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Riforma: Da Berlinguer alla Gelmini: tutti i ministri ci hanno provato inutilmente; ma la Gelmini sembra fatta di altra pasta e rischia di riuscire

Opinioni

da Repubblica

E col maestro unico addio a sessantamila cattedre

"Uno spreco, le nostre elementari sono tra le migliori al mondo"
SALVO INTRAVAIA

ROMA - Il maestro unico cancellerà più di 60 mila cattedre. Lo afferma il segretario generale della Uil scuola, Massimo Di Menna, che parla di «proposta sbagliata». E precisa: «Non è soltanto una questione di posti di lavoro: non siamo pregiudizialmente contro l´eliminazione degli sprechi, dove esistono; ma l´idea di tornare nella scuola primaria al maestro unico è sbagliata, basta guardare le rilevazioni internazionali per convincere a non proseguire su questa strada che ci pare offuscata dalla ideologia».
I numeri della Uil sono eloquenti. Dal 1990, la scuola elementare funziona utilizzando il modulo che prevede tre insegnanti su due classi. Considerando soltanto le 104 mila classi a tempo normale (con orario antimeridiano), la reintroduzione del maestro unico farebbe saltare 53 mila posti. Se si considerano le 33 mila classi a tempo prolungato si supera facilmente il traguardo delle 60 mila cattedre. E per il Centro studi per la scuola pubblica, i posti in pericolo sarebbero addirittura 83 mila.
Per centrare l´obiettivo annunciato l´altro ieri dalla Gelmini «occorre bloccare le assunzioni nella scuola primaria per 11 o 12 anni»: bisogna infatti aspettare i pensionamenti, che nel 2008 alla primaria hanno superato di poco le 5mila unità, per tagliare tanti posti. «Eventualità che – continua Di Menna – pare assurda, perché in contraddizione con l´idea manifestata dal ministro di rinnovare la scuola: Come? Bloccando le assunzioni per oltre un decennio? E i 78 mila supplenti iscritti nelle graduatorie provinciali, che fine fanno?».
La crociata dei sindacati è confortata anche dai dati internazionali, che pongono la scuola elementare italiana fra le prime al mondo. Per il Timss & Pirls International study center del Boston college (Massachusetts), che ha recentemente diffuso i dati sulle competenze di Lettura degli alunni al quarto anno di scolarizzazione (9 anni, in Italia), su 40 nazioni testate i nostri bambini occupano il sesto posto davanti a Usa, Germania e Francia. Al centro dello studio Pirls 2006 il concetto di Reading literacy: «L´abilità di capire e usare quelle forme di linguaggio scritto richieste dalla società e/o apprezzate dall´individuo». Anche nel Timss 2003 (che misura le competenze in Matematica e Scienze) i bambini italiani di scuola elementare mostrano un «livello di apprendimento significativamente superiore alla media».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

da Repubblica

"Quattromila scuole a rischio chiusura" allarme per i tagli, sindaci in rivolta

L´ex ministro Fioroni: "Così salta il diritto all´istruzione pubblica"
MARIO REGGIO

ROMA - I piccoli comuni, quelli di montagna o delle isole minori, dovranno dire addio alle scuole. Più di mille potrebbero cadere sotto mannaia dei tagli prevista dal decreto approvato dal Parlamento. Ma se il ministero decidesse di seguire la stessa strada per gli istituti con meno di 600 alunni il cataclisma colpirebbe più di 4 mila scuole. È l´effetto del decreto 112/2008 che fissa in 7 miliardi e 800 milioni il risparmio della Pubblica istruzione nei prossimi quattro anni. Una scelta che equivale ad un taglio di 101mila insegnanti e 47mila non docenti. Il decreto delega al ministro Mariastella Gelmini il compito di elaborare, entro 45 giorni, un piano per raggiungere gli obiettivi. Il ministro ha prima annunciato che gli accorpamenti riguarderanno le scuole con meno di 500 alunni, poi, nel corso degli incontri con le organizzazioni sindacali ha parlato di un tetto minimo di 600 studenti.
«Un vero disastro - commenta l´ex ministro dell´Istruzione Giuseppe Fioroni - così salta il diritto universale all´istruzione pubblica garantito dalla Costituzione, chi è ricco potrà permettersi le scuole di alto livello, le altre famiglie dovranno accontentarsi di quello che resta, compresa la formazione professionale. Il piano di Tremonti è ormai chiaro, e se andrà in porto sarà un dramma per il Paese».
Ma da dove escono fuori questi numeri preoccupanti? «Siamo partiti dai dati ufficiali del ministero della Pubblica istruzione relativi al 2007-2008 ed abbiamo elaborato una serie di proiezioni in base ai tagli del personale ed alla consistenza numerica degli studenti nelle scuole - chiarisce Mariangela Bastico, per anni assessore alla scuola in Emilia-Romagna e viceministro di Giuseppe Fioroni - Abbiamo poi messo in relazione i dati rispetto alle ipotesi di accorpamento per le scuole con meno di 500 o di 600 alunni. Ne esce fuori un panorama molto preoccupante. Presenteremo oggi i risultati dell´inchiesta alla festa nazionale del Pd a Firenze».
Vediamo, attraverso esempi pratici, cosa potrebbe accadere nel prossimo futuro. Nelle grandi aree urbane, come Roma, Napoli, Palermo o Milano, spostare una scuola di piccole dimensioni in un´altra non crea problemi insormontabili. A parte le famiglie che hanno la scuola vicino a casa, in genere, i bambini vengono accompagnati in macchina e si tratterebbe di fare qualche chilometro in più. Certo ci potranno essere più disagi ed un aumento dello stress da traffico, ma nelle città ci si è assuefatti. Altra storia è quella che riguarda il piccolo paese nelle valli alpine, sull´Appennino tosco-emiliano o sui monti del Sannio. Lì bambini e genitori saranno costretti ogni mattina ad una levataccia, e dovrà essere il Comune ad organizzare il servizio di trasporto scolastico.
«Ho appena finito un incontro con un gruppo di sindaci delle comunità montane a Barga, in provinicia di Lucca - confida Mariangela Bastico - e dire che sono usciti molto preoccupati è dir poco. A parte i problemi logistici e finzanziari, il problema è che si va verso uno smantellamento della scuola come presidio sociale ed identitario, in piccoli paesi dove ha già chiuso l´ufficio postale e magari anche la stazione dei carabinieri».
Ancora più drammatica la prospettiva per le piccole isole: Lipari, Panarea, Pantelleria, Lampedusa, l´isola del Giglio, Ponza e tante altre. Difficile trasferire i piccoli delle elementari con un gommone sulla terraferma, condizioni meteo a parte.
Ma in forza del principio dei tagli, tutto è possibile. «Tagliare 100 mila insegnanti vuol dire cambiare il sistema scolastico italiano - commenta Mariangela Bastico - ma non è un´operazione campata in aria. Abbiamo 25 mila posti vacanti, ogni anno vanno in pensione 30 mila insegnanti, quelli di ruolo si possono usare per cancellare le supplenze. Non si licenzia nessuno ed in quattro anni si raggiunge l´obiettivo di Tremonti. Ma i costi sarebbero pesantissimi: il definitivo abbandono della scuola pubblica, ed il crollo definitivo del sistema di istruzione».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

da Unità

Voto in condotta o voto elettorale?
Benedetto Vertecchi

In queste ultime settimane si è assistito alla ripresa di simboli collegati all’educazione da tempo dimenticati nelle soffitte delle scuole. Di fronte alla gravità della crisi che, in varia misura, sta investendo i sistemi scolastici dei Paesi industrializzati si sono richiamati aspetti marginali del funzionamento delle scuole, come l’uso del grembiule o l’espressione numerica dei voti. Alle manifestazioni di rifiuto della disciplina scolastica, fra le quali le più rilevanti sono quelle che sfociano in episodi di bullismo, si oppongono solo misure repressive, come se bastasse agitare lo spauracchio di un sette in condotta per ridurre a più miti consigli gli allievi meno inclini ad accettare le regole della convivenza e dell’impegno nella scuola.

Di per sé i cambiamenti introdotti sono di scarsa entità, o del tutto marginali, come nel caso del ritorno all’espressione numerica dei giudizi di valutazione. Chiunque abbia un minimo di dimestichezza con la teoria valutativa sa, infatti, che un voto è un giudizio comparativo, che non esprime quantità, ma solo la posizione relativa dell’allievo al quale tale giudizio è assegnato rispetto agli altri presi in considerazione. Pertanto non c’è differenza fra la scala dei voti numerici da uno a dieci ora di nuovo introdotta nelle scuole elementari e medie e quella preesistente centrata su aggettivi e altre formulazioni verbali. In altri Paesi si usano lettere dell’alfabeto (per esempio, negli Stati Uniti il giudizio più positivo è indicato con la lettera A e quello più negativo con la E), scale numeriche più limitate (in Russia i voti variano da uno a cinque) oppure più estese (in Francia il voto più elevato è venti). Quel che conta non è come si esprime il voto, ma quali sono gli elementi sulle base dei quali si perviene a formularlo: si avrebbe un cambiamento effettivo se le scuole fossero messe in condizione di adeguare la loro cultura educativa alle nuove esigenze che si presentano nel lavoro educativo.

Sarà bene riflettere sulla confusione che non potrà non seguire all’uso del voto in chiave repressiva (com’è nel caso della condotta). È dubbio che la repressione sia efficace, ma è molto probabile che costituisca il punto di partenza per una contaminazione nel giudizio di valutazione fra aspetti cognitivi, affettivi e di socializzazione. È questo che si vuole? Probabilmente no. Tutto fa pensare che i cambiamenti appena introdotti non siano prevalentemente rivolti a migliorare le condizioni dell’educazione scolastica, ma debbano essere intesi come segnali rassicuranti rivolti a quella larga parte della popolazione che conserva la memoria autobiografica dei voti numerici (o del grembiulino, o del maestro unico). In altre parole, si rispolverano simboli capaci di trasmettere tranquillità ai genitori e ai nonni, ma del tutto irrilevanti per i bambini e i ragazzi che saranno direttamente investiti dalle nuove norme. Non solo: l’assunzione di un ruolo repressivo da parte della scuola libera la società civile (anche le famiglie) dalle responsabilità che pure dovrebbero essere avvertite circa le tendenze negative che si osservano nell’evoluzione dei profili di bambini e ragazzi. Eppure ci si dovrebbe chiedere che parte hanno nel manifestarsi di tali tendenze i messaggi attraverso i quali la società esercita il proprio potere di condizionamento sui comportamenti di bambini e ragazzi. La scuola sollecita all’impegno nell’apprendimento in un contesto in cui tutto sembra spingere nella direzione contraria, nel quale la cultura non costituisce un valore particolarmente apprezzato e nel quale la maggiore enfasi è posta sulla disponibilità di beni di consumo e sul conseguimento di un successo che richieda un minimo di produttività mentale.

In altre parole si suggerisce l’idea di una soluzione semplice per problemi che invece sono estremamente complessi. L’azione educativa che si esprime attraverso l’uso repressivo della valutazione interviene post factum, liberando dalla necessità di rivedere criticamente le scelte effettuate sia dalle famiglie, sia dalle scuole. Del tutto trascurata è poi l’incidenza che sui comportamenti indesiderati può aver avuto la proposta ossessiva di squallidi lustrini che raggiunge i bambini e i ragazzi attraverso i mezzi di comunicazione. Rassicurare i genitori e i nonni, evitando che si avvii una riflessione critica sui problemi dell’educazione che potrebbe sfociare nella richiesta di scelte politiche volte a produrre un’innovazione reale (alla quale non potrebbe non corrispondere la disponibilità di risorse adeguate) dovrebbe preparare il terreno ai cambiamenti nell’assetto istituzionale della scuola che si incomincia a profilare e che sarà segnato da un progressivo disimpegno dello Stato dall’istruzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

da ItaliaOggi

Sotto il maestro unico 40mila tagli
di Alessandra Ricciardi


Entro il 2011 la riduzione delle cattedre alle elementari

In un colpo solo, fatta metà dell'opera. Con il ritorno al maestro unico, il ministro dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, realizzererebbe quasi il 50% del piano di risparmi imposto alla scuola dal decreto legge 112-2008, la manovra finanziaria estiva. Secondo quanto risulta a ItaliaOggi, le stime ufficiose del tandem Economia-Istruzione parlano infatti per le elementari di un taglio di circa 40 mila cattedre. «La riforma è motivata dalla necessità di dare ai bambini un punto di riferimento pedagogico unico», spiega Giuseppe Valditara, responsabile scuola e università di Alleanza nazionale. Ma dietro la revisione dei modelli didattici delle elementari -oggi scuola primaria- vi sarebbe forte lo zampino dei tecnici dell'Economia. Che nelle riunioni della commissione mista, che presiede all'attuazione del decreto a viale Trasvetere, hanno fatto la voce grossa con i colleghi dell'Istruzione. Indicando chiaramente i campi di azione per ridurre le spese: abolizione dei docenti specializzati alla primaria con il ritorno a un solo maestro per classe, contrazione dell'orario di lezione e delle materie nelle medie e superiori, in particolare presso gli istituti tecnici; accorpamento delle scuole dei piccoli centri, con l'eliminazione di circa 1300 sedi. Il tutto per tagliare entro il 2011 circa 87 mila cattedre. Un piano molto ambizioso, visto che molte scuole, in questi giorni propedeutici dall'avvio del nuovo anno scolastico, già lamentano di essere in difficoltà per la copertura delle classi. Eppure i tagli fatti per il 2008 sono «solo» 11 mila, quelli imposti dalla Finanziaria di Tommaso Padoa-Schioppa. Ma il ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, pretende molto di più dalla scuola, il settore più corposo, per numero di dipendenti, del pubblico impiego. E così ha stilato una tabella di marcia, con tanto di penali (ovvero il blocco alla fonte dei finanziamenti in misura pari ai risparmi non realizzati) che non ammette deroghe. Si parte dalla riforma del mastro unico, che pure la Gelmini, solo poche settimane fa in un'intervista radiofonica, aveva cautamente allontanato come ipotesi operativa. «E' chiaro che razionalizzare la rete scolastica impone alcune scelte», aveva detto, « ma credo che le elementari siano un ciclo scolastico che funziona, lo dicono anche i dati Ocse-Pisa, e quindi mi auguro che non sarà necessario tornare al maestro unico». A ridosso di Ferragosto, però, la Gelmini aveva fatto capire che alla fine si sarebbe andati a finire lì: «In un'ottica di riduzione della spesa pubblica e di razionalizzazione della spesa della scuola è una delle ipotesi al vaglio da parte del ministero». Il maestro unico è andato in soffitta nel 1990 con il ministro dell'Istruzione Gerardo Bianco. Attualmente la scuola primaria conta150 mila maestri specializzati per ambiti disciplinari (italiano, storia e geografica, matematica e scienze) che si alternano su due classi. Complessivamente 103 mila classi, che nel giro di pochi anni dovranno ritornare ad avere un solo maestro. Le stime parlano di un taglio possibile di 40 mila posti, che potrebbe salire a 50 mila a seconda di come verrà articolata la nuova didattica e soprattutto l'orario di lavoro dei docenti. Insomma, circa il 20% del complessivo organico di diritto delle elementari.

«Quando negli anni '80 rimettemmo mano alle elementari lo facemmo per adeguare la scuola a un'utenza che era fortemente cambiata», spiega a ItaliaOggi Alberto Alberti, componente della commissione riformatrice che abolì il maestro unico, «in cui il bambino non aveva più nella scuola l'unica fonte di formazione. C'era bisogno di dare qualcosa in più rispetto al maestro tuttologo. Mi pare difficile ora tornare al passato, e per farlo bisognerà tra l'altro rivedere la formazione di tutti i docenti in servizio». Già sul piede di guerra i sindacati. «Un'operazione vergognosa dettata da motivazioni solo finanziarie», attacca Francesco Scrima, segretario della Cisl scuola, che così poi sintetizza il giudizio sulla Gelmini: «5 in condotta, 4 in pedagogia». Parla di «un'idea sbagliata», Massimo Di Menna, segretario della Uil scuola, «anche perché intacca il segmento che oggi funziona meglio in Italia, come testimoniano le rilevazioni Ocse». Molto duro anche Enrico Panini, numero uno della Flc-Cgil: «Incredibile, si propongono per i ragazzi di oggi soluzioni didattiche che andavano bene negli anni '60. Questo governo guarda al passato, non costruisce il futuro».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

da Unità

Dal regio decreto del ’23 all’autonomia

Spazzato via dalla legge sull’autonomia scolastica del ‘99 il voto in condotta torna in auge con il ministro Gelmini. La storia della valutazione del comportamento degli studenti affonda le radici nei primi decenni del ‘900. Il regio decreto 1054 del 1923, il primo della riforma Gentile, contiene un’affermazione di principio che viene replicata senza modifiche in altri regi decreti successivi relativi ai diversi ordini di scuola: all’art.82 si afferma che «la promozione è conferita agli alunni che nello scrutinio finale abbiano ottenuto voto non inferiore a sei decimi in ciascuna materia o complessivamente in ciascun gruppo di materie affini e otto decimi in condotta». Indirettamente questa norma afferma il principio che con un voto da cinque decimi in giù nelle singole discipline o con sette decimi in condotta non si è promossi. Questa disposizione non ha subito modifiche per oltre mezzo secolo. Per la scuola elementare e, successivamente, per la scuola media, il voto in condotta, secondo i regi decreti della riforma Gentile, aveva tuttavia minore incidenza comportando, nei casi di minore gravità, l’esame di riparazione in tutte le discipline di studio. Nel 1977 la legge 517 ha innovato completamente il sistema di valutazione. Il voto di condotta per la scuola elementare e per la scuole media scompare, mentre resta con piena efficacia per la scuola secondaria di secondo grado. Per questo settore scolastico la norma che richiede almeno otto decimi come voto di condotta per la promozione viene confermata nel Testo unico per l’istruzione varato nel 1994, all'art. 193 («la promozione è conferita agli alunni che abbiano ottenuto voto non inferiore ai sei decimi in ciascuna disciplina o in ciascun gruppo di discipline e otto decimi in condotta»). Con la riforma dell'autonomia scolastica, una decina di anni fa, vengono abrogate diverse norme di legge, tra cui anche l'articolo 193 del Testo unico. Lo dispone l'art. 17 del regolamento dell'autonomia scolastica (Dpr 275/1999), con piena efficacia a cominciare dall'anno scolastico 2000-2001.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

da Il Giornale

«Stop allo stipendificio Presto ogni istituto sarà una fondazione»
di Marco Zucchetti

Il ministro Gelmini pensa a un modello più «privato»: «L’istruzione è tra le priorità del governo»

nostro inviato a Rimini
I compiti delle vacanze li ha fatti e si è comportata bene. Tra due settimane si torna sui banchi di scuola e il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini presenta le linee guida dei suoi interventi. E prima ancora di rispondere alle domande dei giornalisti al Meeting riminese di Cielle, se ne esce con una novità da secchiona: «Da stamattina (ieri, ndr) ho deciso di pubblicare sul sito www.istruzione.it il bilancio del ministero». Applausi, brava, sette più.
L’onda lunga della trasparenza brunettiana non si esaurisce. È la prima volta che un ministero rende noti i suoi conti e da qui parte il dibattito «Non di solo Stato vive la scuola», che a Rimini vede opposte Gelmini e il corrispettivo-ombra, la senatrice Pd Mariapia Garavaglia: «Il 97% delle spese è destinato a stipendi bassi che non nobilitano la funzione dell’insegnante - spiega il ministro -. È la situazione che ho ereditato: ogni investimento è bloccato ma io e Tremonti siamo solo due capri espiatori». Dunque dai denari e non dai talenti comincia il riassetto del sistema educativo italiano, il cui piano di razionalizzazione verrà illustrato a settembre alle Camere. E nonostante tutti siano d’accordo nel dire che «non si chiedono nuove risorse, poi la lingua torna sempre a battere sui tagli in Finanziaria: «7,8 miliardi in tre anni - attacca Garavaglia -, e ottenuti con interventi che non colpiscono gli sprechi». Forbici che andranno a sfoltire anche la pattuglia di insegnanti, molto più corposa rispetto allo standard europeo: un docente ogni 9 alunni contro il rapporto 1 a 12 dell’Ue. Il ministro sbotta: «Per anni la scuola è stata utilizzata come un ammortizzatore sociale. È ora di chiudere lo stipendificio».
Ma la lezione di economia domestico/ministeriale non interessa la platea: il siparietto delle casse vuote ha già avuto troppe repliche. C'è bisogno di nuovi modelli e il ministro Gelmini si rifà a «quegli istituti paritari che spendono meno degli statali ottenendo risultati migliori». Da questa esperienza nasce la proposta di «vedere un giorno tutte le scuole - paritarie o statali - trasformate in fondazioni». Un passo verso l'autonomia di governance e la sussidiarietà a costo «del dimagrimento del ministero». E se nessuno parla di privatizzazione, comunque si fa un passo verso lo svecchiamento di una scuola italiana che - se per la primaria è al sesto posto in Europa - per quanto riguarda medie e soprattutto superiori è in coda a ogni classifica, come denunciato anche dall'ex ministro di centrosinistra Tullio De Mauro. Lo stesso che dalle colonne del Corriere della Sera ha difeso il ministro.
Chiusa una questione, se ne aprono a cascata altre, perché «la riforma dell'istruzione è una priorità del governo». Prova ne è la reintroduzione dell'educazione civica e del voto in condotta che fa media, perché «il giudizio deve tener conto dell'educazione e del comportamento». Una scelta già presente nel ddl di agosto ma che sarà convertita in decreto nel Consiglio dei ministri di oggi.
Il dialogo intanto prosegue e i punti di contatto con l'opposizione sono molti. Innanzitutto sui meccanismi di dote, voucher o crediti d'imposta, cioè quelle facilitazioni economiche che gli enti locali corrisponderanno alle famiglie per consentire loro di scegliere senza pregiudiziali tra scuole statali e non. E sempre con un occhio alle spese dei genitori, altra comunità di intenti si registra sul caro libri: «Spesso non c'è motivo di rieditare i libri di testo e trovo positivo l'intervento dell'Authority che ha denunciato lo sforamento dei tetti di spesa - afferma la Gelmini -. Stiamo pensando di proporre che almeno gli eserciziari siano disponibili in internet». Anche se il digital-divide è ancora una discriminante e la spesa per i toner delle stampanti rischiano di annullare il beneficio. Stessa opinione favorevole Garavaglia e Gelmini la mostrano sull'abolizione del valore legale del titolo di studio, che però «non è una priorità».
Capitolo a parte, infine, lo meritano loro, gli insegnanti. Rimessi in discussione dai numeri al meccanismo di assunzione. Le stime parlano di 110mila insegnanti in meno, ma «il 30% dei risparmi sarà utilizzato per premiare i docenti più meritevoli». Meccanismi di meritocrazia anche per le carriere («basta con gli avanzamenti per anzianità») e i praticantati allo studio per sostituire le Ssis, le scuole di abilitazione all’insegnamento per le quali il ministro ha proposto una moratoria. Fino al nodo del «contratto separato per gli insegnanti». Una materia ostica. In cui solo una secchiona può riuscire.

 

 

 

 

 









Postato il Sabato, 30 agosto 2008 ore 10:06:50 CEST di Salvatore Indelicato
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