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Umanistiche: FREUD:IL FENOMENO DELLA GUERRA COME DELUSIONE E SPAESAMENTO

Rassegna stampa

Freud: il fenomeno della guerra come delusione e spaesamento

di Maurizio Meloni*

 

Freud appartiene, per usare l’espressione di Peter Sloterdijk, a quel genere di scrittori che vogliono parlare alle masse, ma per insegnare loro un duro destino. Sloterdijk ha coniato per questa categoria di intellettuali, che comprende senza dubbio anche Max Weber, la felice espressione di 'sadismo pubblicistico'(P. Sloterdijk, Non siamo ancora stati salvati. Saggi dopo Heidegger, Milano, Bompiani 2004).

In termini differenti, lo storico americano Martin Jay ha definito Freud un 'illuminista della disillusione'(M. Jay, Downcast Eyes. The Denigration of vision in XX-century French Thought, Univ. of California Press, 1993, p. 334), ovvero l’esponente sobrio e irriducibilmente lontano da ogni teleologia ingenuamente progressista, di una corrente di pensiero che vuole guardare schiettamente in faccia la realtà, 'con franchezza e sincerità' (OSF 8, p. 136. Le opere di Freud, OSF nel testo, sono citate da: Opere complete, Torino, Boringhieri, 12 voll., 1967-1980).

Questo stile della disillusione è ben presente per esempio nella critica alla società comunista. Pur riconoscendo, scrive Freud in una nota celebre de Il Disagio della Civiltà 1929 che:

“chi nei suoi giovani anni ha assaggiato l’amarezza della povertà, ha sperimentato l’indifferenza e l’arroganza dei possidenti, dovrebbe essere al riparo dal sospetto di non avere comprensione e benevolenza per gli sforzi intesi a combattere la disuguaglianza…”.

 

L’aggressività, scrive, con toni che torneranno per il tema della guerra:

“non è stata creata dalla proprietà, dominava quasi senza restrizione nei tempi primordiali, quando la proprietà era ancora estremamente ridotta, già si palesa nel comportamento dei bambini, quando la proprietà ha appena abbandonato la forma anale originaria, costituisce il sostrato di ogni relazione tenera e amorosa tra esseri umani, con l’unica eccezione, forse, di quella tra la madre e il figlio maschio” (OSF 11, p. 601).

 

Mi pare che sia sull’onda lunga di questa retorica della disillusione che si debbano inserire le riflessioni di Freud sul tema della guerra.

Guerra e movimento psicoanalitico

La psicoanalisi nasce al passaggio tra XIX e XX secolo come movimento fortemente cosmopolita, basato su una rete di rapporti, epistolari prima di tutto, che le conferiscono una dimensione fortemente globale, oggi diremmo, di network intellettuale che avvolge l’intera Europa e il Nordamerica.

La guerra del 1915-18 arriva come una profonda rottura di questo mondo, con la tragica fine della cosiddetta 'prima globalizzazione' e il ritorno veemente, 'regressione' nelle parole di Freud, a sentimenti di odio nazionalistico e partigianeria semplicemente inimmaginabili fino all’inizio del secolo. “Ci sembra che mai - Freud scrive - un fatto storico abbia distrutto in tal misura il prezioso patrimonio comune dell’umanità, seminato confusione in tante limpide intelligenze, degradato così radicalmente tutto ciò che è elevato” (OSF 8, p. 123).

In un contesto ebbro di ritorno a un nazionalismo sfrenato - in cui anche un umanitarista cosmopolita come Arthur Schnitzler, tradizionalmente insofferente della sua Austria, dirà di aver provato lo slancio “di inginocchiarmi e baciare questo nostro suolo” (ivi, p. 315) alla notizia della sconfitta dell’esercito russo per mano di quello austriaco - Freud stesso, come i suoi biografi hanno ricordato, non sarà del tutto immune da una caduta, seppur fugace, in un nazionalismo che certo è quanto di più distante dalla sua formazione intellettuale.

È Ernest Jones a ricordare la fiammata di entusiasmo patriottico di Freud alla notizia dell’inizio delle ostilità (E. Jones, Vita ed opere di Freud, vol. 2, Milano, Il Saggiatore, 1962, p. 215). Entusiasmo inusitato, che Freud manifesta quando, in visita nelle settimane di inizio guerra nella tedesca Amburgo, dichiarerà di sentirsi, come per la prima volta “non in una terra straniera” (P. Gay, Freud: una vita per i nostri tempi, Milano, Bompiani, 2000, p. 316). Entusiasmo quasi imbarazzante nel contesto cosmopolita del movimento psicoanalitico, quando si dovrà affrontare lo status di un personaggio come Ernest Jones, inglese e dunque formalmente 'nemico', che Freud arriva a rimproverare con i suoi di parlare da 'vero anglo'. Ma entusiasmo destinato a scemare molto in fretta, e a diventare oggetto della riflessione dello stesso Freud sui limiti del nostro intelletto. Proprio indagando la reazione degli intellettuali di fronte alla guerra, Freud parlerà dell’intelletto umano come di un 'gingillo', “strumento delle nostre pulsioni e dei nostri affetti” (Lettera allo psichiatra olandese F. van Eeden, 17/1/1915, OSF 8, p. 117).

È infatti il regredire collettivo di intere popolazioni ed élite intellettuali a segnare il primo confronto di Freud con la guerra, aprendo dal 1915 in avanti la strada a tutta una serie di scritti su aggressività, ferinità, autodistruttività e pulsione di morte negli esseri umani.

Potremmo dire così, su un piano generale: la Grande guerra è l’occasione per trasformare la psicoanalisi da movimento intellettuale che perfettamente rappresenta un mondo in cui sono gli scambi commerciali a prevalere (e dunque, anche metaforicamente a livello teorico, il commercio, l’intreccio, tra mondo conscio e inconscio, mondo dei sogni e della vita diurna) a specchio di un mondo abitato da pulsioni dal 'carattere regressivo' (OSF 9, p. 244), restauratore.

È il tema che troveremo a due anni dalla fine della Grande guerra, in Al di là del principio del piacere, sulla coappartenenza di vita e morte, fenomeno tragico che certo la guerra dovette fortemente sollevare davanti agli occhi di Freud.

 

Comprendere la guerra

Nel primo articolo di Freud dopo lo scoppio della guerra, concepito nella primavera del 1915, Le Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, proprio il tema della 'delusione' torna dall’inizio. La delusione è qui l’infrangersi improvviso di una certa speranza, ovvero che “dalle grandi nazioni di razza bianca dominatrici del mondo”, a cui sono dovuti “i progressi tecnici per il dominio della natura nonché i valori della cultura, dell’arte e della scienza … almeno ci aspettavamo che giungessero a risolvere per altre vie i loro malintesi e i loro contrasti d’interesse” (OSF 8, p. 124). Due sono i fattori che per Freud determinano l’improvvisa delusione: che gli Stati che ci rappresentano non hanno nulla di morale nei loro comportamenti, e che gli individui sono tornati a una brutalità reciproca che si riteneva impensabile in una civiltà progredita (OSF 8, p. 128). Delusione e spaesamento, dunque, perché né negli uni né negli altri ci riesce ormai di riconoscerci. Ma proprio qui interviene il contributo intellettuale dell’indagine psicoanalitica. Essa ci ha insegnato che 'moti pulsionali originari', né buoni né cattivi in verità, non sono mai estirpati negli esseri umani. Tali moti possono compiere un lavoro trasformativo – inibizione, deviazione, repressione, sublimazione – il cui esito finale rimane però fragile ed esposto a improvvise regressioni, proprio per la natura plastica (OSF 8, p. 133) della vita psichica umana. La regressione, d’altronde, è la caratteristica che quotidianamente si compie nella vita onirica dove, come nella guerra, la psiche dismette ogni giorno i suoi abiti civili per esprimere indisturbata il suo ritorno a uno stadio più antico della vita psichica.

Gettato questo ponte tra la follia della guerra e la micro-follia quotidiana della vita onirica, abbiamo quantomeno la possibilità di comprendere in via profonda la guerra, come fenomeno purtroppo niente affatto estraneo alla nostra psiche.

 

Il Carteggio con Einstein

Questo tentativo di comprendere la normalità della guerra ritornerà nel celebre carteggio di 17 anni dopo tra Freud ed Einstein, dal titolo Perché la guerra? (OSF 11). Einstein, apertamente pacifista, si rivolge al conoscitore dell’animo umano, Freud, chiedendogli se “alla luce delle Sue recenti scoperte” esista un modo “per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra" ovvero "una possibilità di dirigere l’evoluzione psichica degli uomini in modo che diventino capaci di resistere alle psicosi dell’odio e della distruzione”.

Dopo aver indagato il nesso forte che esiste tra violenza e diritto, e dunque la possibilità che sempre quest'ultimo si capovolga nel primo, Freud mostra ancora una volta la comprensibilità della guerra, la sua continuità difícilmente recidibile con alcuni dei meccanismi più tipici della nostra psiche, indagati a partire da quella specie di 'dottrina mitologica' che è la teoria delle pulsioni. Non solo la normalità della guerra, ma anche l’indignazione contro di essa trova in Freud un suo preciso fondamento, 'organico' addirittura: “Sensazioni che per i nostri progenitori erano cariche di piacere, sono diventate per noi indifferenti o addirittura intollerabili … poiché la guerra contraddice nel modo più stridente a tutto l’atteggiamento psichico che ci è imposto dal processo civile, dobbiamo necessariamente ribellarci contro di essa: semplicemente non la sopportiamo più; non si tratta soltanto di un rifiuto intellettuale e affettivo, per noi pacifisti si tratta di un’intolleranza costituzionale, per così dire della massima idiosincrasia”. In un contesto in cui ritorna ancora la delusione - “Le chiedo scusa se le mie osservazioni L’hanno delusa", scrive alla fine a Einstein, rimane una possibile speranza di contenimento delle forze distruttive, proprio nel lavoro psichico della 'evoluzione civile'. Tutto ciò che la promuove, conclude Freud, "lavora anche contro la guerra”.

 

*Dopo il dottorato in Italia, ha lavorato tramite borse internazionali presso varie università e centri di ricerca in Europa e USA. Attualmente lavora al Bios Centre della London School of Economics a un progetto su neuroscienze e trasformazione della soggettivita'. Tra i suoi lavori in italiano, L’orecchio di Freud. Società della comunicazione e pensiero affettivo, Bari, Dedalo 2005.

 

 

 

 









Postato il Mercoledì, 10 dicembre 2008 ore 09:09:10 CET di Salvina Torrisi
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