Ci vorrebbe un altro Gentile. Un uomo di tempra, di occhiuta intelligenza, impopolare ma lungimirante, capace di reinventare il sistema scuola che in Italia fa acqua da tutti i lati.
Ci vorrebbe un Gentile del terzo millennio: qualcuno in grado di uscire dalla secche di un dibattito, molto retrodatato, che oppone la visione aziendalistica della trojka Tremonti-Gelmini-Brunetta («la
scuola consuma più di quanto renda») alla cieca ideologia conservatrice di quanti, in specie i sindacati, sembrano unicamente preoccupati di mantenere gli attuali, insostenibili livelli d’occupazione.
Siamo l’unico Paese d’Occidente in cui la ricreazione non è mai finita: né per i discenti, né per i docenti. Salvo i pochi infelici che, a forza di metterci tanta buona volontà, finiscono per rimetterci la faccia.
Come quell’insegnante che a Novara si è beccato un pugno in faccia e, giustamente, rifiuta di rientrare nella classe dove ritroverà il delinquente che lo ha colpito: difeso da genitori, compagni, consigli d’istituto e presidi di paglia... Perché la scuola italiana, così com’è, non è più riformabile. Perverso intreccio di egualitarismo corrivo e ignoranza diffusa, spesso impartita ex cathedra, è una scuola che
non forma e non informa. Specchio fedele di un Paese in piena stagnazione culturale. Ai minimi livelli di crescita civile. Questa scuola avrebbe bisogno di una rifondazione. Ma una rifondazione senza
retorica, senza proclami, senza slogan. Basterebbe che a scuola si ricominciasse - dove si può, dove si vuole - a fare scuola davvero. E che qualcuno, aspettando il nuovo Gentile, avesse il coraggio di dirlo
chiaro e tondo: la scuola deve essere aperta a tutti, certo. Ma non è, non può essere, fatta per tutti. Anche per chi (non solo, non tanto, studenti), ci va non avendo
voglia, o non sapendo proprio, fare nulla di meglio.
Giuseppe Testa da La Sicilia