Vorrei chiedere, per esempio, a Galli
della Loggia cosa sa effettivamente
del sistema scolastico del Nord Italia e
del livello medio degli studenti che
frequentano i corsi delle Università
del Centro-Nord. A me risulta personalmente
che gli studenti universitari
del Centro-Nord abbiano un livello
di comprensione critica del mondo
in cui viviamo pari a zero e che per la
maggior parte degli studenti il senso
dello studiare sia privo di ogni motivazione
autentica, ma determinato solo
dalla vaghezza delle prospettive occupazionali.
Galli della Loggia non tematizza il
problema della difficoltà generale del
mondo giovanile a motivarsi per una
ricerca del significato degli avvenimenti
e del diffondersi di una mentalità
opportunistica secondo cui il titolo
di studio serve soltanto a favorire
l’inserimento nel mondo del lavoro.a scuola del Sud Galli della Loggia
ha impresso alla realtà del
Sud le stimmate dell’incultura e
dell’ignoranza della realtà contemporanea.
Il Sud, come da sempre, viene
presentato come il luogo dell’arretratezza
e della subalternità culturale. Il
"solito sud" fatto di localismi incapaci
di misurarsi con la nuova civiltà
dell’informatica e dell’ingegneria.
Effettivamente, il Sud non partecipa
all’universalismo della globalizzazione
e dell’omologazione delle forme
di vita. È, però, paradossale che "la
rappresentazione del Sud" sia data in
appalto ad intellettuali del Nord che
vivono all’interno di nicchie culturali
e di lobby mediatiche autoreferenziali
e che non hanno trascorso neppure
una settimana della loro esistenza
nella realtà sociale del nostro mondo.
L’incomprensione della deriva culturale
del mondo giovanile è certamente
un limite grave della riflessione di
Galli della Loggia, perché questa va
ben oltre i confini territoriali del Sud.
Oggi, uno studente torinese o milanese
sia della Bocconi, sia della Cattolica,
sia della Statale, non riesce a trovare
nessun rapporto fra il mondo in cui vive
e i concetti che gli vengono somministrati.
L’astrazione dalla realtà ha
raggiunto nelle corporazioni dei docenti
universitari livelli di aberrazione
non sostenibili in qualsiasi luogo si
pensi di formare i futuri cittadini. Dove
si studia, in Italia, il rapporto fra l’espansione
delle neuroscienze e l’idea
di una libera elaborazione delle risposte
alla biotecnologia e alla diffusione
della logica delle protesi per
compensare ogni problema di funzionalità
esistenziale? Non mi risulta
che alla Bocconi o alla Statale esistano
importanti corsi per aggiornare la
comprensione del rapporto fra tecnologia
e vita, fra soggettività e realtà
esterna.
Siamo in un’epoca in cui non è più
chiaro cosa sia un uomo rispetto a un
primate che mostra affettività e capacità
capacità di calcolo delle convenienze. Cosa dobbiamo apprendere dalle Scuole Italiane: l’adattamento all’evoluzione biologica o l’inquietudine della domanda sul senso della vita? In tutto il paese c’è una crisi del sistema educativo che coinvolge la visione dei compiti della scuola e dell’educazione. I giovani del Sud sono meno informatizzati e scarsamente capaci di parlare in inglese. Ma è questo il criterio per giudicare il rapporto fra il mondo meridionale e il livello globale di standardizzazione della formazione scolastica? Non c’è, forse, nel Sud una resistenza legata ancora a forme di vita che attribuiscono al rapporto con le tradizioni un significato che altrove sembra non sussistere più? Chi può stabilire che una visione familiare della solidarietà sia arretrata rispetto alla visione dell’individualismo corporativo? La pretesa di considerare il Sud come pura arretratezza silenziosa, non è una presunzione arrogante e intellettualistica che fissa priori i criteri per l’ammissibilità alla presenza nel mondo globale di ciò che non si lascia ridurre ai parametri dei nuovi poteri informatico-finanziari?
Non sono un difensore acritico della specificità meridionale e siciliana, giacché anche noi siamo immersi nel mondo globalizzato e subiamo le conseguenze delle nuove forme di vita. Ma ciascuna realtà va valutata iuxta propria principia e non si riconoscono gerarchie che si impongono sulla base di una "modernizzazione" che non riesce a coinvolgere tante parti dell’umanità. Il Sud oggi è marginalizzato e oppresso dall’invenzione mediatica di una questione settentrionale che ha capovolto i termini storici della dialettica del nostro paese. Io non penso che il Sud debba chiedere aiuti e sostanze al Nord, ma penso che l’unità del paese, sul piano economico, sociale e culturale sia un problema aperto per tutti. Non si può pensare un destino del paese senza fare i conti con la divisione storica fra Nord e Sud. Questa divisione non è riducibile al binomio modernità-arretratezza che condanna il Sud a un inseguimento di modelli esterni; è necessaria un’analisi differenziata delle vocazioni sociali, produttive e culturali delle diverse
realtà geoculturali che sono la ricchezza multiforme della nostra identità nazionale. La scuola del Sud non è arretrata perché gli insegnanti sono più incolti o più permissivi, ma perché l’idea del paese e dell’unità non ha dato vita a istituzioni in cui i cittadini possano riconoscersi. Il problema del Sud è l’assenza di Stato, su cui le classi dominanti del paese hanno costruito il sistema delle clientele e delle zone franche della legalità. La responsabilità di questo stato di cose chiama in causa tutti i partiti, intellettuali e media. Non è Galli della Loggia che può prescrivere le regole del riscatto del Sud, ma una riforma generale della politica e delle formazioni delle classi dirigenti. Finché il Centro del Potere cerca ascari per controllare le province, e l’alleanza è sostenuta dal sistema mediatico-intellettuale, nessuno ha il diritto di criticare il Sud per la sua arretratezza. Luigi Berlinguer, citato da Galli della Loggia, è il primo responsabile della dissoluzione del nostro sistema formativo, abbandonato ad un’impossibile mediazione fra logiche economico-aziendalistiche e
istanze di autonomia culturale e di autogestione responsabile. La sinistra, prima ancora che la destra completasse l’opera, ha mostrato un’incapacità culturale a capire i problemi, che Luigi Berlinguer ha solo esaltato senza neppure affrontarli, della formazione culturale in una società massificata. Se il Sud oggi appare privo di una propria autorappresentazione, dipende anche dalla violenta discriminazione che i media nazionali e le istituzioni culturali hanno mostrato nei confronti dell’intellettualità meridionale. Il silenzio del Sud è piuttosto l’effetto della sordità e della supponenza degli intellettuali-opinionisti che hanno il monopolio di televisione e carta stampata. Personalmente riesco a scrivere solo su "La Sicilia", che ha ospitato articoli "urlati" di critica alle classi dirigenti del Sud e del Nord e, purtroppo, non ho mai avuto nessun riscontro. Sulla scuola e sulla penosa riforma della Gelmini ho scritto più volte in questi giorni; denunciando i mali del Sud, ma tenendo presenti anche quelli del Nord. Non mi pare che i disastri nazionali che hanno decimato i risparmi degli italiani siano imputabili ai meridionali. Da quando si parla di "questione settentrionale" si stanno operando le più sciagurate discriminazioni verso il Sud e il paese è drammaticamente spaccato in due. Dirigo una collana delle edizioni Dedalo (Bari), in cui sono apparsi volumi- inchiesta di denuncia sui rapporti tra mafia e politica e sulla corruzione nelle università italiane, ma nessuno si è arrischiato a citarli. Se volete parlare del Sud, evitate di farlo nella tranquilla solitudine dei vostri studi, lontani dalla realtà complessa di questa parte del mondo. Dalla Sicilia