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Umanistiche: Il padre dell’esistenzialismo e la madre del femminismo.

Redazione

Così, quando un Jean-Paul innamorato chiese a Simone di sposarlo, lei gli contropropose una relazione aperta fra uguali, con franchezza assoluta sulle storie laterali. «Ho bisogno di Sartre ma amo Mathieu», confessava Simone (il Castoro) al suo diario. Dei suoi due compagni di studi, Mathieu (il Lama), il suo primo amante, era per la passione, mentre Sartre (il Cobra) era per l’intelletto, sebbene glielo nascondesse. Il Cobra prediligeva le bionde non appesantite dal cervello. Per gestire le sue infedeltà, il Castoro esercitava la sua maschia predisposizione al sesso seducendo le allieve, che poi passava al Cobra per la deflorazione. Le prime furono le fuoruscite russe Olga e Wanda Kosackiewicz. Olga si sarebbe autoferita dopo la seduzione del Castoro, che poi la divise con Jacques-Laurent Bost, l’allievo prediletto del Cobra che il Castoro a sua volta aveva sedotto, scatenando come vendetta del Cobra la seduzione di Olga.
Il primo romanzo del Castoro, L’invitata, racconta come la sedicenne ebrea polacca emigrata Bianca Bienenfeld entrò nelle loro vite in un «ménage à trois», ma Bianca, nelle sue Memorie d'una ragazza perbene, descrive un’altra vita turbata, soprattutto quando, proprio nel momento in cui i tedeschi entrano a Parigi, il Castoro ingiunge al Cobra di rompere con la terrorizzata giovinetta, che stava diventando la rivale del Castoro per il Cobra. Fu la madre di colei che aveva preso il posto di Bianca, Nathalie Sorokine, che con le sue indagini fece allontanare per turpitudine Simone dall’insegnamento nei licei statali.

«Morale anticonformista», o tornaconto borghese, portarono al collaborazionismo del tempo di guerra. La De Beauvoir lavorò per la radio nazionale francese controllata dai tedeschi, mentre Sartre si faceva un nome come scrittore in una Parigi boicottata dagli altri scrittori e, peggio di tutto, con scoperta ambizione, fu ben lieto di occupare a Parigi la cattedra di Henri Dreyfus-le-Foyer, licenziato in quanto ebreo. Ignorò la Resistenza, anche quando Parigi stava per cadere. E i suoi articoli per la rivista Combat di Camus li delegava spesso a Simone.

«Il personale è politico», come dicono le adepte femministe della De Beauvoir: così il Kgb sfruttò le debolezze di Sartre e fornì «trappole al miele» per il più famoso intellettuale pubblico dell’Occidente. L’utile idiota esistenzialista tornava continuamente in Russia per incontrare l’interprete del Kgb Lena Zonina, che voleva sposare e, abiettamente inseguendola, sacrificò la sua credibilità al punto da appoggiare, nel 1966, la linea dura di Breznev nel processo a Siniavskij e Daniel.

«Quando si smette di credere in Dio, non si diventa atei ma si comincia a credere a tutto» (G. K. Chesterton). Simone de Beauvoir era convinta che «donna non si nasce, si diventa»: non la nascita, ma l’autodeterminazione esistenziale. Che cosa avrebbe fatto di Simone una ricca dote e di Jean-Paul un bell’aspetto? Non sarà corretto, ma si sospetta che quei fattori così determinanti non avrebbero prodotto un romanzo d’amore così risqué, così licenzioso.

Simone de Beauvoir, «la più eminente femminista del ventesimo secolo», questa gran virtuosa dell’esistenzialismo, dall’aspetto marmoreo, il volto e lo sguardo astratto che ha sprazzi di pietra, amante e musa impegnata ad aiutare il filosofo a «preparare l’avvenire».
Il centenario della nascita che cade quest’anno si annuncia ghiotto: di libri e biografie che strisciano riverenze, ovviamente, di riedizioni di opere che sembravano davvero archiviate dal tempo come la cronaca del viaggio nella Cina maoista, di film sulle mitiche notti di Saint-Germain.
Alle disparate housewifes del terzo millennio la Beauvoir sembra aver poco da dire. «Le femministe l’hanno scelta come vacca sacra - nota acida Antoinette Fouque fondatrice dello storico MLF - ma se “essere donna vuol dire essere un uomo come un altro” come pretendeva lei, allora non siamo femministe! La Beauvoir è il pensiero liberal-libertino, logico che oggi sia di moda».
E significativo che i più succosi sottintesi, le accuse più impegnative arrivino dall’estero, come se la Francia avesse pudore a incrinare il mito del periodo in cui la sublime coppia dominava e fulminava dai tavolini del café Flore e Parigi era, forse per l’ultima volta, capitale del mondo. E le voci più cavillose, e anche questo è un segno, sono voci di donne. Come Ingrid Galster che insegna letteratura all’università tedesca di Paderbon che ha scritto, direttamente in francese, Beauvoir dans tous ses états che sta per essere pubblicato da Tallandier.
Della scrittrice francese si proclama ammiratrice. Ma le ricerche che ha dedicato al periodo, politicamente peccaminoso, della Francia di Vichy rischiano di provocar ancor più fitte polemiche. Perchè Simone de Beauvoir non si distinse certo nel resistere, non vi patì certo i sudori del Getsemani: anzi, trascorre quegli anni ingrati tra il café de Flore a comporre il suo primo romanzo “L’invitée”, le vacanze sciistiche a Morgine e «fiestas» molto alcoliche. Nella sua autobiografia lei glissò con eleganza: «Volevo fare qualcosa ma mi ripugnava una partecipazione soltanto simbolica e così restai a casa mia». Nulla di grave, se nel frattempo altri intellettuali per cui disobbedire alla legge era un atto di patriottismo non avessero combattuto con i partigiani o come Raymond Aron preparato la resurrezione a Londra.
Finora i biografi hanno preferito sottolineare che in quell’epoca la Beauvoir perse il posto al rettorato di Parigi perchè parlava agli studenti di Proust che mal si collegava alla ideologia ruralistica e codina del maresciallo Pétain. La Galster ha scavato, invece, sul lavoro che ottenne nel 1943: regista alla radio di Vichy! La scrittrice anche in questo caso assai reticente lo definiva «un lavoro trovato per non so quale tramite». La studiosa tedesca ha trovato il tramite, ovvero René Delanger direttore della rivista “Comoedia” e collaborazionista.
Le sue trasmissioni erano innocui sketchs sulle origini del music-hall. Ma si accompagnavano a programmi come «la milizia francese vi parla», ovvero la voce radiofonica degli sgherri che rifornivano i campi di concentramento. «Secondo la Beauvoir - spiega la Galster - gli scrittori avevano adottato alcune regole secondo cui “non si doveva scrivere nei giornali e nelle riviste della zona occupata e parlare a Radio Parigi, quella apertamente collaborazionista, si poteva invece lavorare nella stampa della zona libera. Tutto dipendeva dal senso degli articoli e delle emissioni”.
Resta il fatto che il tono delle trasmissioni è diventato dall’inizio del 1944 assai più virulento, che il famigerato Philippe Henriot parlava due volte al giorno e che lei non si è mai tirata indietro. Penso che con una certa cattiva fede abbia preferito non vedere».
Altro capitolo delicato quello del nazismo e degli ebrei. La Galster: «Parla qualche volta degli ebrei che ha visto minacciati o arrestati con relativa indifferenza. Non si va mai oltre una o due frasi. Ma il peggio è il suo atteggiamento verso Bianca Biennefeld, la sua ex amante ebrea che era stata anche la amante di Sartre. Quando Bianca ricevette una lettera del filosofo che rompeva la relazione, la Beauvoir scrive con cinismo: «Lei esita tra il campo di concentramento e il suicidio». I due dimenticarono Bianca che si era nascosta nel Vercors e mai tentarono di sapere che cosa le era successo».
A spalancare poi il tema della complicata relazione sentimentale con Sartre è il libro Tête-à-tête dell’americana Hazel Rowley. Non da certo scandalo il patto amoroso tra i due, che prevedeva una coproduzione dei piaceri, con «un amore necessario» e culturalmente proficuo, il loro, e «gli amori contingenti» che spesso furono comuni e per lei annoverarono Arthur Koestler e Nelson Algren. Si presta semmai nuova attenzione alla sorte di questi amanti «contingenti» considerati come semplici tasselli della costruzione di un destino letterario e filosofico.
La studiosa americana ne svela il triste ruolo di marionette, manipolate dalla Beauvoir, utilizzate per mantenere desto il rapporto con Sartre, l’unico che contasse davvero. Alcuni, tra i più ferocemente «contingenti», precipitarono in buie depressioni. Lei scrisse, implacabile: «C‘è un problema che noi abbiamo sempre accuratamente evitato: come la terza persona si sarebbe sistemata nei nostri accordi...»A parte la «mascolina» (come lei stessa si definiva) De Beauvoir, il suo vero attaccamento era per gli uomini: Bost, l’allievo prediletto al liceo, Albert Camus, Jean Genet. Si diceva che ogni volta che cambiava miglior amico, cambiasse anche idea politica. «La mia relazione, durata tutta la vita, con il Castoro (SdB), che mi era assai più preziosa del mio passato - relazioni piuttosto vaghe con una decina di compagni - non era la stessa cosa» del cameratismo maschile. Per Sartre il sesso era deflorare le vergini che la De Beauvoir sceglieva tra le sue allieve del liceo, seduceva safficamente e poi gli passava, e sedurre «per vendetta», come capo della «famiglia» Sartre-De Beauvoir, le mogli e le amiche dei suoi amici, come Bost, che Simone aveva a sua volta sedotto, e Camus. A quarant’anni, con la morte del detestato patrigno, comprò un elegante appartamento per la sua «Petite Maman» e andò a stare con lei, il suo unico, vero amore.

Così, per dirla con la scrittrice femminista Angela Carter, «perché mai una bella ragazza come Simone spreca il suo tempo a lusingare una persona sgradevole e noiosa come J-P? Le sue memorie verteranno in gran parte su di lui; lui invece non parlerà quasi di lei».

Simone de Beauvoir proveniva da un ambiente ricco e altoborghese. Suo padre, un donnaiolo socialmente ambizioso, aveva aggiunto al cognome l’aristocratico «de» e poi, vivendo da nobile effeminato e spendaccione, aveva ridotto la famiglia in povertà. Il matrimonio dei suoi genitori, per Simone, «bastava a convincerla che la vita coniugale borghese era contro natura».

La natura aveva fatto Simone brutta e foruncolosa, ma ciò che la salvava era la sua eccezionale intelligenza. Priva di dote per gli sciali del padre, non poté sposare l’adorato cugino Jacques. Solo una laurea e l’insegnamento le promettevano l’indipendenza. Nel 1927 si laureò in filosofia, seconda in graduatoria dietro Simone Weil e prima di Maurice Merleau-Ponty, che si sarebbe poi fidanzato con la ricca cugina, e prima passione femminile della De Beauvoir, Zaza Lacoin. Ma Maurice scoprì di essere figlio illegittimo, il fidanzamento fu rotto e Zaza si uccise. Questo fu un ulteriore elemento che condusse Simone a considerare il matrimonio un abominio. La promozione all’«aggrégation» - nona donna in Francia - le diede l’immediata indipendenza economica. Sartre invece fu bocciato, il che gli costò la mano della ricca figlia di un droghiere e la sua cospicua dote.

Sartre erano dei contadini in ascesa sociale, diventati ufficiali, medici e insegnanti. La madre di Jean-Paul, Ann-Marie Schweitzer, proveniva dalla luterana Alsazia; Albert Schweitzer, il famoso organista diventato un ancor più famoso missionario medico in Congo, era uno zio. Era dunque un Dio protestante quello che Jean-Paul cercò di sostituire con l’esistenzialismo, ponendo la domanda di Dostoevskij: «Se Dio muore e l’uomo muore, è tutto permesso?».

Corto di statura e di vista, pure strabico, aveva labbra tumide, era pieno di macchie e aumentava il suo fascino evitando l’acqua e il sapone. Lo uccise la passione per l’alcol. Tutte quelle che divisero il suo letto, compresa la De Beauvoir, testimoniarono la sua clinica mancanza di passione: chiamava gli incontri con le amanti «il giro di visite del dottore». Ormai prossimo alla morte, si vantò di avere nove amanti contemporaneamente. «Non ho mai saputo come condurre correttamente la mia vita sessuale o emotiva; per lo più mi sono sentito profondamente e sinceramente uno sporco bastardo. Un bastardo davvero insignificante, una sorta di universitario sadico, un Don Giovanni ministeriale - disgustoso». «In una storia con una donna non mi importava che ci fosse un altro. Per me l’essenziale era essere il primo. Ma l’idea di un triangolo con un altro uomo meglio consolidato di me - quella sì era una situazione che non potevo tollerare».









Postato il Martedì, 26 agosto 2008 ore 13:41:24 CEST di Maria Allo
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