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Voce alla Scuola: ''VI SPIEGHIAMO IL PERCHE' DEL NOSTRO NO ALLA GELMINI''

Opinioni
 Manifesto: Vi spieghiamo il perché del nostro no alla Gelmini
14-11-2008

 Sapienza occupata Abbiamo attraversato settimane di intensa mobilitazione, che hanno visto la partecipazione di migliaia di studenti e precari di tutte le università, nelle occupazioni, nelle manifestazioni spontanee, nei blocchi dei nessi produttivi nelle città. La parola d'ordine, che ha viaggiato con la rapidità della propagazione delle onde, «Noi la crisi non la paghiamo!», è l'espressione di un'intelligenza collettiva che si forma nelle lotte ed esprime completa il rifiuto a pagare i costi della crisi globale. Da più di un mese assistiamo al crollo sistematico delle borse mondiali, preludio alla vera crisi, quella dell'economia reale. Chi è sopravvissuto fino ad oggi indebitandosi con le banche sarà esposto al rischio di perdere da un lato la capacità d'acquisto e dall'altro la fonte principale di finanziamento dell'apparato produttivo e industriale. In Italia la risposta del governo è chiara: racimolare soldi tagliando indiscriminatamente la spesa pubblica per sostenere il sistema bancario. La legge 133 prevede infatti una serie di provvedimenti volti a «razionalizzare e ridurre la spesa e il debito pubblico». Tra i settori che più vengono colpiti da tagli e privatizzazioni ci sono scuole, università e ricerca. Infatti, insieme alla drastica riduzione del personale, si prevede la possibilità per gli atenei di trasformarsi in fondazione di diritto privato, cancellando così il carattere pubblico dell'istruzione come sancito dalla Costituzione. Non ci sorprendiamo, sono ormai 15 anni che università e ricerca non vengono considerati come settori strategici in cui investire, sia dai governi di centrodestra che di centrosinistra. Crediamo che l'uscita dalla crisi sarà possibile solo investendo in un modello capace di coniugare maggiori investimenti nelle scuole, nell'università e nella ricerca, pubblica e libera dalla dicotomia stato-mercato. «Noi la crisi non la paghiamo» significa in primo luogo la richiesta di abrogazione delle leggi 133 e 137, in quanto strumenti principali di dismissione di scuola ed università. Occorre ora continuare ad immaginare una nuova analisi adeguata alla controffensiva proposta dal governo proprio in questi ultimi giorni. Le linee guida dell'ultimo decreto Gelmini sull'università, aldilà delle presunte «astuzie» comunicative, ci consegnano il quadro più complessivo del tentativo di riforma: differenziare i finanziamenti per gli atenei, usare la retorica del merito per dequalificare i saperi e costruire gerarchie nel mercato del lavoro, imporre una presunta logica dell'efficienza produttiva per innalzare le rette, rafforzare i numeri chiusi e introdurre i prestiti d'onore, ovvero quel meccanismo del debito che sostanzia i processi di finanziarizzazione del welfare, così come la loro crisi.
Proprio tale dispositivo (ampiamente dispiegato nella corporate university , ma che già qualifica in nuce la specificità del sistema didattico del 3+2 e dell'ultimo decreto di Mussi) diventa proposta politica ed economica da un lato per privatizzare l'università, dall'altro far pagare direttamente agli studenti i costi della formazione. Di fronte a questo programma, la proposta di copertura delle borse di studio per gli idonei non vincitori è una magra consolazione, il tentativo di un governo in profonda crisi di avanzare una mediazione minima, nel tentativo di innalzare una flebile diga per arginare qualcosa di molto travolgente. Questo qualcosa si chiama onda anomala. L'assemblea nazionale di domani e domenica sarà un'occasione di discussione importante per tutte le facoltà e gli atenei in mobilitazione, non solo per intensificare la critica rispetto alla legge 133 e ai futuri sviluppi delle politiche di governo, ma soprattutto per concepire una prima discussione che si ponga come obiettivo quello di garantire l'estensione e la durata di questo movimento. Progetto solo in apparenza ambizioso, se si considera che le condizioni per dare una dimensione di complessività e di continuità a questa protesta già si stanno affermando: questo movimento, infatti, nel contestare delle riforme specifiche, già rivolge una critica più ampia a tutto il sistema della formazione e del lavoro. Nel corso di questa mobilitazione, infatti, ogni giorno già poniamo in essere un modo radicalmente differente di attraversare e vivere le nostre università, di creare saperi, di condividere conoscenze e relazioni, di costruire e ripensare alla radice il concetto di pubblico. Si tratta ora, con questa prima discussione nazionale, di definire un progetto ampio che riesca ad immaginare i discorsi e le pratiche comuni attraverso cui continuare a far vivere la straordinarietà di quello abbiamo fin qui prodotto. E di progettare un'autoriforma, cioè di dar vita non solo a un'assemblea programmatica, ma a un momento costituente, in cui tutti insieme definire una proposta di riforma possibile per l'università. Criticare il definanziamento e il progetto di dismissione del sistema formativo significa infatti non attestarsi alla conservazione dell'università esistente, come l'abbiamo vissuta fino ad ora, perché quell'università è il luogo di moltiplicazione della precarietà, di dequalificazione dei saperi, della subordinazione al potere baronale. La sfida, ben più radicale, è di individuare le tracce progettuali attraverso cui trasformare l'università, non in un più o meno lontano futuro ma nel presente. L'unica riforma possibile è quella che abbiamo già iniziato a praticare come studenti, ricercatori e dottorandi. L'autoriforma è per noi l'affermazione concreta di quell'esercizio di libertà collettiva che stiamo conquistando, la pretesa minima di un movimento che già si sta esprimendo in tutta la propria indipendenza e irrappresentabilità da partiti e sindacati. Rifiutare di delegare ad altri la decisione sull'università significa cominciare a definire linee di autonormazione attraverso cui far vivere un nuovo modello della formazione. L'autoriforma è infine il modo per continuare ad agire all'altezza e oltre la crisi, per costruire tutti insieme un campo nuovo di possibilità dentro e fuori le università, continuando a propagare e a organizzare le onde. Perché il tempo della trasformazione è qui e comincia ora. Anzi, è già cominciato.








Postato il Sabato, 15 novembre 2008 ore 00:05:00 CET di Silvana La Porta
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