E’ da qualche giorno che un pensiero maligno mi frulla in testa. Perché, osservando ciò che sta accadendo all’istruzione italiana, mi è venuto un sospetto. Pensiamo al pubblico impiego. Una miniera di sprechi, inefficienze e inettitudini diffusi in tutto il paese. Uffici inutili, impiegati che sonnecchiano, gente che sta lì per dare un numero agli utenti e si becca uno stipendio, persone che latitano e risultano al lavoro.
Eppure, in questi ultimi mesi, non si fa altro che parlare di scuola. Manco se fosse un’imminente guerra atomica. Siamo balzati agli onori delle prime pagine dei giornali e dei tg. Perché la scuola è l’unico settore del pubblico impiego di cui il governo si interessa? Perché non viene varata una razionalizzazione del funzionamento degli uffici ministeriali e di tutto il farraginoso apparato burocratico? Perchè degli altri due terzi del pubblico impiego nessuno, o quasi, parla? Perché solo gli insegnanti, la fetta più cospicua della scuola, sono i mostri dello spreco, gli approfittatori del pubblico denaro, coloro che, sembra senza alcun merito, vogliono un posto di lavoro?
Perché la scuola è importante, penserete voi. Perché ci si è accorti che è il settore principale su cui si fonda il progresso di una nazione, risponderanno altri. Eh no, cari miei. Ecco dove nasce il mio pensiero maligno. La verità è un’altra. La scuola, come sempre, non ha alcuna importanza. E’ un campo neutro sul quale tutti si accaniscono e di cui tutti si appropriano, invadendolo con meschine logiche imprenditoriali, dimenticando che svolge una funzione che va oltre il mero dato economico: educare i giovani. Sulla scuola ci si può, come sempre da decenni, divertire. Tagliare fondi, cambiare le carte in tavola senza consultare nessuno, dire una cosa e poi dirne un’altra opposta senza tema di smentita. E chi se ne frega, non importa a nessuno. Vale così poco, che è il primo settore sul quale si risparmierà. Vale così poco che si possono di colpo fare diventare soprannumerari docenti quasi prossimi alla pensione. Vale così tanto poco che si possono gettare i suoi precari in mezzo a una strada senza pensarci un attimo.
Per questo lo scorso 30 ottobre la scuola massicciamente è scesa in piazza. Perché non vogliamo più essere terra di nessuno. Stavolta la scuola si è mossa. E ha detto no. No, no, no. Stavolta siamo stati in tanti. Perchè non ci stiamo più a questo massacro dell’istruzione pubblica. No, no, no.
SILVANA LA PORTA
Eppure, in questi ultimi mesi, non si fa altro che parlare di scuola. Manco se fosse un’imminente guerra atomica. Siamo balzati agli onori delle prime pagine dei giornali e dei tg. Perché la scuola è l’unico settore del pubblico impiego di cui il governo si interessa? Perché non viene varata una razionalizzazione del funzionamento degli uffici ministeriali e di tutto il farraginoso apparato burocratico? Perchè degli altri due terzi del pubblico impiego nessuno, o quasi, parla? Perché solo gli insegnanti, la fetta più cospicua della scuola, sono i mostri dello spreco, gli approfittatori del pubblico denaro, coloro che, sembra senza alcun merito, vogliono un posto di lavoro?
Perché la scuola è importante, penserete voi. Perché ci si è accorti che è il settore principale su cui si fonda il progresso di una nazione, risponderanno altri. Eh no, cari miei. Ecco dove nasce il mio pensiero maligno. La verità è un’altra. La scuola, come sempre, non ha alcuna importanza. E’ un campo neutro sul quale tutti si accaniscono e di cui tutti si appropriano, invadendolo con meschine logiche imprenditoriali, dimenticando che svolge una funzione che va oltre il mero dato economico: educare i giovani. Sulla scuola ci si può, come sempre da decenni, divertire. Tagliare fondi, cambiare le carte in tavola senza consultare nessuno, dire una cosa e poi dirne un’altra opposta senza tema di smentita. E chi se ne frega, non importa a nessuno. Vale così poco, che è il primo settore sul quale si risparmierà. Vale così poco che si possono di colpo fare diventare soprannumerari docenti quasi prossimi alla pensione. Vale così tanto poco che si possono gettare i suoi precari in mezzo a una strada senza pensarci un attimo.
Per questo lo scorso 30 ottobre la scuola massicciamente è scesa in piazza. Perché non vogliamo più essere terra di nessuno. Stavolta la scuola si è mossa. E ha detto no. No, no, no. Stavolta siamo stati in tanti. Perchè non ci stiamo più a questo massacro dell’istruzione pubblica. No, no, no.
SILVANA LA PORTA