di un folle Il muro è definitivamente abbattuto. Restano solo i mattoni, le sue canzoni, pietre angolari della storia del rock.
La storia narrata in "The Wall" è prima di tutto una storia personale, composta in parte da esperienze autobiografiche di Roger Waters ed in parte dalla storia di quel Syd Barrett, il folle 'pifferaio' lisergico dei primissimi Floyd che così spesso ha ispirato le canzoni del gruppo. L'isolamento in cui cade il protagonista - la rockstar 'Pink' - i traumi subiti a causa della morte del padre in guerra (come accadde realmente a Waters), la madre possessiva, la scuola omologante ed oppressiva, l'inevitabile falsità dei rapporti di chi è celebre nel mondo del rock: Pink si barrica dietro al Muro perdendo la capacità di rapportarsi agli altri e all'altro sesso (in cui vede la madre, distruttiva), soffrendone. Disumanizzato, arriva ad immaginarsi un Hitler sanguinario davanti al proprio odiato ed inutile stupido pubblico. Il tutto cresce in assurdità fino a che, grazie ad un processo (interiore, ma con tanto di giudice) Pink si libera, riuscendo ad abbattere il Muro. Questo Muro è quindi la barriera che isola il protagonista dal resto del mondo, una tragedia personale. Ma può e deve essere anche visto come il simbolo di ogni barriera che imprigiona l'uomo ed il suo spirito (e come chiave di lettura solo secondaria, quindi, anche come il muro di Berlino).








Postato il Martedì, 16 dicembre 2008 ore 00:05:00 CET di Silvana La Porta
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