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News: Giovani e sistema scolastico. Il grido che viene dal Sud

Rassegna stampa

La scuola del Sud non è arretrata perché gli insegnanti sono più incolti o più permissivi, ma perché l'idea del Paese e dell'unità non ha dato vita a istituzioni in cui i cittadini possano riconoscersi.
La responsabilità di questo stato di cose chiama in causa partiti, intellettuali e media. Il silenzio del Sud è l'effetto della sordità e della supponenza degli intellettuali che hanno il monopolio della tv e della carta stampata.
Pietro Barcellona

La scuola del Sud Galli della Loggia ha impresso alla realtà del Sud le stimmate dell'incultura e dell'ignoranza della realtà contemporanea. Il Sud, come da sempre, viene presentato come il luogo dell'arretratezza e della subalternità culturale. Il "solito sud" fatto di localismi incapaci di misurarsi con la nuova civiltà dell'informatica e dell'ingegneria. Effettivamente, il Sud non partecipa all'universalismo della globalizzazione e dell'omologazione delle forme di vita. È, però, paradossale che "la rappresentazione del Sud" sia data in appalto ad intellettuali del Nord che vivono all'interno di nicchie culturali e di lobby mediatiche autoreferenziali e che non hanno trascorso neppure una settimana della loro esistenza nella realtà sociale del nostro mondo. Vorrei chiedere, per esempio, a Galli della Loggia cosa sa effettivamente del sistema scolastico del Nord Italia e del livello medio degli studenti che frequentano i corsi delle Università del Centro-Nord. A me risulta personalmente che gli studenti universitari del Centro-Nord abbiano un livello di comprensione critica del mondo in cui viviamo pari a zero e che per la maggior parte degli studenti il senso dello studiare sia privo di ogni motivazione autentica, ma determinato solo dalla vaghezza delle prospettive occupazionali. Galli della Loggia non tematizza il problema della difficoltà generale del mondo giovanile a motivarsi per una ricerca del significato degli avvenimenti e del diffondersi di una mentalità opportunistica secondo cui il titolo di studio serve soltanto a favorire l'inserimento nel mondo del lavoro. L'incomprensione della deriva culturale del mondo giovanile è certamente un limite grave della riflessione di Galli della Loggia, perché questa va ben oltre i confini territoriali del Sud. Oggi, uno studente torinese o milanese sia della Bocconi, sia della Cattolica, sia della Statale, non riesce a trovare nessun rapporto fra il mondo in cui vive e i concetti che gli vengono somministrati. L'astrazione dalla realtà ha raggiunto nelle corporazioni dei docenti universitari livelli di aberrazione non sostenibili in qualsiasi luogo si pensi di formare i futuri cittadini. Dove si studia, in Italia, il rapporto fra l'espansione delle neuroscienze e l'idea di una libera elaborazione delle risposte alla biotecnologia e alla diffusione della logica delle protesi per compensare ogni problema di funzionalità esistenziale? Non mi risulta che alla Bocconi o alla Statale esistano importanti corsi per aggiornare la comprensione del rapporto fra tecnologia e vita, fra soggettività e realtà esterna. Siamo in un'epoca in cui non è più chiaro cosa sia un uomo rispetto a un primate che mostra affettività e capacità di calcolo delle convenienze. Cosa dobbiamo apprendere dalle Scuole Italiane: l'adattamento all'evoluzione biologica o l'inquietudine della domanda sul senso della vita? In tutto il paese c'è una crisi del sistema educativo che coinvolge la visione dei compiti della scuola e dell'educazione. I giovani del Sud sono meno informatizzati e scarsamente capaci di parlare in inglese. Ma è questo il criterio per giudicare il rapporto fra il mondo meridionale e il livello globale di standardizzazione della formazione scolastica? Non c'è, forse, nel Sud una resistenza legata ancora a forme di vita che attribuiscono al rapporto con le tradizioni un significato che altrove sembra non sussistere più? Chi può stabilire che una visione familiare della solidarietà sia arretrata rispetto alla visione dell'individualismo corporativo? La pretesa di considerare il Sud come pura arretratezza silenziosa, non è una presunzione arrogante e intellettualistica che fissa a priori i criteri per l'ammissibilità alla presenza nel mondo globale di ciò che non si lascia ridurre ai parametri dei nuovi poteri informatico-finanziari? Non sono un difensore acritico della specificità meridionale e siciliana, giacché anche noi siamo immersi nel mondo globalizzato e subiamo le conseguenze delle nuove forme di vita. Ma ciascuna realtà va valutata iuxta propria principia e non si riconoscono gerarchie che si impongono sulla base di una "modernizzazione" che non riesce a coinvolgere tante parti dell'umanità. Il Sud oggi è marginalizzato e oppresso dall'invenzione mediatica di una questione settentrionale che ha capovolto i termini storici della dialettica del nostro paese. Io non penso che il Sud debba chiedere aiuti e sostanze al Nord, ma penso che l'unità del paese, sul piano economico, sociale e culturale sia un problema aperto per tutti. Non si può pensare un destino del paese senza fare i conti con la divisione storica fra Nord e Sud. Questa divisione non è riducibile al binomio modernità-arretratezza che condanna il Sud a un inseguimento di modelli esterni; è necessaria un'analisi differenziata delle vocazioni sociali, produttive e culturali delle diverse realtà geoculturali che sono la ricchezza multiforme della nostra identità nazionale. La scuola del Sud non è arretrata perché gli insegnanti sono più incolti o più permissivi, ma perché l'idea del paese e dell'unità non ha dato vita a istituzioni in cui i cittadini possano riconoscersi. Il problema del Sud è l'assenza di Stato, su cui le classi dominanti del paese hanno costruito il sistema delle clientele e delle zone franche della legalità. La responsabilità di questo stato di cose chiama in causa tutti i partiti, intellettuali e media. Non è Galli della Loggia che può prescrivere le regole del riscatto del Sud, ma una riforma generale della politica e delle formazioni delle classi dirigenti. Finché il Centro del Potere cerca ascari per controllare le province, e l'alleanza è sostenuta dal sistema mediatico-intellettuale, nessuno ha il diritto di criticare il Sud per la sua arretratezza. Luigi Berlinguer, citato da Galli della Loggia, è il primo responsabile della dissoluzione del nostro sistema formativo, abbandonato ad un'impossibile mediazione fra logiche economico-aziendalistiche e istanze di autonomia culturale e di autogestione responsabile. La sinistra, prima ancora che la destra completasse l'opera, ha mostrato un'incapacità culturale a capire i problemi, che Luigi Berlinguer ha solo esaltato senza neppure affrontarli, della formazione culturale in una società massificata. Se il Sud oggi appare privo di una propria autorappresentazione, dipende anche dalla violenta discriminazione che i media nazionali e le istituzioni culturali hanno mostrato nei confronti dell'intellettualità meridionale. Il silenzio del Sud è piuttosto l'effetto della sordità e della supponenza degli intellettuali-opinionisti che hanno il monopolio di televisione e carta stampata. Personalmente riesco a scrivere solo su "La Sicilia", che ha ospitato articoli "urlati" di critica alle classi dirigenti del Sud e del Nord e, purtroppo, non ho mai avuto nessun riscontro. Sulla scuola e sulla penosa riforma della Gelmini ho scritto più volte in questi giorni; denunciando i mali del Sud, ma tenendo presenti anche quelli del Nord. Non mi pare che i disastri nazionali che hanno decimato i risparmi degli italiani siano imputabili ai meridionali. Da quando si parla di "questione settentrionale" si stanno operando le più sciagurate discriminazioni verso il Sud e il paese è drammaticamente spaccato in due. Dirigo una collana delle edizioni Dedalo (Bari), in cui sono apparsi volumi-inchiesta di denuncia sui rapporti tra mafia e politica e sulla corruzione nelle università italiane, ma nessuno si è arrischiato a citarli. Se volete parlare del Sud, evitate di farlo nella tranquilla solitudine dei vostri studi, lontani dalla realtà complessa di questa parte del mondo.

«Prof bravi in Sicilia oscurati dai precari».
L'analisi.
«C'è anche un problema sociale - spiega il dirigente  dell'Anp, Indelicato - che ci penalizza»
Andrea Lodato Catania.
«Esistono professori anche in Sicilia che viaggiano sui livelli dell'eccellenza, né più e né meno seguendo i parametri nazionali.
Ma da queste parti la folla di precari che ha scelto di insegnare non per una vera e propria mission, ma per necessità, oscura il lavoro dei migliori».
L'analisi è del prof. Salvatore Indelicato, che guida l'Associazione nazionale dei presidi a Catania e che due anni fa in un'inchiesta del nostro giornale tuonò: «Troppi analfabeti arrivano alla scuola superiore, così non si può andare avanti».
E allora c'è da chiedere al preside dell'Istituto Tecnico industriale di Catania Cannizzaro, se per caso non abbiano ragione la ministra Gelmini, l'ex ministro Berlinguer e Galli della Loggia quando parlano di buonismo eccessivo della scuola meridionale e di professori non proprio e non sempre all'altezza.
«Non si può generalizzare, ma se parliamo con dati di fatto e numeri, purtroppo, quel che viene fuori non depone a favore del Sud e della Sicilia. Perché qui al di là di carenze strutturali e logistiche, ci troviamo spesso di fronte a professori che non riescono a far raggiungere agli studenti nemmeno livelli medi, non diciamo di eccellenza. Penso a matematica e scienze, ai concorsi che ci vedono schiacciati dalle scuole del Centro e del Nord».
Che cosa c'è dietro questo gap?
Il preside parla della situazione che si registra in Sicilia e che ha valutato costantemente anche con i colleghi presidi di tante scuole dell'Isola: «Abbiamo professori molto bravi anche noi, ma la loro abilità, la loro passione, il loro lavoro spesso viene oscurato da quella marea di precari che hanno scelto di fare gli insegnanti non per vocazione, ma per necessità.
E quando entrano in una scuola e cominciano ad insegnare, non sempre lo fanno con voglia, interesse, serietà. E, purtroppo, da noi questa presenza destabilizzante è più massiccia che al Nord».
Proviamo a strappare qualche percentuale, non scientifica, ma indicativa. Secondo il preside Indelicato in Sicilia possiamo considerare che c'è un buon 30% di professori che stanno sull'eccellenza e nulla hanno da invidiare ai colleghi del Centro-Nord. Poi segue un 60% circa di professori che fanno il loro mestiere cercando di metterci serietà, ondeggiando tra mediocrità e sforzo, impegno e tirare a campare, senza far troppo danno. Manca un quasi 10%. «E' quello che ci mette più seriamente in difficoltà, gente che, spesso, non potrebbe nemmeno entrare in una classe, affrontare gli studenti, perché ci troviamo di fronte a vere e proprie patologie.
Che possiamo farci? Licenziare no, e spesso quando i dirigenti presentano esposti finiscono loro sul banco degli imputati dagli ispettori. Dunque questo 10%, che è quello per cui arrivano centinaia di denunce dai genitori, vanno utilizzati senza nuocere. Poche classi e, magari, sempre diverse di anno in anno». Ma non c'è solo questo, il preside Indelicato lo sa.
C'è che quando lanciò l'allarme sugli analfabeti che sbarcano alle Superiori parlava anche di allarme sociale: «E' così, anche questa è una realtà vera e triste ed appartiene prevalentemente al Sud.
Noi ci troviamo al primo anno di Superiori alle prese con studenti non ancora scolarizzati, che faticano a stare seduti nei banchi, che spesso si iscrivono ma non vengono a scuola.
E dobbiamo andare a prenderli a domicilio, di casa in casa».
Su questo converrebbe riflettere molto, così come sulle opportunità che tessuti sociali profondamente diversi offrono agli studenti. «Il mio collega dell'Iti di Verona - conclude Indelicato - ha la possibilità di scegliere tra centinaia di imprese per far svolgere agli studenti stage e, di conseguenza, enormi sono le prospettive occupazionali che si aprono. Anche questo aiuta a far studiare meglio».









Postato il Martedì, 16 settembre 2008 ore 18:53:28 CEST di Salvatore Indelicato
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