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Riforma: «Spaventata dai cortei? Neanche un poco. Casomai più decisa di prima». Il presidente Napolitano le ha telefonato. «Mi ha molto incoraggiata ».

Rassegna stampa

Dal sito Il Corriere della Sera

 

Vorrebbe che si ragionasse sul fatto che in questo Paese il numero degli addetti alla scuola è stato gonfiato in misura assurda. «Un milione e 300 mila persone. Questo ha comportato un aumento della spesa negli ultimi 10 anni del 30%, siamo passati da 33 a 43 miliardi di euro. Non ce lo possiamo permettere ». Ha difficoltà a procurarsi un quadro esatto dei conti, «io voglio i bilanci, ma la struttura è reticente nel fornire le informazioni». Non deve combattere solo la reticenza, ma anche le bugie. «I sindacati hanno messo in giro la voce che licenzieremo migliaia di insegnanti e molti finiranno negli uffici postali. Falso. Lo dico ad alta voce: non licenzieremo nessuno». Serve però un utilizzo migliore dei fondi. «Questo riguarda anche le università. Ci sono almeno 5 atenei con i conti fuori controllo. L'università rischia di finire come l'Alitalia e io voglio mettere mano subito a una riforma ». Ce ne sono troppe. «Se federalismo significa che ogni comune può farsi la propria università, dico chiaro che gli enti locali devono darsi una regolata». 

 

Consapevole che l'ambiente universitario è surriscaldato e bisogna mettere in conto le occupazioni. Ma sa pure che una riforma non può eludere «il problema sociale del precariato». Il governo di centrodestra farebbe la figura dell'ottuso «se non capisse che questa è una vera emergenza». Allora sta pensando al turnover, una quota del 20% dei docenti che escono andrebbe ai precari, «premiando i più meritevoli anche con aumenti, e Tremonti deve farmi il santo piacere di non dire sempre no». Accusa la sinistra di aver gonfiato il numero dei precari. «Prima ha creato il loro disagio sociale e ora cavalca questo disagio, ma chi difende lo status quo fa del male all'università ». 

 

Vorrebbe una sinistra che aiuti a trovare soluzioni, invece di protestare e basta. «Non ho capito la levata di scudi sulle classi separate. Se un bambino straniero che non conosce l'italiano studia la lingua in corsi separati cos'è, razzismo o buonsenso?». Sogna che i docenti moderati alzino la testa, che diano vita a una specie di marcia dei 40 mila, come quella famosa dei dirigenti Fiat. «Nelle università si fanno sentire solo i docenti di sinistra. Sarebbe ora che anche i moderati, per la miseria, mostrassero gli attributi». 

 

Marco Nese

 

18 ottobre 2008(ultima modifica: 19 ottobre 2008) 

 

Dal sito La repubblica

Gelmini: "Sembriamo di sinistra". "Questo governo sembra essere un governo di sinistra per come ha a cuore i bisogni della gente", aveva detto in precedenza il ministro dell'Istruzione, Maria Stella Gelmini, nel corso di un intervento al convegno della fondazione 'Magna Carta' a Norcia. Il ministro ha difeso punto per punto la riforma della scuola a partire dal maestro unico. Una formula - ha detto - che "esiste in tutti i paesi europei, mentre il cosiddetto modulo è una anomalia tutta italiana". 

 

Maria Stella Gelmini ha difeso il voto in condotta, che ha assicurato "non ha volontà sanzionatoria". Ha assicurato che non sarà tagliato il tempo pieno: "Durante le ore di lezione ci sarà un solo insegnante e gli altri due - ha assicurato Gelmini - saranno 'spalmati' in altri orari". 

 

Secondo la Gelmini sulla riforma della scuola "si stanno raccontando molte bugie: si è detto addirittura che ci saranno 87 mila licenziamenti". Frutto di disinformazione, secondo il ministro, anche le polemiche sulle classi ponte per gli immigrati, proposte in una mozione della Lega: "non si tratta di ghettizzare nessuno ma di affrontare il problema dell'aiuto verso chi viene da un paese straniero: sto cercando risorse per fare dei corsi di lingua italiana per i bambini immigrati in difficoltà".

 

Dal sito Il Giornale

 

Il messaggio lanciato ad amici e nemici è chiaro e semplice: è tornata la piazza. E con la piazza, questa è la deduzione non esattamente aristotelica, è tornata la sinistra. Quella vera, quella tosta, quella dei senza se e senza ma, quella che mette paura e che pur essendo costituzionalmente di lotta all'occasione può accollarsi l'onere d'essere anche di governo. A dare il via ai festeggiamenti per il ritorno della piazza fu Paolo Ferrero, segretario del clandestino partito della Rifondazione comunista. L'11 ottobre, a conclusione del corteo contro le politiche del governo Berlusconi dichiarò, con accenti tenorili: «Manifestazione riuscita al di là delle aspettative! È finita la ritirata dopo mesi di conflitti e congressi». Avrebbe potuto essere più sincero e ammettere che la ritirata era, anzi, è dovuta non alle beghe con Nichi Vendola quanto alla tremenda, definitiva batosta elettorale, ma il sacco comunista è quello e quella farina dà. Comunque sia, le parole di Ferrero hanno galvanizzato la sinistra in ritirata e larghi strati di quella in libera uscita e ora è tutto un festeggiare il ritorno alla piazza come strumento ideologico e dialettico, arma terribile nelle mani delle masse operaie e del proletariato urbano (cosa ne potranno fare, della piazza, i bambini delle elementari che hanno sfilato per salvare la scuola democratica minacciata dal grembiule classista è tutto da vedere. Si dia tempo al tempo).

 

Che la sinistra si sia storicamente appropriata della piazza facendola una cosa sua, è indubbio. Anche se la Marcia su Roma - che fu una marcia per convergere in una piazza, quella del Quirinale, niente di diverso delle marce per convergere, anni dopo, nella piazza di San Giovanni pavesata di bandiere rosse - consiglierebbe di andarci cauti nell'attribuire le primogeniture. Altrettanto indubbio è, però, che la piazza ha perduto molto del suo smalto e del potere intimidatorio. Un po' perché la si è inflazionata, un po' perché scavalcata dal popolo dei fax, dal popolo degli appelli, dal quello dei blog, da quello del girotondo, per non parlare delle piazze televisive, affollate come neanche Palmiro Togliatti se lo sognava. Che la sinistra-sinistra ne faccia dunque il tardo simbolo della propria identità e che con quella tenti di ringalluzzirsi, di uscire dalla ritirata è, per la sinistra medesima, un brutto segno. Perché significa ammettere di essere drammaticamente a corto di idee, di progetti, di programmi. Di politica. Significa riconoscere che non si può rifondare alcunché sulla polvere di una ideologia spazzata via dal vento della Storia. Ma siccome l'orgoglio di quella sinistra è pari alla sua incommensurabile saccenteria non si danno per vinti e si illudono di ritrovare una ragion d'essere, un ruolo politico in quanto signori delle masse. Scendono in piazza come lo sciupafemmine in disarmo assume il Viagra: per sentirsi, almeno per un'ultima volta, virilmente di sinistra.

 

Paolo Granzotto









Postato il Domenica, 19 ottobre 2008 ore 09:02:17 CEST di Salvatore Indelicato
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