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Manifestazioni non governative: Lo sciopero generale della scuola del 30 ottobre 2008 cade fuori tempo massimo, quando il decreto 137 é già legge dello Stato. Ma allora a che serve?

Opinioni

Dal sito Il sussidiario.net

SCUOLA. Nella sterile guerra fra governo, opposizione e sindacati chi ci perde sono le giovani generazioni Giovanni Cominelli mercoledì 29 ottobre 2008

Dentro lo sciopero generale della scuola si incrociano almeno due “piattaforme”: quella delle sigle sindacali, che l’hanno promosso ufficialmente (Flc-CGIL, CISL-Scuola, UIL-Scuola, SNALS-Confsal, GILDA-Unams), quella delle sigle politiche di tutta l’opposizione (PD, IDV). Il comunicato congiunto delle sigle sindacali lamenta “i tagli” di quasi 8 miliardi di euro «che destrutturano il nostro sistema pubblico di istruzione e mettono a rischio il diritto allo studio e la qualità dell'offerta formativa».
Rivendica: l’abrogazione dell’articolo del Decreto legge n. 137 (Gelmini) che ripristina il maestro unico e introduce l'orario di 24 ore settimanali nella scuola primaria; l’apertura di un tavolo negoziale con il Governo in merito al Piano Programmatico e ai regolamenti attuativi di cui all'articolo 64 del decreto-legge 112/08; il rinnovo del contratto collettivo nazionale, il mantenimento delle prerogative contrattuali e garanzie contro le incursioni legislative nella disciplina del rapporto di lavoro; la garanzia di organici di istituto funzionali, stabili e pluriennali per il personale docente ed ATA al fine di dare certezze al personale e continuità didattica ed organizzativa alle scuole; tutele per il personale precario.
La piattaforma politica di Veltroni e Di Pietro annunciata il 25 ottobre denuncia i tagli relativi a scuola e Università, la privatizzazione selvaggia del sistema educativo nazionale (ma intanto il Ministro Gelmini taglia del 40% entro il 2011 i finanziamenti alle scuole paritarie!), l’emergere di “un razzismo di governo” a proposito delle classi-ponte proposte da una mozione parlamentare, non ancora trasformata in atto ufficiale di governo.
I sindacati non nascondono per nulla il continuismo corporativo degli ultimi decenni, malamente mascherato dalla retorica della difesa della scuola per tutti. Da sempre gli interessi particolari degli addetti vengono transustanziati in interessi universali degli utenti.
È un vecchio spot pseudo-marxiano. Una volta erano gli operai “la classe generale”, ora sono gli insegnanti e il pubblico impiego. Sballottata nel mezzo sta una massa ingente di persone coinvolte: 819.000 docenti in servizio, circa 200.000 docenti precari, circa 200.000 collaboratori. Al di sotto ancora, le loro famiglie.
Più in basso stanno 8 milioni di studenti della scuola di ogni ordine e grado, di cui circa 2 milioni nelle scuole superiori. Quanto alle Università, sono coinvolti 1.799.000 studenti e 62.000 docenti, dei quali 23.500 sono ricercatori.
Un calcolo grezzo porta a circa 4 milioni di giovani dai 16 ai 27 anni. Di fronte al collasso del sistema educativo nazionale e di quello universitario e di ricerca, questa generazione si interroga e si mette in movimento. Di essa, una minoranza sta catafratta in vecchi eskimo, ereditati dai padri; una maggioranza, invece, è mossa da eloquenti passioni, interessi, valori. Perché, infine, soprattutto le giovani generazioni si muovono, guidate dalla cura di sé e del proprio destino.
A costoro i sindacati forniscono una risposta corporativa, l’opposizione offre il consueto bagaglio politico-ideologico conservatore. Ma la risposta del governo è debole sul piano culturale e ideale.
Chi si aspettava la ripresa di un forte slancio riformistico, si è trovato davanti, dopo la politica del “cacciavite” di Fioroni, quella della “manutenzione”. Ma quale “riforma”? I “tagli” e i sacrifici si giustificano, se si intravede davanti una politica di cambiamento.
Solo riforme radicali consentono l’efficienza della spesa e perciò anche la sua efficacia. “Lacrime e sangue” sì, ma per difendere l’Inghilterra! Non per meno.
Una risposta debole rischia di mettere la giovane generazione di fronte a un cattivo futuro: andarsene dall’Italia, per chi può; rivendicare un posto sicuro dallo stato e dal governo di turno; infilarsi in un tunnel di rabbia, delusione, rivolta. Discutere costantemente con loro sembra essere il compito attuale della generazione adulta e, perciò, del governo.

SCUOLA.
Mauro: nel resto d’Europa più spazio alla libertà di educazione Mario Mauro mercoledì 29 ottobre 2008

Nessuna delle decine di migliaia di persone che nei giorni scorsi hanno partecipato alle manifestazioni anti-Governo e anti-Gelmini intonando i consueti slogan in favore della non libertà di educazione sa di aver manifestato contro tagli che colpiscono esattamente il loro bersaglio preferito: la scuola libera. Con il decreto legge approvato a fine luglio, ai ministeri è stata data la piena discrezionalità rispetto alla scelta di come attuare i tagli di spesa previsti dal decreto.
Questa discrezionalità ha avuto come risultato che nel Bilancio di previsione dello Stato lo stanziamento previsto per il 2009 per le scuole paritarie viene ridotto di oltre 133 milioni di euro. Si passa da 535.318.000 a 401.924.000 euro, con un taglio del 25%.
Nei due anni successivi (2010 e 2011) lo stanziamento per le scuole paritarie prevede per il 2010 406 milioni di euro e nel 2011 la cifra viene tagliata ancora drasticamente di altri 94 milioni di euro: si passa da 406.100.000 a 312.410.000 euro. Un ulteriore taglio di quasi il 25%. In quattro anni dal (2008 al 2011) la cifra investita dallo Stato per le scuole paritarie viene dunque tagliata in totale di oltre il 40%. Da 535 milioni di euro si arriva a 312.
Un taglio che ricadrà esclusivamente sulle famiglie che scelgono la scuola paritaria, indebolendo fortemente la libertà di educazione nel nostro Paese.
Ancora più paradossale e preoccupante è il fatto che nel “Bilancio di previsione dello Stato per il 2009" la spesa complessiva riguardo il funzionamento dell’istruzione viene aumentata di 656 milioni di euro, con un forte aumento delle spese per l’istruzione primaria, secondaria di primo e di secondo grado.
Il problema può essere risolto in due modi: approvando l'emendamento dell'On. Toccafondi firmato anche da altri trenta deputati della maggioranza tra cui Maurizio Lupi, Valentina Aprea, Raffaello Vignali, Renato Farina e Antonio Palmieri, nel quale si prevede il reintegro dei fondi tagliati, oppure con un maxiemendamento del Governo che appone fiducia alla legge finanziaria e alla legge di bilancio di previsione.
Preoccupa altresì il fatto che sono dati assolutamente discordanti con la tendenza verso la strada dell'autonomia intrapresa dalla più parte dei paesi dell'Unione Europea, nei quali si è arrivati a capire quali sono i nemici da combattere per migliorare l'efficienza e la libertà di educazione dei cittadini: questi nemici sono i "malati di ideologia", chi vede cioè nello strapotere dello Stato il dispensatore supremo dei diritti e dei servizi per i cittadini, chi crede che la cosa giusta sia essere forti con i deboli e deboli con i forti.
Un sistema scolastico ancora fortemente centralistico non può che rispondere a una logica della rendita politica tutta tesa a salvaguardare il tornaconto di burocrazie ministeriali e sindacati a dispetto dell’emergenza educativa del Paese.
Bisogna invece avere il coraggio di liberalizzare l’intero meccanismo, altrimenti lo scontro ideologico produrrà ulteriori danni a quello che è già una mastodontica e inefficiente struttura al servizio soltanto della corporazione che vi lavora.
Dobbiamo evitare che la scuola italiana ritorni a compiere gli stessi errori che comporterebbero un ulteriore abbassamento della qualità della scuola pubblica, ma soprattutto un impietoso "affamamento" della scuola libera.









Postato il Mercoledì, 29 ottobre 2008 ore 16:33:35 CET di Salvatore Indelicato
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