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Umanistiche: Il Latino per l'Europa di domani

Rassegna stampa
D iceva un personaggio di A­natole France: «Per digerire il sapere bisogna averlo mangiato con appetito». Ci chiedia­mo: c’è questo appetito per il latino in Italia? Un’inchiesta fatta dall’as­sociazione TreElle evidenzia che l’I­talia è il Paese che più al mondo stu­dia latino: sarebbero quattro stu­denti su dieci. Da un’indagine fatta nel 2005, risultava che circa due mi­lioni e mezzo di studenti italiani, ol­tre un milione, cioè circa il 41% era impegnato nello studio del latino (in Francia il 19%, in Germania il 5-8%, in Gran Bretagna l’1-2/%, negli Sta­ti Uniti l’1,3%). Anche un altro dato può essere significativo, riguardo al­l’insegnamento delle lingue: i pro­fessori universitari che insegnano latino sono circa 280, di poco infe­riori a quelli che insegnano lingue moderne – circa 300 per ogni lingua moderna, come inglese francese, spagnolo.
Pur avendo questo primato, il vero problema si sposta dalla quantità al­la qualità: come viene insegnato e appreso il latino? E soprattutto che senso ha gettare un seme di latinità nel mondo? Mi paiono necessarie due risposte: una rivolta al passato, l’altra al futuro. Il latino ha caratte­rizzato più di due millenni di storia dell’Occidente. La lingua non è sol­tanto uno strumento di comunica­zione fra persone, né tanto meno un insieme di parole, ma espressione di un patrimonio di conoscenze, di cultura di modi di pensare, di frasi che costituiscono l’identità cultura­le di un popolo. Nel passato, per la formazione dell’Europa, il latino è stato veicolo di sapere e, divenuto lingua universale dell’Occidente, ha consentito all’Europa la consapevo­lezza di appartenere ad una stessa tradizione. Per vari secoli il latino è stato la lingua usata dalle persone dotte, dagli studiosi e dagli scien­ziati, è stata la lingua 'ufficiale' del­la Chiesa cattolica in Occidente, ga­rantendo così, anche linguistica­mente, la continuità con le radici del cristianesimo. O ggi le argomentazioni por­tate a favore del latino (ma alcune risalgano alla fine del XVIII secolo) riguardano un’effica­cia di ordine intellettuale e morale che lo studio del latino avrebbe rea­lizzato: 1) Apprendere il latino favorisce l’ap­prendimento delle lingue da essa derivate, fornisce l’etimologia di molte lingue neolatine o di elemen­ti che sono poi entrati in altre lingue, è facilitata la comprensione del vo­cabolario e la padronanza gramma­ticale. Ci rendiamo conto che l’an­tichità classica è l’intelaiatura por­tante della nostra tradizione stori­ca, linguistica intellettuale e scien­tifica dell’Europa. Si tenga presente che l’inglese è secondo solo all’ita­liano nell’essere 'la più latina' del­le lingue d’Europa: solo il 10% è fi­liazione diretta del vocabolario di matrice germanica, il resto è frutto di una progressiva assunzione di vo- caboli dal latino classico, medieva­le moderno. 2) L’apprendimento del latino era considerato utile e benefico per lo sviluppo delle facoltà intellettuali, per la capacità logica, per la memo­ria, per l’analisi e la sintesi. Si pen­sava inoltre che questa 'ginnastica mentale' fosse utile anche per altre materie.
3) Il latino avrebbe portato inoltre a pensare con precisione ed esattez­za, abituando alla brevità e conci­sione del pensiero da esprimere con termini appropriati: 'lottando', per così dire, col testo, lo studente si sa­rebbe fortificato per poi affrontare le difficoltà della vita. Come tutte le scienze, anche il latino contribuisce alla formazione di tutto l’uomo, per­ché ci insegnava già Montagne: «U­na testa ben fatta, vale più di una te­sta piena». 4) Infine si riconosceva al latino un grande qualità nella formazione in­tellettuale, estetica, artistica, mora­le che dava allo studente, a contat­to con i capola­vori dell’anti­chità classica, con una civiltà che aveva dato origine all’Euro­pa, trasmetten­do grandi valori, come il rispetto della persona, le regole per la so­cietà civile. Il la­tino dunque è stata una fonte feconda per la nostra civiltà occi­dentale. Al latino si era affidato una funzione culturale, una sociale e u­na di tecnica formativa: tutte devo­no essere strettamente collegate.
U na radicale abolizione del la­tino ci porterebbe a perdere la memoria del nostro pas­sato, perché tutta la tradizione ita­liana è stata fortemente impregna­ta di classicità e i nostri migliori e più grandi autori italiani si sono formati appunto sui classici: perde­remmo quel 'filo rosso' che ci col­lega al nostro passato. Pier Paolo Pa­solini spiazzò tutti con una difesa del latino originale ed imprevedibi­le: «Dobbiamo conoscere e amare il nostro passato, contro la ferocia spe­culativa di chi non ama nulla, non ri­spetta nulla, non conosce nulla. Il povero latino delle medie è un pri­mo minimo mezzo di conoscenza della nostra storia. È perciò secon­do me un errore voler abolire l’inse­gnamento del latino».
L a conoscenza del latino e del mondo classico serve anche per il futuro. Scrive Tullio De Mauro: «L’essere partecipi di una lingua e di una lingua di cultura, dunque di antica tradizione, è una vera rampa di lancio per le più in­novative imprese del pensiero, e non solo delle creazioni letterarie». In Italia, la classicità fa parte della nostra cultura, del nostro paesag­gio. Abbiamo moltissimi monu­menti, che rischiano di non essere più compresi se non sono illumi­nati dalla tradizione classica. Mo­numentum
deriva da moneo, che si­gnifica appunto far ricordare. Ora, se perdiamo la cultura e la tradizio­ne che hanno costruito questi mo­numenti, essi rischiano di diventa­re mucchi di pietre o sassi o insie­me di immagini incomprensibili nel loro vero valore. Così ad esempio la Colonna Traiana non direbbe più nulla della civiltà romana, non mi aiuterebbe più a comprendere l’uo­mo di quel tempo. Anche la lingua allora mi aiuta a en­trare in una cultura. Diceva E. B.Tay­lor: «La cultura intesa nel suo am­pio senso etnografico, è quell’insie­me complesso che include la cono­scenza, le credenze, l’arte, la mora­le, il diritto, il costume e qualsiasi al­tra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una so­cietà ». In tal modo la cultura roma­na si presenta 'altra' rispetto alla nostra, uno spazio privilegiato di co­me si viveva diversamente da come viviamo noi e questo induce alla consapevolezza che vi sono molti modi di vivere e quindi porterebbe ad una maggior e tolleranza e com­prensione tra diverse culture in que­sto mondo globalizzato.
Il latino dunque non può essere con­siderata lingua 'morta' solo perché non è più parlato correntemente: è morta solo quella lingua che oltre, a non essere è più parlata da nessuno, non lascia traccia nella cultura di un popolo. La lingua latina – bene in­segnata – può offrire oggi un pre­zioso aiuto per diffondere e recupe­rare valori umani e civili radicati nel patrimonio culturale europeo, of­frendo uno strumento linguistico per cogliere la natura universale del­le cose. S e il latino lo si salva studian­dolo bene e facendolo amare dagli allievi, allora avrà un sen­so gettar gettare un seme di latinità, perché ci farà scoprire l’uomo e le sue immense possibilità di futuro. Anche nell’era del computer ( computatorium nel latino moder­no) il latino può essere un luogo di condivisione dei valori, utile per l’og­gi e il domani. Dice un proverbio: «Quando uomini piccoli fanno om­bre lunghe, il sole è basso all’oriz­zonte ». Ci auguriamo che sul latino non si distendano ombre lunghe, ma che il sole della cultura e dei va­lori sia sempre alto all’orizzonte.








Postato il Giovedì, 02 ottobre 2008 ore 15:17:25 CEST di Maria Allo
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