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Voce alla Scuola: La meta è una riforma condivisa della scuola.

Opinioni

Con ogni probabilità occorre fare chiarezza per evitare punture di polemica artificiosa al fine di banalizzare un problema rilevante se non addirittura fondamentale per il futuro di questa Nazione che, come dovrebbe essere per lo più noto, è abbastanza arretrata rispetto all’Occidente d’Europa e non solo sui livelli occupazionali-industriali-economici ma anche su quelli più squisitamente civili, culturali e democratici.

Che ci sia bisogno di una riforma della scuola, e non solo, è un punto fermo del dibattito di chi crede ancora nella funzione educativa della istruzione e nella sua centralità politica e culturale. Avere cittadini sapienti significa affidare il paese a cittadini consapevoli e quindi non strumentalizzabili né ricattabili né sfruttabili né mercificabili ma che sappiano scegliere con ponderatezza e scienza chi li dovrà guidare verso il futuro. L’obiettivo primario della scuola è questo e la funzione primaria della cultura che si elargisce nelle aule è questa.

Il filosofo Giovanni Gentile, che non era né economista né avvocato né industriale, nel 1922 aveva in mente proprio un tale progetto a giudicare dai risultati; allora si rimboccò le maniche, parlò e si consultò con i maggiori pedagogisti del tempo, anche comunisti come Giuseppe Lombardo Radice, con forze cattoliche e socialiste, di cui già esisteva un bozza di progetto, e costruì una fortezza che ancora oggi resiste.

Nel terzo millennio, di fronte al bombardamento della globalizzazione, alla invasione di extracomunitari, allo sbarco dei cinesi, alla crisi dei mercati americani, alla moltiplicazione strepitosa di mezzi di comunicazione, alla richiesta di consumi e di modelli di vita diversi di cui si nutrono i paesi in via di sviluppo, questo governo e questa ministra in modo unilaterale e con giustificazioni di spicciola semplificazione  tagliano i fondi all’istruzione e nello stesso tempo coprono scelte scellerate gridando che stanno attuando quando promesso.

Non ci interessa da quale sponda politica parte una riforma, capiamo però che un governo rigoroso e rispettoso dei destini della nazione che amministra, di fronte alla evidenziate manchevolezza della nostra scuola, alla sua inadeguatezza ad affrontare le sfide del futuro, avrebbe dovuto mettere sul tappeto la questione in modo scientifico e poi procedere alla sua risoluzione, come per certi versi ha tentato di fare Prodi col famoso “Quaderno bianco”. L’obiettivo infatti di quello studio era di vagliare in modo scientifico lo stato della scuola per intervenire e non a forza di decreti ma con una legge di alto profilo e soprattutto condivisa. I risultati, oltre a essere alla portata di tutti, dovevano essere la premessa non per aggiustare, come maldestramente fece Fioroni, ma per riformare del tutto.

Chi opera nella scuola sa più di ogni altro dove si rifugia la belva, o le belve, ma sa pure che non si può riformare a colpi di maggioranza o sulla base di interessi di parte o con slogan o su paure o con demagogie o su populismi di maniera. Da anni, chi opera con serietà nella scuola, sa bene che gli interventi a colpi di scimitarra provocano sbando, incertezza, paure, smarrimento. E sa pure che da sempre il docente, tranne casi illuminati, è stato sempre lasciato solo a sbrigarsela coi mille problemi giornalieri e con le mille circolari in arrivo. E sa pure della grande sconoscenza (ignoranza?) che i professori hanno in materia di diritti e di doveri, di ruoli e di impegno. Sfuggire da questo dato appare come sfuggire dalla realtà.

Tutte queste considerazioni messe insieme avrebbero dovuto spingere i docenti tutti, non a tifare o applaudire per il grembiule o il voto di condotta ma a spingere il Governo a una vera riforma condivisa, nel senso del coinvolgimento di esperti, di operatori d’alto profilo, delle associazioni di categoria, dei sindacati per tracciare la strada o costruire la nuova roccaforte del sapere. Una riforma sine ira et studio, discussa da ogni fonte culturale e pedagogica con l’obiettivo di migliorare il paese, partendo dai giovani. Su questo (rivoluzionario) principio riformatore i professori dovrebbero innalzare barriere e battersi perché loro, più di ogni altro, sono i primi a essere interessati. Una riforma che preveda pure la riformulazione del conseguimento del titolo di studio universitario e della successiva abilitazione. Perché anche questo è un nodo: chi ottiene qualcosa con sudore e sacrifico pretenderà lo stesso dagli altri. Chi è garantito dalle istituzioni non si smarrirà nelle incertezze. L’accusa da rivolgere, non a Gelmini che è un semplice portavoce, ma a chi le sta dietro è solo e solamente questa: volete una scuola più preparata? Riformatela dal profondo ma coinvolgendo l’intero paese. Non buttate fumo negli occhi, ma andate al sodo e la minaccia di Brenno, guai ai vinti, non usatela per l’istruzione che riguarda tutti,ma lanciatela su altri fronti politici.  

PASQUALE ALMIRANTE  









Postato il Lunedì, 29 settembre 2008 ore 11:58:27 CEST di Pasquale Almirante
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