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Cultura e spettacolo: Coraggio e viltà, virtù e nefandezze così l'arte ha immortalato Cesare

Redazione
L'ultima impressione che conta del comandante, del politico, del legislatore, dello scrittore, dell'urbanista che voleva spostare il corso del Tevere ("Giulio Cesare, l'uomo, le imprese, il mito" è il titolo della mostra aperta fino al 3 maggio). Il colpo basso è un dipinto che può essere assunto a sintesi della carriera di un Hitler. Le simpatie, sempre dipinte, vanno ad una serie di "perdenti vittoriosi": Vercingetorige, il capo dei Galli vinti, ma eroe nazionale per i francesi (che con Asterix si sono presi tutte le rivincite sulla storia); Catone e Porzia, Bruto uno degli uccisori di Cesare, suicidi per dignità, libertà, senso dello Stato repubblicano di cui Cesare aveva decretato la fine. Soprattutto Cleopatra, suicida a 40 anni per sottrarsi al trionfo del figlio adottivo ed erede di Cesare, Ottaviano. Anche se il gesto estremo della regina d'Egitto può essere stato condizionato dal timore di non ripetere con Ottaviano il successo avuto con altri due conquistatori: Marco Antonio (sposato, tre figli) e con Cesare stesso (un figlio, dal nome presuntuoso di Cesarione). In ogni caso una vicenda di statura mondiale, affascinante, i cui segni sono entrati nel linguaggio di tutti con quel "Il dado è tratto", o "Veni, vidi, vinci" e le "Idi di marzo" (del 44 avanti Cristo), la data del suo assassinio con 23 pugnalate a 56 anni.

Questa è la prima mostra in assoluto su Giulio Cesare, ma una volta scoperto il filone degli imperatori, Giulio Cesare che fu dittatore a vita, vero fondatore dell'impero, ma non imperatore, non rimarrà solo. Al Colosseo, nella primavera 2009, la soprintendenza archeologica presenterà il "Divo Vespasiano" nel bimillenario della nascita, a cura di Filippo Coarelli. E l'anno dopo, il Chiostro del Bramante, Nerone. La mostra su Giulio Cesare è anche occasione per l'apertura straordinaria del Foro di Cesare ai piedi del Campidoglio, in cui continuano le scoperte. Lo spazio articolato del Chiostro del Bramante costringe a presentare preziosi materiali, ma di piccole o contenute dimensioni, con eccezioni. Sono circa 200 scelti dai curatori Giovanni Gentili, Paolo Liverani, Enzo Sallustro, Giovanni Villa (catalogo Silvana Editoriale).

Ad aprire è il busto del cosiddetto "Cesare Chiaromonti" dai Musei Vaticani, in marmo. Il volto di un uomo maturo, dai tratti "particolarmente marcati", alta fronte con sottili rughe. Lateralmente al naso le "rughe sono profonde e conferiscono allo sguardo un tono deciso e volitivo". Un modello dai "toni realistici e una chiara idealizzazione", un "prodotto artistico di propaganda" creato probabilmente nei primi anni di Augusto (30-20 avanti Cristo). Un particolare, la capigliatura. Cesare era calvo ed aveva la debolezza di voler nascondere la calvizie con la corona di alloro, la sua preferita.

La mostra ci catapulta alla "guerra gallica" (anni 58-52) che Cesare narrerà in terza persona nel celeberrimo "De bello". Svelata dalla "Pastoia di Glanon" usata per legare a coppie i prigionieri, uno per il collo e l'altro per una gamba. I guerrieri evocati si materializzano nella statua del guerriero di Vachéres "di grande realismo", in calcare, alta 1,53, più grande del naturale, ma senza gambe. Con varie tracce di colore rosso e d'oro sul "torque" al collo "ornamento emblematico degli spietati guerrieri gallici" che inventarono la cotta di maglia formata da migliaia di anelli di ferro.
Uno dei ritratti più impressionanti della mostra, dai Musei di Stato di Berlino, il cosiddetto "Cesare verde" dagli occhi di marmo bianco, in scisto del deserto orientale egiziano, apre il capitolo della "Guerra italica", parte del ribollire di lotte interne che afflisse Roma. Siamo al finale della "Guerra alessandrina" nel 48 in cui Pompeo sconfitto a Farsalo in Tessaglia, fugge ad Alessandria, fiducioso del giovane re d'Egitto Tolomeo XIII. Il busto, alto 41 cm, di "altissima qualità plastica", opera di artisti alessandrini, è forse una committenza di Ottaviano dopo la morte di Cesare: testimonianza della riabilitazione dell'immagine paterna. Il volto è "scarno, quasi ascetico, ed esprime sobrietà". Ben lontano dalla fama di Cesare, personaggio disinibito dal punto di vista sessuale o, come affermava Cicerone, "marito di tutte le mogli e moglie di tutti i mariti".
Pompeo in Egitto cadde dalla padella nelle braci. Il prefetto Achilla fece trovare a Cesare come omaggio la sua testa. Cesare fu turbato dall'oltraggio a quello che, un tempo suo amico, era stato l'avversario più duro nel suo progetto di potere, al punto che per il trono favorì la sorella (e moglie) di Tolomeo, Cleopatra VII. Di questa donna fatale sono esposti due ritratti. Uno in marmo, privo di parte del naso, dall'aspetto giovanile, il cui modello dovrebbe essere stato eseguito a Roma, durante la permanenza negli anni 46-44. E il busto in basalto coronato da un copricapo a forma di avvoltoio, animale sacro alla dea Mut (madre) e con le due lunghe bande laterali che scendono sul petto.
Due dipinti rivelano il disgusto di Cesare davanti alla testa di Pompeo. Uno, da Iasi, Museo nazionale della Moldavia, è attribuito a Rubens: noto a pochi studiosi, viene presentato per la prima volta. L'opera (155 per 226 cm) è un esempio di "maestria compositiva" (compattezza del disegno, particolari anatomici, "sapiente tecnica luministica"). La materialità del mantello di pesante broccato sulla spalla di Cesare è resa con una tecnica di "rara eccellenza". La tavolozza è "dominata da una gamma di marroni e tonalità neutre e scure". Non c'è dubbio che sia "un grande maestro". Il secondo dipinto è assegnato al seicentesco Giambattista Langetti e celebra la "pietas" di Cesare.

In Egitto non fu solo Pompeo a perdere la testa. Una piccola stele in pietra, unica nel genere, raffigura le divinità Amon e Mut con al centro un dio bambino. Un cartiglio rivela che il bambino è "Cesare amato da suo padre", cioè Cesarione il figlio di Cleopatra-Mut e Giulio Cesare-Amon. Fra i personaggi e i simboli della vita della "nobilitas" romana, alcuni pezzi di fattura eccezionale. Un ritratto virile in bronzo (privo degli occhi), alto 38 cm, dal Louvre: la "raffinatezza del modellato rivela la mano di un maestro" che fa convivere le caratteristiche ellenistiche e repubblicane. Due piccoli modelli frammentari in argilla di due teste, scavati sul Palatino: qualità e caratteristiche rimandano ad artisti della Magna Grecia affluiti a Roma nel I secolo avanti Cristo e in epoca augustea, celebri per la "riproduzione ad altissimo livello di opere d'arte greche". I loro modelli in argilla "avevano un prezzo maggiore delle opere in marmo".

Gemme intagliate, gioielli, monete sono largamente usate nella propaganda. Come il rarissimo denario d'argento (dalla Biblioteca Nazionale di Francia) fatto coniare da Bruto, forse in Grecia, alla fine dell'estate-autunno del 42, esempio della produzione monetaria dei "cesaricidi". Sul dritto la testa di Bruto. Sul verso due pugnali e il "pileo", il copricapo conico simbolo dei Dioscuri salvatori di Roma, "tradizionalmente donato agli schiavi liberati", e la scritta "Idi di marzo". Bruto si suicidò il 23 ottobre 42 col pugnale usato per uccidere Cesare.

Per le mitiche origini di Roma ci sono due pezzi eccezionali. Il primo è quasi sconosciuto perché non esposto e ancora in frammenti nella chiesa di Santa Francesca Romana. Sono due pannelli in marmo pentelico lunghi oltre tre metri, alti 74 cm, con il "Ratto delle Sabine" e che fanno parte del fregio della "Basilica Aemilia" lungo circa 184 metri. Fregio difficile da ricomporre anche per le molte lacune provocate dall'incendio che distrusse la Basilica, ricostruita con i soldi di Cesare. Il secondo pezzo viene dal Louvre: è la statua in marmo di Paros alta 1,74 di "Afrodite" come "Venere Genitrice" dal sensuale "panneggio bagnato". Uno "splendido esempio di statuaria romana del II secolo dopo Cristo, copia di 'squisita fattura'" della statua in terracotta della dea che Cesare aveva collocato nel tempio a lei dedicato come madre e patrona della "Gens Iulia" nel Foro a lui intestato. L'originale della "Venere Genitrice" è attribuito allo scultore ateniese Callimaco, attivo nel V secolo. Nello stesso tempio Cesare aveva eretto intorno al 46 una statua dorata di Cleopatra.

L'assassinio di Cesare, i segni premonitori di Calpurnia, la giovane moglie che lo scongiura a non andare in Senato nelle Idi di marzo, sono resi da dipinti ottocenteschi di John Poynter (la striscia della cometa nefasta fra le ombre e i bagliori del palazzo), di Abel du Pujol (due bozzetti, preziosi perché le due gigantesche tele del Palais Royal di Parigi sono state distrutte da un incendio), di Vincenzo Camuccini (il modello di grandi dimensioni di una prima versione distrutta dal pittore). Una piccola sala riunisce le celebrazioni delle "virtù" di chi tentò di difendere le istituzioni repubblicane. Le due tele dedicate a Catone (Langetti e François-André Vincent) che non solo fece harakiri con la spada, ma riaprì la ferita che era stata tamponata. E il dipinto di Felix Auvray con Porzia, figlia di Catone, che tenta di dissuadere il marito Bruto dall'attuare la congiura contro Cesare, ma comprende le sue scelte e si ferisce ad una coscia per dimostrare di saper mantenere un segreto e sopportare anche la tortura. Dopo l'uccisione di Bruto, Porzia si suiciderà in un modo atroce: ingoiando carboni ardenti, come riferisce Plutarco. Antonio Molinari, uno specialista di simili soggetti fra Seicento e Settecento, rappresenta Porzia un attimo prima di quel gesto.

Dopo simili tragedie c'è da sorridere con il globo che in origine era in punta all'obelisco del circo di Nerone-Caligola nella zona dell'attuale Sala Nervi, lato sinistro di San Pietro, ed ora è al centro della piazza. Le fonti antiche affermavano che in quel globo di bronzo dorato, di 80 cm di diametro, c'erano le ceneri di Cesare. Nel 1586 Domenico Fontana aprì il globo e sfatò la leggenda. Un dipinto ancora di de Pujol documenta un Giulio Cesare capace di far tagliare le mani di quattromila Galli ribelli e di salvare dalla morte Quinto Ligario, accusato di alto tradimento. Nella "Clemenza di Cesare" il difensore Cicerone è a braccia spalancate, le vene ingrossate del collo nell'arringa. A destra Cesare seduto, in piena luce, rivolto all'osservatore con uno sguardo perplesso su quanto gli tocca sentire. Cesare fu poi molto male ricambiato: Ligario partecipò alla congiura.

Nella sala più grande del Chiostro troviamo la "Cleopatra", il disegno a matita nera di Michelangelo che appartiene ai fogli da regalare. Questa "Cleopatra" era destinata al giovane patrizio romano Tommaso dè Cavalieri, grande amico di Michelangelo fino alla fine. Nella "nobile e rifinita classicità", Michelangelo trasforma il movimento della acconciatura in un serpente. Il disegno (di Casa Buonarroti) rimarrà solo per tre mesi date le rigide regole di riposo delle opere di carta. Per il resto Cleopatra è protagonista. Da morta, con il corpo nudo tutto depilato, disteso sul letto, color del latte. Una ancella le aggiusta sul capo il diadema affinché così la vedano Ottaviano e gli armati che avanzano dal buio. Il corpo di Cleopatra e il letto bianco protetto dal dio falco Horus dalle lunghe ali e smalti multicolori, emanano luce sullo sfondo cupo. Il grande dipinto (2 per 2,90) è del francese Jean-André Rixens, noto come "assiduo frequentatore di obitori". Presentato nel 1874 ha eclissato il resto della sua produzione con un "secolare, ininterrotto successo".

Ancora Cleopatra mentre due serpenti stanno per morderla, seduta sul letto con un velo sull'"Origine del mondo". Opera di Denys Calvaert, del 1590 circa, in cui il corpo flessuoso assume la "più canonica deformazione manierista". E nell'atto in cui l'aspide sta per morderla. Lei che è di marmo nel busto di Claude Bertin anteriore al 1697, sempre nella "teatralità del gesto". Accanto, Cleopatra trasmigra nel dipinto di Domenico Maria Muratori per tenere la mano a un Marcantonio cianotico che si è dato la morte con un colpo di pugnale, seduto in armatura, manto e pennacchio, le armi ai piedi e l'insegna a fianco. Più che la tragedia sono curati il "fasto e la
monumentalità".

Ed ecco il secondo protagonista del finale della mostra: Vercingetorige, capo degli Arverni, che chiama a raccolta i Galli per resistere a Cesare nella celebre battaglia del 52 sulle alture di Alesia in Borgogna. Episodio mai avvenuto, ma che è il tema del dipinto di François-Emile Ehrmann del 1869, fatto subito acquistare da Napoleone III che intendeva sfruttare come simbolo il personaggio del capo gallico che incitava il popolo a resistere. Come un altro simbolo da mettere a frutto è quello del "Prigioniero gallo con la figlia a Roma" di Félix-Joseph Barrias del 1847. Monumentale, con un corto perizoma, il gallo respinge con sguardo fiero i curiosi che si sporgono dalle sbarre. "Vinto, ma non asservito", si inserisce nella leggenda romantica del Gallo, il mito nazionale che con i tratti di Vercingetorige e su incoraggiamento di Napoleone III, diverrà l'emblema di una nazione. Il capo gallo giganteggia nella grandiosa tela (1,72 per 2,50) di Henri Paul Motte del 1886. Titolo "Vercingetorige si arrende a Cesare", ma c'è soltanto Vergingetorige, su un cavallo nero, nell'armatura con l'elmo alato e impugnando la spada per la lama, che sta per varcare l'ingresso del campo fortificato romano fra le altissime macchine da guerra. I legionari schierati sembrano essere lì per rendergli gli onori. Cesare lo attende sullo sfondo, su di un palco rosso, un'ombra indistinta.
La resa del capo gallo "dopo il 1870 rispecchiava i sentimenti diffusi di una popolazione" che doveva superare il trauma della disfatta di Sedan contro la Prussia. I francesi potevano riconoscersi nell'"eroe sconfitto, nobilitato dal coraggio e dall'onore". Nella storia vera Vercingetorige fu portato a Roma in catene, nel trionfo di Cesare che dopo sei anni di prigionia lo fece strangolare.

Cesare riemerge nel finale come peggio non si potrebbe, nel dipinto di Adolphe Yvon del 1875. Il dittatore nel manto rosso avanza a cavallo su uomini imploranti e donne con bambini, lo sguardo allucinato sul globo che regge con la destra. Lo precede con la falce sibilante la Morte che per il gran daffare si è presa una aiutante, in un paesaggio di macerie. Il nume della Guerra vola con la spada sguainata e la fiaccola accesa urlando di non fermarsi. Seguono le legioni, il veterano ipnotizzato, sullo sfondo degli incendi; i prigionieri legati alla coda del cavallo, comprese le arti. Dotato di una "impeccabile tecnica accademica" e uno stile "minuziosamente realista", Yvon rende i minimi particolari come i fili della bava del cavallo. Con l'accostamento fra Cesare e Napoleone III, denuncia il "cesarismo napoleonico" dopo Sedan. Un'opera coraggiosa (perché Yvon aveva tratto "grandi benefici" da Napoleone). A spese di Giulio Cesare, fondatore dell'impero romano.

Notizie utili - "Giulio Cesare. L'uomo, le imprese, il mito". Dal 23 ottobre al 3 maggio. Roma. Chiostro del Bramante, via della Pace. Promossa dal Comune di Roma. Ideata e diretta da Giovanni Gentili. A cura di Gentili, Paolo Liverani, Enzo Sallustro, Giovanni Villa.





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Postato il Martedì, 09 dicembre 2008 ore 15:50:30 CET di Maria Allo
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