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Riforma: PROPOSTA DI LEGGE d'iniziativa del deputato APREA

Rassegna stampa

Norme per l'autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti.
C. 808 Angela Napoli, C. 953 Aprea, C. 1199 Frassinetti e C. 1262 De Torre.
(Esame e rinvio).  

 

La Commissione inizia l'esame dei provvedimenti in oggetto.  

 

Valentina APREA, presidente e relatore, introduce le proposte di legge all'ordine del giorno, osservando in particolare che le materie oggetto della proposta di legge C. 953, recante disciplina in materia di organi collegiali della scuola, sistema di finanziamento, formazione iniziale, reclutamento e area contrattuale dei docenti, richiamano alcuni nodi problematici del sistema educativo che rispecchiano un'impostazione centralistica e burocratica, ormai inadeguata a sostenere i processi di innovazione, anche e soprattutto alla luce delle modifiche costituzionali e legislative intervenute dalla XIII legislatura in avanti. Rileva, in particolare, che la combinazione di tutti gli aspetti indicati del sistema che si intende riformare ha origine nella XV Legislatura allorquando il Ministro Fioroni da Caserta, dove il Governo Prodi era riunito per rilanciare la propria azione programmatica, nel febbraio 2007, annunciò che avrebbe proposto, di lì a breve, l'introduzione negli istituti scolastici dei Consigli di Amministrazione aperti alle imprese; la possibilità per le scuole di trasformarsi in Fondazioni; la modifica del sistema di finanziamento alle scuole attraverso le erogazioni liberali; modalità di coinvolgimento degli istituti nel reclutamento dei docenti, lo sviluppo professionale, ovvero le carriere, per i docenti in servizio.
Ricorda peraltro che chi ha avuto modo di seguire i lavori parlamentari fino alla fine della XV legislatura sa che molto poco di ciò che era stato in quell'occasione avanzato come ipotesi di riforma del sistema educativo è divenuto poi legge. Ecco perché nell'attuale legislatura, la XVI, la proposta di legge n. 953 può rappresentare lo strumento legislativo per riprendere il cammino di quelle riforme rimaste soltanto buone intenzioni senza mai arrivare a prendere forma di norme. D'altra parte, a fare la proposta in Parlamento è il gruppo del Popolo della Libertà, divenuto forza di maggioranza, rispetto alla scorsa legislatura che vedeva il Partito democratico al Governo. Rileva, tuttavia, che proprio il fatto che la proposta di legge n. 953 e le altre in esame riprendano il filo delle riforme immaginate dal Governo di centrosinistra nella scorsa legislatura, consente di avviare l'esame delle stesse con autentico spirito bipartisan, con l'intento di ricercare insieme le soluzioni più avanzate per rendere più autonomo ed efficace il sistema educativo nazionale, con uno sguardo all'Europa e ai contesti internazionali più significativi. Passa quindi all'esame della proposta di legge n. 953, osservando che il primo aspetto di riforma riguarda la riforma degli organi collegiali. Quest'ultima, anche alla luce della riforma della pubblica amministrazione e dell'autonomia, richiamata, peraltro, nel testo della Parte seconda, Titolo V, della Costituzione e, in particolare, dell'articolo 117, come modificato dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, è ormai davvero indifferibile; da ben quattro legislature, il Parlamento pone all'ordine del giorno la suddetta riforma senza riuscire a portarla a termine, nonostante i numerosi progetti di legge presentati da tutte le forze politiche e le tante sollecitazioni provenienti dal mondo della scuola. Con la presente proposta di legge di cui è proponente si intende quindi proporre un modello che punti a trasformare radicalmente il governo delle istituzioni scolastiche, che si presenta, ancora oggi, caratterizzato da elementi che si fondano sulla iper-regolazione dello Stato, sul formalismo e sul controllo delle procedure piuttosto che dei risultati, su un'anacronistica concezione autarchica dell'organizzazione, su una concezione burocratica del ruolo dei docenti che non ne valorizza pienamente l'autonomia e la responsabilità professionali.
Ricorda quindi che la riforma degli organi collegiali della scuola degli anni Settanta ha cercato di superare il centralismo dello Stato, ma ha mostrato, quasi subito, tutti i suoi limiti. I poteri riconosciuti agli organi collegiali sono stati di fatto esautorati dall'eccessivo formalismo centralistico e dalla limitatezza delle risorse, e ciò ha determinato una continua deresponsabilizzazione della componente dei genitori e l'affievolirsi della loro partecipazione. Le indicate considerazioni portano a prefigurare una consistente e radicale modifica del modello di gestione delle istituzioni scolastiche, nella direzione di un rafforzamento degli organi di governo interni alle stesse istituzioni e della distinzione, in ordine alle competenze e alle prerogative definite dalla riforma costituzionale, dagli organi di livello politico e amministrativo dell'intero sistema. La proposta di legge n. 953 si innesta, pertanto, in un'iniziativa più generale di ammodernamento del sistema educativo coerente con il processo autonomistico, avviato con l'articolo 21 della legge n. 59 del 1997, e successive modificazioni, che ridefinisce gli organi collegiali interni come organi di governo, nel rispetto delle prerogative definite dalle modifiche costituzionali, e che tiene conto dell'ipotesi di decentralizzazione avanzata con il decreto legislativo n. 226 del 2005. Essa rappresenta, dunque, una legge generale di principi che rispetta, approfondisce e valorizza le norme sull'autonomia organizzativa della citata legge n. 59 del 1997, di cui realizza veramente la lettera e lo spirito, dando alle scuole la potestà regolamentare sulle questioni che riguardano tutto il funzionamento interno; allo stesso tempo, raccoglie le nuove istanze costituzionali.

 

 

Con essa, infatti, si rafforza l'autonomia organizzativa della scuola, ma contemporaneamente si apre all'apporto di risorse esterne sia di esperti che di rappresentanti degli enti locali proprietari delle scuole e competenti già oggi in molti ambiti che interessano la gestione della scuola come l'orientamento, il diritto allo studio o l'handicap.
Aggiunge che ciò avviene in sintonia con i mutamenti dei sistemi educativi anticipati da indagini internazionali e, in parte, consolidati nell'esperienza di alcuni Paesi. Ricorda inoltre che, in uno studio dell'OCSE/CERI (Centre for Educational Research and Innovation), del 2004, Schooling for Tomorrow, si indicano vari scenari possibili sulla scolarizzazione, tutti orientati verso un ruolo alternativo delle istituzioni rispetto al modello burocratico (Bureaucratic School System) attuale. Da scuole e sistemi educativi relativamente chiusi al mondo esterno e resistenti all'innovazione si passa a scuole più autonome, sul modello dell'organizzazione che apprende, motivanti la classe docente, e con nuove ed efficaci forme di valutazione delle attività e delle competenze insegnate (Schools as Focused Learning Organisations). Rileva quindi che lo scenario indicato è già parzialmente realizzato, ad esempio, in Finlandia, che non a caso nelle rilevazioni PISA è sempre collocata in testa alla classifica dei paesi OCSE. In questo Paese l'autonomia scolastica si è molto sviluppata, di pari passo con la responsabilità crescente dei dirigenti scolastici. Sotto l'azione della loro attività, l'offerta di corsi nelle scuole finlandesi è potuta diventare più ricca e flessibile, adattata alle condizioni locali e alle forze di ciascuna scuola. La precedente legislazione finlandese, basata sulla definizione delle istituzioni educative, è stata soppiantata da una normativa che ha lasciato sostanzialmente invariato l'impianto del sistema educativo incidendo, invece, sul decentramento amministrativo e sull'autonomia delle autorità locali, degli enti erogatori (education providers) e delle scuole. Si è infatti passati da programmi ministeriali dettagliati, che le scuole dovevano applicare sotto stretta supervisione degli organi competenti, a scuole autonome, controllate dalla comunità circostante mentre, fino a quel momento, era stata posta poca attenzione alla libertà pedagogica di scuole, alunni e docenti. Specifica quindi che, analogamente, la proposta di legge n. 953 individua nel consiglio di amministrazione l'organo di gestione della scuola come l'unico che necessita di una regolazione da parte dello Stato, dato che le scuole ne usano le risorse finanziarie, e assegna al regolamento interno tutte le materie che possono essere risolte a livello di istituto determinando un modello dinamico, capace di adattarsi sia alle molteplici situazioni delle istituzioni scolastiche che alla loro evoluzione organizzativa e didattica. Si riconosce alle scuole, in altri termini, l'autonomia statutaria; si tratta di restituire alla scuola un ruolo centrale nella formazione dei giovani e una funzione di sostegno allo sviluppo sociale e culturale della società. La proposta di legge di cui è firmataria introduce, inoltre, nel dibattito parlamentare la possibilità per le scuole autonome di trasformarsi in fondazioni nonché di avere partner pubblici e privati che le sostengano, disposti a entrare nell'organo di governo della scuola e che contribuiscano a innalzare gli standard di competenza dei singoli studenti e di qualità complessiva dell'istituzione scolastica. In altre parole, i partner che la scuola riconosce dovranno favorire il processo di innovazione; attraverso la trasformazione in fondazioni si vuole anche favorire una maggiore libertà di educazione che poggia sulla natura sociale dell'educazione. Si tratta di un'opera da svolgere entro quella società civile e quegli enti pubblici e privati più vicini ai cittadini, che devono essere riconosciuti a pieno diritto come espressione dell'azione pubblica.
Ricorda altresì che, nello scorso mese di aprile, il Ministero dell'istruzione inglese ha annunciato che altre 115 scuole si sono aggiunte alle 42 attualmente presenti nel Trust Schools Programme, con la previsione di ulteriori 390 istituti vicini ad ottenere lo status di Trust. Questo successo parte da un'intuizione dell'allora Segretario

 

 

di Stato, Ruth Kelly, la quale aveva individuato in questa formula un possibile potenziamento nell'organizzazione delle scuole. La formula si è rivelata un veicolo di diffusione delle buone pratiche e una leva per migliorare i risultati, tanto che, oggi, lo scopo dichiarato dall'attuale Ministro in carica con la diffusione delle Trust Schools è quello di raggiungere il 30 per cento in più di studenti che conseguano qualifiche e votazioni elevate, vale a dire almeno 5 GCSEs - certificato generale di educazione secondaria - con una votazione di «A*-C». Nelle sue linee essenziali, il meccanismo delle Fondazioni, Trust, non costituisce per il Regno Unito un'assoluta novità, infatti, potenzia ed ingloba diverse tipologie di scuole, Specialist Schools, Academies, Voluntary Aided e Voluntary Controlled Schools, che erano già fondazioni; dal 2006, tuttavia, ogni scuola, esistente o da istituire, può decidere se diventare una Fondazione. La decisione di diventare Trust è libera e intesa come modalità in più per superare una situazione di difficoltà e migliorare i risultati della scuola. I partner che entrano a tutti gli effetti nell'organo di autogoverno della scuola contribuiscono ad innalzare gli standard e a sviluppare l'ethos. La parola ethos acquista, qui, importanza strategica perché si riferisce a come l'istituto si interfaccia con la comunità che serve. In sostanza, la scuola dovrebbe mirare a dare senso all'insieme degli apprendimenti, organizzati attorno ad un progetto culturale, professionale, spirituale, ideale, di cui i partners siano garanti, che sia una leva per motivare il ragazzo a costruire le basi del suo rapporto con se stesso e con gli altri. I partner possono essere anche imprese ma sottomesse al regime di Trust. In tal senso, non possono disporre a loro uso della scuola pur esplicando un ruolo, definito, di promozione e impulso all'interno del governing body. Il Trustee, infatti, dispone dei beni secondo l'atto di Trust, ma è comunque obbligato dalla legge a gestirli solo nell'interesse dei beneficiari individuati o dello scopo determinato dal Settlor, disponente. Riferisce, sull'argomento, le parole dell'ex Primo Ministro laburista, Tony Blair, che aveva affermato: «Le esperienze internazionali suggeriscono che le risorse governative che seguono l'alunno (fair funding which follows the pupil), assieme ad una buona informazione e al sostegno ai genitori, svolgono un'importante funzione nel portare a successo le scelte educative».
Aggiunge quindi che il terzo dei citati scenari dell'OCSE/CERI disegna e anticipa questa trasformazione, accompagnata da riforme radicali nel finanziamento, per quota capitaria, che va a genitori e studenti attraverso vaucer e buoni studio. Ma la scelta realmente libera dei genitori come diritto e/o driver per il miglioramento del sistema è una vision condivisa già ora da Stati che presentano le migliori performance PISA 2006. Ricorda, ad esempio, che in Finlandia i genitori hanno totale ed effettiva libertà. Le scuole che ottengono il «Permesso di educazione» possono ricevere una sovvenzione di Stato esattamente come tutte le altre scuole governative e in base agli stessi criteri di riparto. I genitori che mandano i loro figli in una scuola non governativa, pertanto, non pagano alcuna retta scolastica. Così pure avviene in Svezia, che dal 1994 ha introdotto il buono scuola con successo a giudicare dai risultati delle rilevazioni internazionali sugli apprendimenti e dall'incremento delle scuole non governative, passate in 14 anni da uno scarso 1 per cento al 10 per cento. Tali scuole hanno rivitalizzato il sistema educativo introducendo un approccio personalizzato e tutoriale, costantemente sollecitato e formato nei docenti; in Francia, infine, la Commissione Attali ha proposto, in discontinuità con lo storico centralismo d'Oltralpe, una «Decisione 6», che adotta il buono scuola da far spendere liberamente alle famiglie. Rileva che l'approccio evidenziato avvantaggia in tutti i Paesi soprattutto le classi povere e medie, che non hanno i mezzi per accedere alle migliori scuole non sussidiate. D'altra parte, come è emerso dal Rapporto 2006 della Fondazione per la sussidiarietà, che ha esplorato le percezioni delle famiglie, delle istituzioni e delle imprese rispetto

 

 

alle applicazioni della sussidiarietà in campo educativo, il 56 per cento degli intervistati auspicherebbe una scuola con un sistema misto Stato-privato. Osserva che ciò vuol dire che anche in Italia, individuando le strategie giuste, si potrebbe presto arrivare, come sta avvenendo in Inghilterra, ad avere uno Stato che svolga un'azione più di guida e di controllo che di gestione. Lo slogan di questo processo potrebbe diventare, anche per noi, quello di Blair: lo Stato from provider to commissioner. Ma ancora più importante, dentro questo cambiamento, che può agevolmente trovare attuazione nel Titolo V, della Parte seconda della Costituzione, resta, appunto, la sfida di riallocare le risorse finanziarie destinate all'istruzione partendo dalla libertà di scelta delle famiglie, secondo il richiamato principio che le risorse governative seguono l'alunno; principio affermato già dall'articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani. Il fatto che lo Stato abbia fino ad oggi interpretato il diritto all'istruzione dei cittadini come una funzione propria e coincidente con un servizio esclusivamente statale ha certamente prodotto effetti positivi come la scolarizzazione di massa, ma è anche vero che questo impianto appare sempre più come una «gabbia» che limita le opportunità da offrire ai nostri giovani e la libertà di scelta in campo educativo
Ritiene che la sussidiarietà diventi così la stella polare del cambiamento indicato. È questo il senso del comma 2 dell'articolo 11 della proposta di legge n. 953, che prevede un'autonomia finanziaria delle istituzioni scolastiche collegata alla libertà di scelta delle famiglie, che spostano i finanziamenti in base alle loro scelte. Inoltre, poiché la qualità della scuola è fondata sulla qualità della condizione, norme generali, e della funzione, prestazioni essenziali ovvero standard, dei docenti, il capo III della proposta di legge C. 953 prevede la definizione di un nuovo stato giuridico dei docenti e nuove modalità di formazione iniziale e di reclutamento. Osserva, infatti, che l'insegnante non è un soggetto perfettamente fungibile ad ogni trasformazione strutturale, normativa e organizzativa della scuola; ne è invece l'elemento costitutivo, soprattutto quando il sistema in cui esso opera si avvia a rapidi e continui cambiamenti. In effetti, nei dieci anni in cui si è discusso sull'autonomia delle scuole, non si è operato conseguentemente per modificare il reclutamento, tenuto conto che la legge n. 124 del 1999 è la sanzione del vecchio sistema dei concorsi e delle sanatorie; per riscrivere lo stato giuridico degli insegnanti in coerenza con il nuovo paradigma organizzativo e didattico, flessibilità, delle scuole; per dare pertinenza alle competenze richieste ai docenti con il trasferimento alle scuole di nuovi poteri e funzioni tecniche, organizzative e didattiche (POF). Osserva poi che sino ad oggi il Parlamento, fin dalle origini del sistema scolastico nazionale, si è occupato dell'insegnante essenzialmente come dipendente pubblico, alla stregua di tutti gli altri impiegati dello Stato; basti pensare alle norme sullo stato giuridico del 1906, 1923, 1957 e 1974. A partire dagli anni Ottanta, ad esso sono state assicurate, come agli altri impiegati pubblici, la contrattazione e tutte le libertà sindacali, accentuando la sua dipendenza piuttosto che la sua autonomia e responsabilità professionali. Ritiene invece che non possa esistere una vera autonomia delle scuole senza un insegnante professionista, capace di vera responsabilità per i risultati. Aggiunge peraltro che il reclutamento da parte delle scuole non è una prassi nuova o isolata, ma al contrario confermata con successo dalle migliori esperienze europee. In Finlandia, ad esempio, dove la maggior parte dei docenti è dipendente dell'autorità locale, il reclutamento avviene presso la scuola su offerta del singolo istituto. Il candidato viene esaminato da una commissione presieduta dal preside della scuola e scelto sulla base dei titoli accademici e professionali. Così avviene anche, con ottimi risultati, nelle Trust schools inglesi: una volta accettato lo status di Trust School, le strutture scolastiche passano dalle Local Authorities alla proprietà

 

 

delle stesse scuole che rilevano anche l'assunzione di tutto lo staff scolastico.
Ricorda quindi che la proposta di legge n. 953 prevede, per avviare un significativo cambiamento nella professionalità dei docenti, la dissoluzione dello stato giuridico tradizionale, di carattere sostanzialmente impiegatizio. Il profilo professionale, infatti, ma anche l'autogoverno della professione, organi collegiali territoriali, la valutazione, gli standard, il codice deontologico, la carriera, la formazione iniziale e in servizio sono rimasti come «residui» di un'azione normativa che si è tutta squilibrata sul lato contrattuale, senza alcun vincolo. Osserva peraltro che non poteva essere diversamente, dato il silenzio dell'azione e della proposta legislativa. Il processo di «impiegatizzazione» dei docenti - favorito dal numero decisamente impressionante, quasi un milione, mentre nel 1957 erano 261.000 - da timore e «profezia» teorizzata negli anni Settanta, ha avuto la sua compiuta realizzazione nel contesto di una regolamentazione pattizia vasta e profonda, che ha inciso anche sull'immagine sociale, sulla percezione di sé e sugli stessi comportamenti quotidiani dei docenti. Rileva che esiste, al contrario, una giusta esigenza di dare visibilità al lavoro reale dei docenti dal momento che in Italia, come già in tutta Europa, sono cresciuti i loro compiti e le loro responsabilità, peraltro minimizzati da quanti pensano ancora che gli insegnanti lavorino meno di altri. Recenti indagini, invece, dimostrano che la professione dell'insegnante è logorante ed esposta più di altre al fenomeno del burn out. Quando ai docenti sono richieste sempre nuove competenze mentre il mercato offre lavori più promettenti e remunerativi, le politiche salariali diventano strategiche per contrastare il fenomeno del Teacher Exodus, soprattutto nel campo scientifico e tecnologico, e per attrarre insegnanti giovani e qualificati. Sul medesimo percorso, unitamente allo sforzo del Governo di premiare impegno e merito anche tra i professionisti dell'educazione, è necessario promuovere un'azione normativa forte e complementare alla regolazione pattizia espressa dalla contrattazione. Un'azione che metta a punto un nuovo ed esclusivo stato giuridico del docente in coerenza con la flessibilità organizzativa e didattica che la scuola moderna, ormai in tutti i Paesi avanzati, richiede. Ricorda che, fino a qualche anno fa, in Europa, l'orario di lavoro degli insegnanti veniva considerato principalmente sulla base del numero d'ore d'aula, a prescindere dalle altre attività a geometria variabile alle quali potevano essere chiamati i docenti. In molti Paesi, il riconoscimento dei compiti non specificati a livello contrattuale ha cominciato ad interessare svariate funzioni, tra le quali la partecipazione alla gestione della scuola, l'organizzazione dei materiali didattici, il tutoring ai docenti neoassunti, la supervisione degli alunni dopo le lezioni e in attività extra-scolastica, la vigilanza e correzione agli esami, la valutazione dei docenti, la partecipazione ad attività esterne. Rileva che oggi sono rimasti in pochi i Paesi che mantengono il criterio della retribuzione per numero di ore d'aula, come la Germania dove, per altro, è in corso un ampio dibattito orientato al cambiamento.
Aggiunge ancora che, diversamente, altre nazioni già includono le attività collaterali all'insegnamento in senso stretto nel tempo di presenza a scuola. In Paesi come Regno Unito, Olanda e Svezia non viene indicato il numero di ore destinato all'insegnamento, ma solo l'ammontare complessivo dell'orario di lavoro e/o del tempo di presenza a scuola. All'interno di questa cornice, realizzata a livello nazionale, sono i dirigenti scolastici a stabilire le mansioni che il personale docente deve svolgere, indicando i tempi per ciascuna di esse. In Austria, con il nuovo stato giuridico, entrato a regime nell'anno scolastico 2000-2001, si enuclea un numero annuale di ore lavorative, comprensivo di insegnamento d'aula e di ore per la preparazione di altre attività. In Danimarca, alle ore destinate durante l'anno a lezioni, correzione di compiti e rapporti con le famiglie, si affianca un tempo scuola per altre attività aggiuntive e comprensive di compiti da svolgere in comune con altri docenti. Così

 

 

pure in Norvegia, ci si basa sul numero di ore di presenza a scuola, che può variare in rapporto alla tipologia di istituto e alla materia insegnata. In Finlandia i doveri del corpo insegnante richiedono dalle 15 alle 25 ore di lavoro settimanali a seconda del tipo di scuola e materia. L'orario di lavoro è quello degli uffici pubblici, dalle 8.00 alle 16.15. Non viene richiesta la presenza a scuola nei giorni non di lezione. Oltre ai normali compiti di insegnamento, ai docenti finlandesi è richiesta la programmazione, sia delle ore ordinarie che delle attività pre-post-lezione, i rapporti con colleghi e genitori, la partecipazione di staff nei servizi per gli studenti, le verifiche degli alunni e, dopo la riforma partita nel 1999, alcuni compiti di valutazione dell'istruzione. In Inghilterra e Galles, dal 1o settembre 2007 il Training and Development Agency for Schools (TDA) ha stabilito gli standard professionali dei docenti in termini di attività, conoscenze e competenze. Si tratta di Pay Standards, come definiti nello School Teachers' Pay and Conditions Document, vale a dire riferimenti per compensi premianti che, nella filosofia della Performance related pay, definiscono le caratteristiche attese dei docenti ad ogni livello. Il documento è condiviso dalle associazioni sindacali e da altri stakeholders. Non va confuso con lo School Teachers' Pay and Conditions Document (STPCD), che sancisce i doveri professionali; quest'ultimo infatti è pubblicato ogni anno e forma parte del contratto di docenti e capi di istituto nelle scuole statali. Ricorda, in proposito, che i mirati investimenti dello Stato finlandese per l'educazione e, in particolare, per la formazione dei docenti hanno aiutato ed aiutano gli educatori a realizzare bene il loro compito. Nel 1996, con l'obiettivo di migliorare il rendimento degli alunni in matematica e scienze, il Governo finlandese iniziò a sviluppare un programma finalizzato ad un'alta formazione della classe docente verso l'insegnamento di metodologie orientate alla pratica. In tal senso, si è anche investito molto denaro nel modernizzare i laboratori degli istituti, acquisendo nuovi computer e software aggiornati. Per insegnare è divenuta obbligatoria una formazione iniziale universitaria superiore. Essere maestro di primaria richiede, ad esempio, cinque anni di studi universitari disciplinari e didattici con un anno di praticantato. La selezione è durissima, infatti solo il 10 per cento dei candidati passa l'esame, e la formazione continua dei docenti di primaria e secondaria molto impegnativa; per accedere al percorso specialistico universitario si devono superare due processi di selezione e solo i migliori possono diventare docenti.
Ritorna quindi alla proposta di legge n. 953, ricordando che in essa è prevista l'istituzione di una dirigenza scolastica di tipo amministrativo, anche come leadership educativa. La stessa definizione della dirigenza scolastica è avvenuta concretamente, agli articoli 25-bis e 25-ter del decreto legislativo n. 29 del 1993, introdotti dal decreto legislativo n. 59 del 1998, oggi articolo 25 del decreto legislativo n. 165 del 2001, in mancanza di un coerente sviluppo della carriera, in polemica con la funzione docente e non come naturale sviluppo della carriera, per cui oggi il dirigente scolastico appartiene per profilo, per trattamento economico, per modalità di reclutamento e per funzioni più alla carriera burocratico-amministrativa che non a quella di tipo educativo e didattico. La conseguenza è che le scuole sono oggi prive di una vera e propria leadership, un vuoto che non può essere riempito né dalle «funzioni obiettivo», tutte elettive e provvisorie, né tanto meno dai collaboratori del dirigente - compreso il vice - scelti dal dirigente stesso senza criteri di competenza e di merito professionali. Ambedue le soluzioni sono un surrogato della carriera docente che dovrebbe, invece, essere fondata essenzialmente su standard, valutazione, sviluppo, professionalità, specializzazione e responsabilità per i risultati. Segnala, inoltre, la mancata autonomia contrattuale, area autonoma di contrattazione, dei docenti e delle articolazioni di tale funzione. Per quanto riguarda l'autonomia contrattuale della professione, nonostante l'esplicita previsione dell'articolo 21, comma 17,

 

 

della legge n. 59 del 1997, e nonostante le promesse, l'insegnante - caso unico in tutto il pubblico impiego - si trova ancora accomunato con tutto il personale dipendente della scuola compresi gli ausiliari. Tale scelta politica ha avuto come conseguenza quella vera e propria «anomalia» organizzativa costituita dall'istituzione della rappresentanza sindacale unitaria (RSU) eletta in ogni istituzione scolastica, nella quale l'insegnante può essere rappresentato da operatori e da lavoratori che nulla hanno a che fare con la sua professione e che sono chiamati a definire per via pattizia aspetti specifici dell'attività professionale docente dei quali non hanno conoscenza e competenza alcune. In tale prospettiva, il concetto di «stato giuridico» include, tra l'altro, l'identificazione, ovvero in che cosa consiste, e la configurazione, identica o differenziata, della funzione docente; i contenuti e i limiti della libertà di insegnamento; le procedure di reclutamento e la «carriera»; le cause e le modalità di cessazione del rapporto di lavoro; le relazioni con l'istituto scolastico, con gli organi collegiali, con il dirigente scolastico, con gli organi ministeriali e degli altri enti pubblici; gli organismi rappresentativi della funzione docente; le modalità e le procedure per la valutazione e il controllo dell'attività dei docenti. Ritiene vi sia peraltro un ulteriore principio costituzionale che impone la disciplina legislativa degli aspetti testé menzionati: la riserva di legge in materia di organizzazione amministrativa di cui all'articolo 97 della Costituzione, che esige che le linee fondamentali dell'organizzazione della pubblica amministrazione siano disciplinate con legge. Osserva che i predetti aspetti costituiscono una parte essenziale dell'organizzazione amministrativa di istituzioni pubbliche quali sono quelle scolastiche, per cui non potrebbero costituire oggetto di contrattazione collettiva; in tale senso, peraltro, sembra essersi mossa anche la più recente giurisprudenza costituzionale.
Ricorda quindi che anche le modalità e le procedure per la valutazione e il controllo dell'attività dei docenti rientrano nella nozione di «stato giuridico» e, dunque, nell'ambito riservato al legislatore statale. In tale contesto, il Parlamento potrebbe introdurre, andando a colmare un vuoto attualmente esistente nell'ordinamento, forme di valutazione e di responsabilità del docente, che dovrebbero essere improntate alla predeterminazione dei criteri della valutazione medesima, quale, ad esempio, il raggiungimento di obiettivi formativi predefiniti. La proposta di legge n. 953, partendo da questi presupposti e tenuto conto anche del documento del 9 giugno 2004 elaborato in sede di Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN), sul quale le parti sociali di cui all'articolo 22 del contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto scuola hanno ritenuto di poter unanimemente convenire rispetto all'obiettivo, assunto dalla predetta norma contrattuale, di individuare meccanismi di carriera professionale per i docenti, definisce uno stato giuridico essenziale che affermi i valori e i princìpi, a partire da quelli contenuti nella Costituzione, su cui fondare la professione dell'insegnante a tutti i livelli, in tutte le istituzioni scolastiche e formative; una carriera, articolata in tre livelli, docente iniziale, ordinario ed esperto, fondata su modalità e su criteri di valutazione basati sul merito professionale, previsto all'articolo 17, nonché un'articolazione del ruolo che garantisca alle istituzioni scolastiche e formative autonome professionalità e competenze adeguate, certificate, stabili e valutate, di cui all'articolo 12; l'istituzione della figura del «vicedirigente delle istituzioni scolastiche e formative», quale ulteriore livello di carriera, di cui all'articolo 18; un organo di valutazione professionale, ovvero standard, prestigio, immagine, promozione, che sia la garanzia «dinamica» dello sviluppo della professione e che sappia escludere con i mezzi e con le tutele opportuni coloro che non possono essere definiti insegnanti, di cui all'articolo 17; un contratto snello, che intervenga sulle materie che gli sono proprie e quindi sui punti che non incidono sulle competenze professionali e sull'organizzazione della carriera, in

 

 

particolare, orario, retribuzione, mobilità, nonché riconoscimento dell'autonomia contrattuale di una categoria di professionisti, area autonoma, di cui all'articolo 22. Sottolinea che, in sostanza, la proposta di legge di cui è proponente intende definire una professione che sappia autogovernarsi per la qualità, l'autonomia e la piena responsabilità della funzione, definita come «primaria risorsa professionale della nazione».
Evidenzia che, con sfumature diverse, ma con la stessa volontà politica di modificare la natura e le finalità degli attuali organi collegiali, nonché la formazione iniziale ed il reclutamento dei docenti, le altre proposte di legge abbinate, vale a dire quelle di Angela Napoli n. 808, di Frassinetti n. 1199 e di De Torre n. 1262, contribuiscono a rafforzare l'intenzione delle forze politiche di maggioranza e di opposizione di procedere nella direzione di una riforma di questi aspetti del sistema educativo. Tutte le proposte riconoscono la necessità di introdurre l'autonomia statutaria nel governo delle istituzioni scolastiche. Rileva, in particolare, che le proposte Napoli e Frassinetti prevedono una articolazione leggermente più allargata degli organi collegiali previsti per legge. La proposta De Torre richiama esplicitamente la parola «governo», ancorché partecipato della scuola punta sull'asse autonomia-valutazione per segnare la discontinuità con gli organi collegiali del 1974. In tutte e tre le indicate proposte, inoltre, si ipotizza anche la riforma degli organi collegiali territoriali raccordati al nuovo impianto costituzionale ed amministrativo, coinvolgimento delle Regioni e degli uffici scolastici regionali; gli Uffici predisporranno in tempo utile per la prosecuzione dei nostri lavori le schede di approfondimento delle leggi abbinate, al fine di poter effettuare in modo più analitico le similitudini e le comparazioni tra le stesse. Si riserva in ogni caso di precisare ulteriormente gli elementi peculiari delle proposte di legge indicate nel prosieguo dell'esame del provvedimento.
Ritiene quindi che l'avvio dell'esame delle proposte di legge in discussione determini nuove e forti aspettative di cambiamento della governance delle istituzioni scolastiche. Osserva che non si tratta di norme onerose, che potrebbero però rimotivare dirigenti, docenti e soprattutto famiglie e studenti e dare una dimensione europea alle nostre istituzioni scolastiche. Esprime, per queste ragioni, l'auspicio che la prosecuzione dei lavori, approfondita e partecipata attraverso audizioni e comparazioni, possa condurre in tempi ragionevoli all'approvazione di un testo largamente condiviso e sostenuto idealmente e proceduralmente dal Governo.

 

 

Angela NAPOLI (PdL), intervenendo sull'ordine dei lavori, ricorda che oltre alla proposta di legge già abbinata occorrerebbe abbinare le proposte di legge C. 805, 806, 811, 812 e 813 di cui è prima firmataria.

 

 

Valentina APREA, presidente, avverte che le proposte di legge indicate dalla collega Napoli, che ringrazia per la sua partecipazione ai lavori della Commissione, avendone fatto autorevolmente parte nelle passate legislature, non risultano ancora assegnate all'esame della Commissione. Verranno abbinate alle proposte di legge in esame, una volta verificati i presupposti per l'abbinamento.

 

 

Renato FARINA (PdL) esprime un giudizio molto positivo sulle proposte di legge in discussione, in quanto le stesse configurano un sistema di parità scolastica che non è ispirato al principio di una competizione «aggressiva» tra scuola pubblica e scuola privata, bensì al principio di garantire un innalzamento della qualità dell'istruzione. Apprezza in specie il principio latente nelle proposte di legge in esame, in base al quale lo Stato deve essere guida e controllore del sistema di istruzione, ma non più autore del tipo di educazione da impartire. Considera inoltre particolarmente apprezzabile il fatto che le proposte di legge siano state redatte a seguito del coinvolgimento diretto della classe insegnanti, della quale viene quindi riconosciuto il lavoro. Evidenzia inoltre che il

 

 

confronto effettuato nella relazione con le istituzioni scolastiche degli altri paesi dell'Unione europea aiuta a non considerare la scuola italiana come un'istituzione immutabile. Ritiene d'altra parte che la scuola sia il prodotto della società e che non sia quindi possibile attribuire eccessive responsabilità ad essa, senza allo stesso tempo mirare ad un cambiamento profondo della società. La scuola deve essere anzi il luogo dove si possono esplicitare tutte le differenze, anche quelle religiose; il pluralismo scolastico può in questo senso essere decisivo per far si che tali differenze siano adeguatamente salvaguardate. Sottolinea peraltro che la circostanza che in molti paesi europei il sistema scolastico sia più avanzato di quello italiano non significa automaticamente che in tali paesi si viva meglio, come è confermato dal fatto che ad esempio in Finlandia si registra una percentuale di suicidi degli adolescenti molto elevata. Per quanto riguarda invece il rapporto alunni-docenti e in particolare la norma del decreto-legge n. 112 che prevede la riduzione del numero degli insegnanti, sottolinea che non sempre un numero più elevato di docenti garantisce maggiore qualità, come dimostrano anche le esperienze di altri Stati europei.

 

 

Maria Letizia DE TORRE (PD) esprime l'auspicio e la convinzione che la Commissione possa effettivamente riuscire ad approvare la riforma della scuola proposta dai progetti di legge in esame, ricordando che rivedere l'impalcatura della scuola è fondamentale al fine di conferire maggiore importanza al ruolo svolto dalla scuola nella società. Sottolinea inoltre che la proposta di legge da lei presentata è stata elaborata nei due anni in cui ha avuto esperienze di Governo e che nel corso della precedente legislatura la sua intenzione era sempre stata quella di discutere in ogni caso tale proposta di legge in Parlamento. Considera inoltre fondamentale che la Commissione svolga un numero adeguato di audizioni, anche al di fuori del Comitato ristretto, invitando soggetti realmente competenti sulla materia, e in particolare le regioni e gli enti locali, con una programmazione ordinata e coerente dell'attività conoscitiva da realizzare a completamento dell'istruttoria legislativa. Rimarca inoltre l'importanza del sistema di valutazione delle scuole e preannuncia inoltre che è in fase di presentazione una sua proposta di legge sullo status giuridico dei docenti. Ritiene opportuno inoltre valutare nel corso dell'esame delle proposte di legge in discussione anche il tema del reclutamento dei dirigenti scolastici.

 

 

Giovanni Battista BACHELET (PD) ritiene innanzitutto fondamentale che le proposte di legge in discussione chiariscano anche a quale organo spetti nominare il preside o dirigente scolastico. Giudica inoltre fondamentale considerare i riflessi che le proposte di legge possono avere, dal punto di vista costituzionale, su possibili discriminazioni tra istruzione pubblica e privata. Fermo il rispetto del principio del pluralismo educativo, infatti, ritiene si tratti di una esigenza che appare necessario approfondire.

 

 

Valentina APREA, presidente e relatore, rileva che i meccanismi di scelta di dirigenti sono stabiliti a livello nazionale e che le proposte di legge si occupano invece del sistema di reclutamento dei docenti. Per quel che riguarda invece la questione del finanziamento delle scuole private, rileva che ovviamente i finanziamenti sarebbero concessi solo a scuole accreditate e certificate a livello statale. Nel corso dell'esame delle proposte di legge in discussione non esclude peraltro che alcuni profili possano essere ridefiniti, anche con lo stralcio di alcune materie. In questo senso, si dichiara senz'altro favorevole alla costituzione di un Comitato ristretto per un migliore approfondimento delle diverse tematiche da affrontare.

 

 

Manuela GHIZZONI (PD) concorda con la proposta di costituire un Comitato ristretto. Allo scopo di coinvolgere tutti i componenti della Commissione, considera peraltro fondamentale svolgere il confronto con le parti interessate attraverso la

 

 

realizzazione di audizioni informali in Commissione.

 

 

Valentina APREA, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

 

 

Norme per l'autogoverno delle istituzioni scolastiche e la libertà di scelta educativa delle famiglie, nonché per la riforma dello stato giuridico dei docenti.
C. 808 Angela Napoli, C. 953 Aprea, 1199 Frassinetti e C. 1262 De Torre.
(Seguito dell'esame e rinvio - Adozione del testo base - Nomina di un Comitato ristretto).

 

 

La Commissione prosegue l'esame dei provvedimenti in oggetto, rinviato il 3 luglio 2008.

 

 

Maria Letizia DE TORRE (PD) illustrando la proposta di legge C. 1262, di cui è prima firmataria, ricorda che la stessa scaturisce dal confronto costruttivo tra tutte le forze politiche avviato nella passata legislatura, allorquando ricopriva l'incarico di sottosegretario, e dall'esito di un confronto anche all'interno degli operatori della scuola, in particolare della Conferenza nazionale della famiglia. Rileva che la proposta di legge mira a conferire dignità alle istituzioni scolastiche, attribuendo a ciascuna di esse la possibilità di adottare un proprio statuto. Ricorda altresì che la proposta di riforma degli organi collegiali fallì nel 1974 per problemi oggettivi; individua quindi nella facilitazione della partecipazione diretta all'attività scolastica il fine primario della proposta di legge. In attuazione di tali princìpi, la proposta di legge si prefigge di ridisegnare la disciplina del governo partecipato e a rete della scuola italiana, investendo innanzitutto nell'autonomia delle istituzioni, vale a dire nella possibilità di autodeterminarsi all'interno di un comune quadro di riferimento, perseguendo la propria peculiare identità. Alle istituzioni scolastiche è riconosciuta autonomia statutaria, nel rispetto delle norme generali dettate dalla legge, al fine di autodisciplinare l'istituzione e il funzionamento degli organi di partecipazione, di indirizzo, di programmazione, di gestione e di valutazione, per un governo partecipato dell'istituzione stessa. Sottolinea quindi che la nuova disciplina del governo della scuola dell'autonomia è organizzata sulla base del principio della distinzione tra funzioni di indirizzo e di programmazione, da un lato, e compiti di gestione e di coordinamento, dall'altro; questi ultimi fanno capo al dirigente scolastico, del quale è fatta salva la disciplina vigente in materia di funzioni.
Precisa inoltre che si affronta specificamente la questione del patto educativo, della sua promozione e del suo perseguimento, individuando i soggetti del medesimo patto nell'intero tessuto della comunità territoriale: scuola, studenti, famiglia e comunità locale, nella convinzione della profonda verità che spesso è citata sotto specie del proverbio africano «per educare un ragazzo occorre un intero villaggio». Aggiunge inoltre l'importanza della partecipazione agli organi collegiali da parte delle comunità e in particolare da parte delle comunità locali. In questo senso, si dettano le norme generali in materia di organi di programmazione dell'attività didattica, della quale il collegio dei docenti (composto dal dirigente scolastico e da tutti i docenti) è il titolare. Ugualmente, ai docenti di ogni classe compete l'attività didattica della classe stessa, così come la valutazione collegiale degli alunni. Agli alunni e ai genitori deve essere sempre data la possibilità di relazionarsi e di entrare in dialogo con il collegio dei docenti e con i docenti di classe. È disciplinato poi un organo collegiale, il consiglio dell'istituzione scolastica, previsto all'articolo 4, che è titolare dei compiti di indirizzo e di programmazione dell'organizzazione della gestione; la composizione del consiglio è aperta alla partecipazione, in modo paritario, di rappresentanti dei docenti, dei genitori e degli alunni.
Si sofferma inoltre sul sistema di valutazione scolastico, che costituisce un punto fondamentale della proposta di legge, sottolineando l'importanza dell'esistenza di un organo di valutazione dell'andamento didattico e organizzativo dell'istituzione scolastica. In particolare, spetta allo statuto individuare e disciplinare il funzionamento di organi di valutazione e di autovalutazione partecipata, stabilendo che i livelli di partecipazione

 

 

costituiscono indicatori per la valutazione ai fini della certificazione di qualità. Passa quindi ad illustrare i consigli scolastici territoriali, organismi di rappresentanza provinciale o sub-provinciale, nei quali dovranno trovare voce le singole istituzioni scolastiche, costituite in rete, rappresentate ognuna dal presidente del consiglio dell'istituzione e dal dirigente scolastico. Illustra inoltre il patto di corresponsabilità educativo che è contemplato dalla proposta di legge di cui è prima firmataria, rilevando altresì come elemento fondamentale il ruolo assegnato alla collegialità nella progettazione dell'attività didattica. Tale progettazione prevede il coinvolgimento a livello territoriale di più enti, favorendo in particolar modo l'attuazione del Titolo V e la partecipazione delle regioni alle scelte educative delle scuole.

 

 

Rosa DE PASQUALE (PD) preannuncia la presentazione di una proposta di legge vertente sulla stessa materia di quelle in esame, che mira principalmente a disciplinare il governo partecipato della scuola dell'autonomia, nonché la formazione degli insegnati ed il loro reclutamento. Ritiene innanzitutto che il precariato nella scuola debba essere affrontato prevedendo il reclutamento dei docenti a livello nazionale. Ricorda infatti che il precariato ostacola di fatto la qualità dell'insegnamento, penalizzando la crescita degli alunni e lo sviluppo di una completa didattica. Rileva inoltre l'importanza di una formazione educativa che trasmetta la capacità di insegnare, ricordando a tal fine il ruolo fondamentale svolto dalle singola università in tal senso. Si tratta di una selezione dei docenti che passa dalla loro formazione completa e continua che contemperi la responsabilità del Ministero della istruzione della università e della ricerca nel reclutamento del personale docente; la responsabilità delle università nel formare gli insegnati in termini di contenuti e metodi disciplinari, con una collaborazione continua tra scuola e università.

 

 

Il sottosegretario Giuseppe PIZZA, intervenendo in sede di replica, esprime apprezzamento per il lavoro avviato dalla Commissione evidenziando la disponibilità del Governo a lavorare alla definizione di un testo condiviso da tutte le forze politiche anche in Comitato ristretto.

 

 

Valentina APREA, presidente e relatore, intervenendo in sede di replica, ricorda che l'esame delle proposte di legge in esame è particolarmente atteso dall'opinione pubblica, che si attende grandi risultati dal lavoro che la Commissione sta svolgendo. Ringrazia i rappresentanti di tutte le forze politiche intervenute per la disponibilità manifestata a lavorare in modo condiviso per far sì che si possa pervenire alla approvazione di una buona legge. Dichiara quindi concluso l'esame preliminare.
Propone quindi di adottare come testo base per il prosieguo dell'esame la proposta di legge C. 953, di cui è prima firmataria.

 

 

La Commissione concorda.

 

 

Valentina APREA, presidente e relatore, propone altresì la costituzione di un Comitato ristretto per la prosecuzione dell'esame della proposta di legge C. 953, adottata come testo base, e delle abbinate proposte di legge.

 

 

La Commissione delibera quindi di costituire un Comitato ristretto, riservandosi il presidente di nominarne i componenti sulla base della designazione dei gruppi. 

 

La seduta termina alle 16.40.  

 

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

 L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 16.40 alle 17.

 

Intervento del Ministro Mariastella Gelmini alla VII Commissione della Camera dei deputati

 

Audizione del 10 giugno 2008

 

1. Introduzione: una questione di metodo

 

Signor Presidente, onorevoli deputati,
il grande rispetto che porto per il lavoro del Parlamento e l’importanza che assegno al confronto
con le commissioni, mi hanno indotto a chiedere al presidente Aprea e al presidente Possa di
separare in due distinti momenti la mia audizione. 

 

Istruzione, università e ricerca scientifica costituiscono un tutt’uno: hanno per protagonista lo
stesso soggetto, la persona, nel suo cammino di crescita e conoscenza, e sono parti dell’unica
infrastruttura dell’educazione e del sapere, ma la loro complessità, la diversità di linguaggi e, in
parte, di problemi, la necessità di focalizzare, sia pure a grandi linee, il dibattito e dare alla
commissione la più ampia possibilità di esprimersi, meritano, da parte di tutti noi, l’esercizio di un
duplice sforzo.

 

Dunque quest’oggi discuterò con voi della scuola primaria e secondaria. 

 

È necessario dire anzitutto qualcosa che mi preme e che ritengo abbiate voi il diritto di sapere ed
io il dovere di esprimere. È il criterio affettivo, il sentimento razionale con cui ho deciso di accettare
questo incarico gravoso ed esaltante. So bene che esso è pesato su spalle di grandi filosofi ed
eminenti letterati, ai quali non mi permetto di paragonarmi, se non per l’essenziale, che non è la
scienza, la cultura, ma la passione per l’educazione. Il desiderio che questa Italia cresca, e cresca
nel bene più prezioso, che oggi si usa definire capitale umano, ma che più semplicemente si
chiama “persona”. E la scuola, in continuità con l’intendimento delle famiglie, è il luogo primo e
decisivo di questa possibilità in cui sola sta la speranza.

 

Per definire la crisi che attraversa non solo l’Italia, ma l’intero Occidente, il Santo Padre non ha
esitato a parlare di “emergenza educativa” come del punto di debolezza maggiore della nostra
società. Parole che rispecchiano i sentimenti di preoccupazione che il Presidente Napolitano ha
voluto manifestarmi l’altro giorno.

 

Nel dibattito sulla fiducia, lo scorso 13 maggio, questa espressione è stata richiamata da deputati
di entrambi gli schieramenti (in particolare da Renato Farina del Popolo della Libertà e da Marina

 

Sereni del Partito Democratico). L’emergenza educativa non si affronta semplicemente con nuovi
contenuti e nuove metodologie, pur utili. Né con il richiamo a dei “valori” astrattamente affermati. 
I valori per essere condivisi e vissuti devono essere convincenti per i ragazzi, ed essi lo sono se
testimoniati da adulti – siano essi genitori, insegnanti ma anche personale non docente – che
propongano un senso positivo della vita. 

 

Signor Presidente, onorevoli deputati,
ho deciso, in queste settimane, di mantenere il più assoluto riserbo sulle linee di indirizzo, salvo
rispondere ad alcune urgenze rispetto alle quali il silenzio del ministro poteva essere male inteso.

 

Non ho concesso interviste, non ho scritto articoli, ho invece iniziato a studiare i dossier, a leggere
quanto di buono o meno buono è stato scritto in questi ultimi anni sulla scuola, a riflettere per
impostare proposte ragionevoli e utili.

 

Oggi non intendo fare la “lista della spesa”, anche e soprattutto perché i singoli capitoli di quella
lista meritano, e li avranno, momenti di confronto focalizzato. Intendo invece esporre i principi e i
metodi di un piano di legislatura. 

 

Sono sicura che il Presidente della commissione, l’onorevole Aprea, sia la persona più qualificata,
anche per temperamento e indole, a trasformare questo metodo in una realtà quotidiana. 

 

2. La fotografia

 

Signor Presidente, onorevoli deputati,
il governo e il ministro hanno piena consapevolezza dei gravi e complessi problemi della scuola.
Consentitemi di risparmiarvi una serie di dati di largo e pubblico dominio e di valutazioni che, in
questi mesi, ho visto largamente condivise, e di limitarmi ad alcuni numeri fondamentali.

 

I nostri studenti nelle comparazioni internazionali risultano tra i più impreparati d’Europa.

 

Le indagini Ocse-Pisa, che misurano le competenze in ambito matematico, scientifico e la capacità di lettura e di soluzione dei problemi da parte dei quindicenni, collocano l’Italia ai livelli più bassi della classifica: tra 57 Paesi, siamo al 33º posto in lettura, al 36º in cultura scientifica, al 38º posto in matematica.

 

Peggio di noi, in Europa, solo Grecia, Portogallo, Bulgaria e Romania. Meglio di noi, Lituania e Slovenia. Rispetto a sei anni fa, siamo scivolati in basso. 

 

Vorrei però sottolineare preliminarmente che i risultati cambiano sia riguardo alla tipologia di scuola (meglio i licei, peggio i tecnici e i professionali), sia rispetto all’area geografica (meglio il nord, peggio sud e isole), sia all’interno di ciascuna area, con una distribuzione di emergenze ed eccellenze a macchia di leopardo.

 

Va anche sottolineato che, se tutti i commentatori hanno fermato la loro attenzione sui dati preoccupanti dei quindicenni, ben pochi hanno parlato delle scuole elementari, che mantengono un livello di eccellenza: lo studio Iea Pirls pone i nostri bambini di 9 anni all’ottavo posto al mondo come capacità di lettura, in Europa secondi solo a Russia e Lussemburgo. 

 

Dobbiamo dunque evitare di cercare soluzioni indifferenziate. Trattare malattie diverse con la stessa cura non è certamente un approccio razionale. 

 

Premesso il quadro nazionale unitario cui siamo chiamati dai principi espressi dall’art. 117 della Costituzione, occorre superare una vecchia e deleteria logica centralistica che non tiene conto delle specificità sociali e territoriali. Il nuovo ruolo delle Regioni, sancito dal titolo V della Carta Costituzionale e da definire compiutamente nell’attuazione della Legge 53 (legge Moratti), così come il necessario rafforzamento dell’autonomia scolastica, devono costituire una sorta di federalismo all’insegna della sussidiarietà che è il quadro istituzionale entro cui affrontare i problemi.

 

E dobbiamo adottare la miglior cura per chi è più malato. Se siamo tutti convinti che l’istruzione è storicamente la più formidabile leva di emancipazione e riscatto sociale, è ancora più urgente riparare questa leva nel Mezzogiorno d’Italia, dove i bassi livelli di apprendimento, la povertà e il degrado sociale rappresentano un male da estirpare. 

 

Quasi centocinquanta anni di studi e interventi dei grandi Meridionalisti, sin dalle prime indagini di Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti, ci insegnano che solo attraverso il riscatto del Mezzogiorno e il dispiegamento delle sue enormi potenzialità l’Italia potrà considerarsi pienamente nazione.

 

A fronte di questi dati serve uno scatto d’orgoglio nazionale. Ciascuno di noi è chiamato a reagire e a togliere quel velo di rassegnazione che troppo spesso accompagna l’analisi del sistema scolastico. Dai posti più bassi delle classifiche, l’Italia può e deve risalire.

 

Così come non possiamo rassegnarci di fronte al dato preoccupante della dispersione scolastica. E’ un dovere cui siamo chiamati non solo dal protocollo di Lisbona, ma dalla garanzia che dobbiamo dare alle nuove generazioni di avere a disposizione tutti gli strumenti atti ad affrontare il futuro. 

 

Sono due milioni gli studenti delle scuole superiori, oltre il 70%, che riportano una o più insufficienze al termine del primo quadrimestre. E negli istituti professionali gli insufficienti sono ben 8 su 10. Sono 200mila gli studenti delle superiori che nel corso del quinquennio abbandonano la scuola o vengono bocciati.

 

In una scuola dove – per riconoscimento unanime – seri e rigorosi criteri selettivi sono venuti via via scemando e in cui si registra un’enorme dispersione di capitale umano, o meglio, di persone in carne e ossa che vedono il proprio futuro pregiudicato, occorre una presa di posizione lontana da inutili visioni ideologiche: il Paese ci chiede a gran voce di lasciare lo scontro politico fuori dalla scuola.

 

Non basta elevare sulla carta l’obbligo scolastico, ed è negativa la scorciatoia di semplificare i processi di apprendimento. Nostro compito è offrire al Paese una scuola che ciascuno, secondo le proprie propensioni individuali, senta come uno strumento utile e necessario.

 

E’ l’ora del buon senso, del pragmatismo e delle soluzioni condivise.

 

Questo principio vale anche sul fronte insegnanti. Non possiamo ignorare che lo stipendio medio di un professore di scuola secondaria superiore dopo 15 anni di insegnamento è pari a 27.500 euro lordi annui, tredicesima inclusa. 

 

Fosse in Germania, ne guadagnerebbe ventimila in più. In Finlandia sedicimila in più. La media Ocse è superiore a 40.000 euro l’anno.

 

Questa legislatura deve vedere uno sforzo unanime nel far sì  che gli stipendi degli insegnanti siano adeguati alla media Ocse!

 

Ma per far questo dobbiamo aggredire le cause delle iniquità del sistema, mediocre nell’erogazione dei compensi, mediocre nei risultati, mediocre nelle speranze.

 

Una scuola ostaggio di rivendicazioni, più finalizzata al controllo ideologico che non al recupero dei compiti del sistema, ha prodotto un esito che credo né i sindacati, né i partiti, né la società italiana tutta possano ritenere sensato: stipendi da fame, tramonto della cultura del merito, tramonto del senso della scuola.

 

E’ una sconfitta nazionale cui tutti abbiamo il dovere di reagire!

 

Anatolia (Turchia) 1896: le minoranze greche e armene sono oppresse e represse. In contrasto con la famiglia e le autorità turche, il giovane greco Stavros sogna l'America. Dopo varie politiche e sentimentali peripezie a Costantinopoli dov'era stato inviato dal padre, riesce a imbarcarsi e a mettere piede a New York. È il 16° film di Kazan, il 1° che scrisse da solo derivandolo da un suo romanzo in cui aveva ricostruito la storia della moglie e soprattutto dello zio Joe Kazan (Nijoglou) e del modo con cui era arrivato in America. Realizzato tra molte difficoltà, è considerato dal suo autore il suo film migliore almeno per l'ambientazione e i costumi. È certamente il più sincero e personale, il più libero da ogni manierismo ed estetismo, affidato a uno splendido bianconero di Haskell Wexler, ricco di lirismo e di energia narrativa, costruito su capitoli di diverso ritmo alla maniera di una saga picaresca, interpretato in gran parte da attori non professionisti.

 

3. Il vero cambiamento

 

Noi abbiamo bisogno di vero cambiamento, non di presunte riforme.

 

Per troppi anni abbiamo creduto, tutti, che le riforme legislative potessero produrre una palingenesi del sistema educativo e abbiamo affidato all’approvazione parlamentare di leggi di sistema la nostra speranza di migliorare la scuola. 

 

Abbiamo investito le nostre energie sull’attività legislativa, abbiamo discusso troppo e troppo a lungo di cicli, di modelli pedagogici, di indirizzi, di dottrine e di ideologie formative. 

 

Abbiamo imbullonato e sbullonato leggi e decreti, badando più al colore politico che alla sostanza dei problemi.

 

Oggi dovremmo tutti renderci conto che abbiamo bisogno di buona amministrazione e buon governo, di semplificazione e di chiarezza.

 

Il ministro prende qui l’impegno solenne a rispettare queste considerazioni: proporrò modifiche legislative solo dove è strettamente necessario, cercherò di contenere l’irresistibile tendenza burocratica a produrre montagne di regolamentazione confusa e incomprensibile, cercherò di favorire l’adozione di criteri generali e indicazioni nazionali leggibili, evitando la metastasi delle norme di dettaglio. 

 

Cercherò, soprattutto, di preservare e mettere a sistema quanto di buono fatto dai miei predecessori. Per questo motivo non ho avuto tentennamenti rispetto alla cosiddetta “circolare Fioroni” sul recupero, attraverso prove supplementari, dei debiti scolastici. 

 

Nonostante il suo ritiro mi fosse chiesto da più parti e mi avrebbe garantito una facile popolarità, ho preferito rischiare di essere impopolare piuttosto che antipopolare. Ho provveduto, certo, a modificare aspetti che mi sembravano troppo dirigistici, ma non ne ho cambiato la sostanza. Questi anni hanno dimostrato che non c’è alternativa possibile e praticabile al ritorno nella scuola dell’impegno e del rigore.

 

4. Gli insegnanti, motore del cambiamento

 

Per troppi anni la scuola, come altre istituzioni, è stata amministrata con una visione ribaltata rispetto alla logica e al buonsenso. 

 

Si è pensato che l’abbassamento della qualità potesse agevolare gli studenti da un lato, offrendo dall’altro lato agli insegnanti qualche garanzia in più che potesse compensare la perdita di ruolo e di status, con il risultato di non favorire né gli uni, né gli altri.

 

La scuola ha smesso di essere un servizio ai cittadini e alla Nazione, per diventare un enorme ammortizzatore sociale.

 

Non c’è paese al mondo che abbia fatto così. Non ci sarebbe organizzazione in grado di sopravvivere a queste procedure. E’ ingiusto. E’ ingiusto per gli studenti ed è ingiusto per i docenti. E’, soprattutto, mortale per la qualità del sistema educativo. 

 

Accanto a questo criterio autodistruttivo, ne abbiamo introdotto un altro che ha mortificato il senso di responsabilità. Abbiamo livellato le retribuzioni verso il basso. Verrebbe da dire, abbiamo toccato il fondo.

 

Nella scuola abbiamo troppi dipendenti e poco pagati. Con una carriera pressoché piatta. C’è poi da stupirsi se i tantissimi bravi maestri, i tantissimi bravi professori non si sentano motivati? Se tantissimi giovani preparati che hanno la vocazione all’insegnamento scelgono altre strade non solo meglio retribuite, ma con la prospettiva di veder riconosciuto il proprio impegno, il proprio merito?

 

Se lo Stato dà poco non potrà che chiedere poco, in una spirale di frustrazione inarrestabile. 

 

Dobbiamo trovare il modo di rovesciare questi criteri. La rivalutazione del ruolo dei docenti, a partire dal pieno riconoscimento del loro status professionale che non può essere confuso con chi nella scuola ricopre altri ruoli pur essenziali, è un nodo da sciogliere.

 

E lo affermo, dicendo un grazie a tutti quegli straordinari insegnanti, a quegli eccezionali dirigenti scolastici, ai membri del personale amministrativo che non solo fanno il proprio dovere, ma nonostante tutto vanno ben oltre.

 

Abbiamo delle eccellenze da cui imparare, da cui io voglio imparare, andando non a fare visite di prammatica, ma vivendo la scuola insieme con loro.

 

5. Le risorse

 

Dobbiamo trovare insieme il modo di migliorare le prestazioni della scuola, la retribuzione degli insegnanti e la qualità dei servizi accessori sapendo che non disponiamo di risorse economiche illimitate, anzi che dobbiamo compiere un grande sforzo di riqualificazione della spesa pubblica.

 

Il precedente governo aveva avviato un piano triennale di contenimento della spesa pubblica nel settore scuola che noi abbiamo ereditato e rispetto al quale non possiamo che procedere. I conti dello Stato e la situazione economica internazionale lo impongono.

 

La coperta è corta, ma la scuola è una priorità, non è un capitolo di bilancio qualsiasi. Da essa dipende il futuro del Paese. Bisogna tenerne conto.

 

6. L’autonomia scolastica e la valutazione

 

Se vogliamo concretamente migliorare il sistema scolastico in Italia non si può eludere il tema dell’autonomia e dell’assunzione di responsabilità a tutti i livelli.

 

Parlare di autonomia significa innanzitutto valorizzare la governance degli istituti, dotarla di poteri e risorse adeguate e puntare sulla loro valutazione.

 

Autonomia e valutazione sono due facce della stessa medaglia. Non possiamo rendere piena l’autonomia scolastica senza un sistema di valutazione che certifichi, in trasparenza, come e con quali risultati venga speso il pubblico denaro.

 

Roger Abravanel in Meritocrazia definisce il nostro un paese “pietrificato” e come tale destinato al declino, e precisa quale sia la sua idea di merito. Un’idea che io condivido totalmente e pienamente: “Meritocrazia è un sistema di valori che promuove l’eccellenza delle persone indipendentemente dalla loro provenienza sociale, etnica, politica ed economica”.

 

Il merito non è una fonte di disuguaglianza, ma al contrario uno strumento per garantire pari opportunità, e dunque la più alta forma di democrazia.

 

Secondo Abravanel, “l’equazione del merito è: intelligenza più impegno. La scuola e l’università devono premiare gli studenti migliori. Se i risultati sono uguali per tutti, saranno sempre i figli dei privilegiati a prevalere.

 

A mio avviso il punto d’approdo del merito è rappresentato dalla valutazione oggettiva degli studenti, degli insegnanti e delle scuole. 

 

Una valutazione che deve riguardare, scuola per scuola, non la presunta qualità dei processi e delle strutture, ma deve misurare il risultato dell’azione educativa sul singolo ragazzo quanto a valore aggiunto di cognizioni e crescita rispetto all’ingresso e deve tener conto della dispersione scolastica. 

 

Serve un cambiamento epocale di mentalità, ma la società è pronta e se lo aspetta. Non sarà semplice, non sarà immediato, ma io voglio dare il mio contributo per spargere i “semi del merito”. Germoglieranno, ne sono sicura: l’Italia è pronta.

 

Se condividiamo il valore della valutazione, questa legislatura deve dare stabilmente all’Italia un sistema avanzato e riconosciuto. Se condividiamo il ruolo delle autonomie scolastiche, non solo a parole, ma nei fatti, sarà più facile liberare le loro potenzialità. 

 

7. La parità scolastica

 

Ritengo sia fuorviante, in questo senso, parlare di parità scolastica marcando la diversità degli istituti scolastici in statali e privati. Si dice paritaria, e paradossalmente con ciò si finisce per allargare il solco. 

 

Con la legge 62/2000, varata da un governo di centrosinistra otto anni fa, esiste oggi in Italia un sistema pubblico di istruzione in cui convivono, in piena osservanza costituzionale, scuole che sono dello Stato e scuole paritarie istituite e gestite da privati. Tutte svolgono un servizio pubblico, in quanto tenute a rispondere a precise indicazioni ordinamentali stabilite dal sistema legislativo. 

 

Le scuole statali servono oltre il 90% dell’utenza, sono quindi una realtà estremamente ampia e capillarmente diffusa sul territorio nazionale.

 

D’altra parte sta crescendo in tante zone d’Italia la domanda delle famiglie di percorsi educativi con specifiche connotazioni, cui la scuola paritaria può fornire risposte adeguate. 

 

Un sistema pubblico di istruzione che fondi sul principio di sussidiarietà forme di pluralismo educativo è la risposta alle esigenze di istruzione e formazione del cittadino.

 

L’affermazione della parità scolastica sarebbe un espediente retorico se si lasciassero languire o morire esperienze educative valide.

 

Oltretutto, un dossier dell’Agesc rileva che il risparmio per l’erario determinato nell’anno corrente dall’esistenza di queste libere iniziative è di circa 5 miliardi e mezzo, a fronte di un contributo di circa 500 milioni di euro.

 

Invito tutti a non pensare agli istituti, ma agli studenti e alle loro famiglie, e vi chiedo: c’è qualcuna di queste famiglie che merita meno di altre sostegno alla sua determinazione ad educare liberamente i propri figli in un modo piuttosto che in un altro?

 

Le risposte finanziarie fin qui sperimentate costituiscono un valido punto di partenza per individuare forme efficaci di sostegno alle famiglie. Le scelte che il governo farà in proposito avranno tutto lo spazio del dibattito parlamentare per arrivare ad un sistema equo e condiviso.

 

In questo senso sarà interessante valutare le soluzioni che non solo i governi nazionali via via succedutisi hanno messo a punto, ma anche le strategie promosse dai governi regionali più sensibili alla soluzione del problema.

 

8. La condivisione degli obiettivi

 

Al di là dei singoli temi e capitoli, occorre percorrere, tutti, la strada del cambiamento condiviso per dare stabilità al sistema. Solo condividendo la necessità di cambiare e rifuggendo da logiche conservative, entriamo in sintonia con larga parte del corpo sociale e diamo un senso al nostro ruolo.

 

Quattordici associazioni di genitori, di dirigenti scolastici e di docenti hanno recentemente promosso un manifesto appello che chiede la condivisione di obiettivi che vanno dalla libertà di scelta educativa alla piena attuazione dell’autonomia scolastica, dalla personalizzazione dei piani di studio alla rivalutazione del ruolo del corpo docente.

 

Altre spinte nella stessa direzione provengono dal mondo della scuola, dell’imprenditoria, dalle Regioni e dagli Enti Locali. 

 

Altre ancora dall’indagine conoscitiva condotta, nella precedente legislatura, dal Ministero dell’Economia e Finanze e dal Ministero della Pubblica Istruzione, i cui esiti sono stati raccolti e analizzati nel “Libro bianco sulla scuola” del settembre 2007. 

 

Autonomia, valutazione, merito sono i grandi temi su cui il Paese aspetta una risposta, in primo luogo dalla sottoscritta, e su cui il Parlamento ha il diritto e il dovere di esprimere la propria potestà legislativa.

 

Mi sembra di poter registrare una convergenza anche con l’opposizione sulla necessità di avviare, leggo dal programma del Partito Democratico, “una vera e propria carriera professionale degli insegnanti, che valorizzi il merito e l’impegno”, e di “realizzare un nuovo salto nell’Autonomia degli Istituti scolastici, facendo leva sulle capacità manageriali dei loro dirigenti, all’interno di organi di governo aperti al contesto sociale e territoriale, sulla valutazione sistematica dei risultati”.

 

Celebrando la Costituzione italiana il mio predecessore, on. Fioroni, parlava di questa come della possibile “legislatura del buon senso”. Condivido le sue parole.

 

E se c’è un campo dove il buon senso e la politica si devono incontrare, è proprio quello della scuola. Proprio sotto l’egida del buon senso, peraltro, mi sembra si sia avviato il confronto con Mariapia Garavaglia. Ringrazio il ministro ombra all’Istruzione, più ancora che per le parole di stima che ha voluto rivolgermi, per essere da subito entrata, senza preclusioni, nel merito dei primi atti compiuti dal mio dicastero.

 

9. Ad ogni persona, la sua scuola

 

Ma cosa chiediamo alla scuola? La risposta potrebbe apparire scontata, ma non lo è. 

 

Oggi pochi si aspettano dalla scuola che essa fornisca conoscenze disciplinari, formazione culturale, formazione professionale, educazione.

 

Non se lo aspettano molti, troppi studenti: non è un caso che, se abbiamo portato al 93 per cento il tasso di partecipazione all’istruzione secondaria superiore della fascia dei giovani tra i 15 e i 19 anni, nel 2006 ancora un giovane su cinque tra i 18 e 24 anni aveva abbandonato prematuramente gli studi senza acquisire un diploma di istruzione superiore o almeno una qualifica professionale entro il diciottesimo anno di età. 

 

Possiamo tendere a raggiungere gli obiettivi di Lisbona, solo se a quei giovani e a quelle famiglie riusciamo non a dire, ma a dimostrare, che in quel diploma e in quella qualifica c’è non un pezzo di carta, ma un futuro migliore. 

 

Oggi la società italiana, ce lo dicono i dati statistici, è immobile. Il figlio dell’operaio è, drammaticamente, condannato a sua volta, e se è fortunato, a fare l’operaio. 

 

Ditemi voi se questo non è un sistema iniquo! Lo asseriva Antonio Gramsci che il merito e la fatica dello studio sono gli unici possibili fattori di promozione sociale. 

 

E’ una citazione dai Quaderni dal carcere che voglio ricordare prima di tutto a me stessa: “Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza. La partecipazione di più larghe masse alla scuola media porta con sé la tendenza a rallentare la disciplina dello studio, a domandare "facilitazioni"... occorrerà resistere alla tendenza di render facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato”.

 

Abbiamo, di fronte a noi, un’occasione. Il precedente governo ha stabilito, di concerto con le regioni, di rinviare al 1° settembre 2009 l’entrata a regime della Legge 53 (Legge Moratti). 

 

Il tempo è poco, ma il Parlamento e tutti gli attori coinvolti hanno la possibilità di dare al Paese una prova straordinaria di produttività.

 

Ci sono due pilastri da rafforzare: il primo, riguarda il nocciolo duro dell’istruzione. Il secondo, riguarda la personalizzazione dell’istruzione. 

 

Lo Stato è chiamato dalla Costituzione (art. 117 commi m ed n), a determinare i “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale” e a “dettare le norme generali sull'istruzione”.

 

I “livelli essenziali”, nella società della conoscenza, non possono che essere costituiti da una formidabile preparazione di base, che oggi è venuta drammaticamente a mancare. 

 

La “patente delle tre I”, Inglese, Internet, Impresa, indispensabile a percorrere le strade del terzo millennio, non può essere presa a discapito della quarta I: la I di Italiano, termine con cui ricomprendo l’antico trinomio “leggere, scrivere, far di conto”, da declinare e approfondire a seconda dei livelli e dei percorsi di istruzione senza indulgere nello spezzettamento dei saperi e nei “progettifici” che, ce lo dicono i moniti internazionali, ma anche i documenti elaborati dal precedente governo, producono nei nostri studenti inevitabili cortocircuiti e deficit nella conoscenza impossibili da recuperare.  

 

Come fa dire Leonardo Sciascia al professor Carmelo Franzò: “L’italiano non è l’italiano: è il ragionare” (“Una storia semplice”). L’italiano: cioè il territorio in cui si esercita la ragione, la ricerca del senso, la matematica e infine le tre i, che fioriscono bene solo in questo alveo di significato.

 

Le indicazioni nazionali saranno concentrate su questo obiettivo, lasciando alle autonomie scolastiche le più ampie possibilità, nelle parti a loro riservate, di esaltare le proprie specificità, mi auguro, sempre con l’obiettivo dell’eccellenza.

 

Si sarà notato che uso molto spesso la parola eccellenza, e non cerco nemmeno sinonimi. Forse perché lo scopo che insieme con voi vorrei propormi è, per dirla con un ossimoro, la “normalità dell’eccellenza”. Non è un paradosso. Ma la tensione che anima ogni educatore appassionato.

 

Quanto alla personalizzazione dell’istruzione, non intendo riassumere un dibattito troppo vasto e troppo conosciuto dai presenti, la cui leva principale è nell’interazione tra autonomie scolastiche, docenti, studenti e famiglie. 

 

Non c’è legge al mondo, non c’è circolare ministeriale che possa indicare come e quando personalizzare. Ci sono invece quadri di riferimento che possono aiutare i “soggetti della personalizzazione” a parlare tra loro e trovare tra loro le soluzioni concrete. Serve uno sforzo innanzitutto umano: è il cuore dell’educatore che personalizza l’istruzione.

 

Mi concentro, seppure per sommi capi, sulla scuola secondaria di secondo grado. Sul sistema dei licei, degli istituti tecnici e professionali, sulla formazione professionale.

 

Ho ereditato materiali utilissimi, come il rapporto della cosiddetta “commissione De Toni” sull’istruzione tecnica e professionale, che ci consentono di non iniziare ancora tutto da capo. 

 

La mia prospettiva, spero la nostra prospettiva, è di portare tutto il sistema alla “serie A”. Ogni pezzo del sistema deve avere una pari dignità, perché ogni persona deve avere gli strumenti atti a edificare il proprio progetto di vita. 

 

Vorrei che il dibattito sulla cosiddetta “scelta precoce” si trasformasse nella costruzione dei percorsi più adeguati per permettere ad ogni ragazzo di trovare la propria strada.

 

Il substrato di quel dibattito, magari sottaciuto, è permeato da una concezione classista per cui il liceo è di serie A, l’istruzione professionale e tecnica di serie B, il sistema regionale delle qualifiche di serie C.

 

Non è vero, non è così. O, meglio, non è scontato che sia così. 

 

Non è così per gli Istituti tecnici, ad esempio, da cui proviene, e mi limito a citare un dato, lo “zoccolo duro” dei nostri laureati in ingegneria. 

 

E mi rifiuto, ad esempio, di considerare il sistema della formazione professionale come una sorta di “suburra” dove relegare forzosamente sui banchi adolescenti per così dire “difficili”. 

 

Ci sono Regioni che hanno costruito un sistema di grande qualità, che offre prospettive ai giovani e offre al mondo del lavoro persone preparate e predisposte alla formazione permanente. 

 

L’indifferenziazione dei percorsi, la pretesa di uccidere le propensioni individuali per pretendere, ope legis, che ogni adolescente percorra la stessa strada è la traiettoria più sicura verso gli abbandoni e la dispersione. 

 

Diamo ad ogni persona la sua scuola, e ogni persona troverà nella sua scuola le ragioni per frequentarla con profitto.

 

Ridare senso alla scuola significa ridare un senso a ciascuno dei percorsi, per gli studenti e per le loro famiglie. 

 

Significa ridare una motivazione, per ciascuno, a “stare sui banchi” per “stare meglio nella vita”. E alcune di queste motivazioni possono essere rintracciate nella permeabilità tra mondo della scuola e mondo del lavoro. 

 

Alcune delle eccellenze nei settori dell’Istruzione tecnica e della Formazione professionale si fondano su questo interscambio. Ma non penso che il sistema dei licei debba essere considerato una “turris eburnea”, tutt’altro. 

 

L’interazione tra scuola e lavoro, tra scuola e vita reale ha un ruolo inestimabile. Far comprendere allo studente, in un’età difficile, l’utilità concreta di quanto sta facendo. Che imparare non serve solo a essere promosso a scuola, ma ad essere promosso nella vita.

 

10. I diversamente abili

 

E’ nello stesso spirito, nello spirito di una scuola che sia realmente per tutti, che affermo il diritto all’istruzione di chi presenta abilità diverse.

 

Gli obiettivi didattici, le metodologie e gli strumenti devono essere personalizzati e coerenti con le abilità di ciascuno per definire i livelli di apprendimento attesi.

 

Molte sono le buone pratiche costruite su competenza, professionalità, disponibilità e impegno delle diverse componenti scolastiche, dagli insegnanti di sostegno agli insegnanti curriculari, dai dirigenti scolastici alle associazioni. 

 

Occorre far tesoro dell’esperienza.

 

Il mio impegno è indirizzato ad ascoltare le esigenze, le criticità, le proposte delle famiglie e di tutte quelle realtà associative che si occupano di disabilità al fine di individuare insieme anche percorsi formativi più adeguati al bisogno con la necessaria flessibilità, superando le rigidità che non sono coerenti con l’azione educativa.

 

11. Una partnership tra scuola e famiglie

 

La scuola coinvolge la responsabilità dell’intera società, a cominciare dalle famiglie e dagli insegnanti. Elevare la qualità della scuola richiede un’assunzione di responsabilità collettiva. 

 

I fallimenti sperimentati nella quotidianità con i gravi fatti di violenza, di bullismo, di tossicodipendenza rendono consapevoli insegnanti e famiglie dell’impossibilità di farcela da soli, ciascuno per proprio conto, e della necessità di “una cooperazione corresponsabile” tra tutti i protagonisti del processo di crescita umana e professionale dei giovani.

 

Se avvicineremo famiglia, scuola, comunità civile, il mondo del volontariato, con il suo patrimonio di valori vissuti e di conoscenza del prossimo, e li faremo convergere su un’attenzione disinteressata nei riguardi dei giovani, far fronte alla sfida dell’emergenza educativa sarà possibile.

 

Solo una “partnership tra scuola e famiglie” è in grado di affrontare disagi e difficoltà e di perseguire la qualità nei rapporti e negli apprendimenti in modo che “ogni studente possa trovare nella scuola le condizioni per valorizzare le proprie capacità e realizzare il proprio progetto di vita”.

 

Oggi difficoltà di apprendimento, scarso rendimento scolastico, abbandono degli studi, inconsapevolezza delle regole, abuso di sostanze stupefacenti si trovano alla base di fenomeni antisociali quali la microdelinquenza  e il bullismo e si manifestano sempre più precocemente.

 

Va anche osservato che troppo a lungo si sono delegate alla scuola responsabilità e azioni che competono alla famiglia, la quale rappresenta, pur nelle sue difficoltà, la base fondamentale su cui sviluppare le attività didattiche, formative ed educative. 

 

In questi ultimi anni, in particolare, la crisi della famiglia rende ancora più complesso il compito della scuola. Il manifestarsi delle diverse forme di disagio, infatti, chiama in causa innanzitutto gli affetti, i sentimenti, la vita di relazione dei giovani.

 

Se si vuole rispondere efficacemente alla profonda esigenza di trasmettere il valore del rispetto e della osservanza delle regole, il valore della legalità, dei diritti e di doveri, occorre agire sin dai primi anni di vita. Sin dalla scuola dell’Infanzia e dalla scuola primaria.

 

12. Integrazione

 

Integrazione è una parola chiave. Integrazione nella comunità, nella civitas. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla spinta migratoria. Coinvolge centinaia di migliaia di adulti. Centinaia di migliaia di bambini.

 

Il nostro primo obbligo è insegnare loro la lingua italiana e la costituzione della repubblica. A tutti. 

 

Non sono passati secoli, ma pochi lustri, da quando un’altra spinta migratoria, all’interno del Paese, è stata l’occasione per alfabetizzare centinaia di migliaia di italiani che sono diventati l’ossatura della nostra industria e gli artefici, con la doppia fatica dello studio e del lavoro, del miracoloso boom economico italiano.

 

Oggi, la stessa alfabetizzazione dobbiamo garantire agli immigrati e ai loro figli. 

 

Per loro, e per i nostri figli. In quante classi il processo di apprendimento è frenato dalla necessità di non lasciare indietro, di non escludere quote sempre più ampie di alunni extracomunitari, ragazzi e ragazze con competenze proprie, ma penalizzati dalla barriera linguistica. 

 

Occorre trovare soluzioni atte ad abbattere questa barriera, e concentrare su quelle le nostre risorse professionali ed economiche.

 

Uscire dalle sperimentazioni per entrare nella normalità. Sul come, vorrei si esprimesse la Commissione, ma chiederò anche l’aiuto di chi si trova in prima linea ad affrontare il problema, a partire dagli insegnanti delle classi dove più elevato è il numero di studenti stranieri.

 

Ma “alfabetizzazione” significa anche “alfabetizzazione civile”. 

 

Per i figli degli extracomunitari, che devono apprendere le regole della comunità italiana, così come noi apprendiamo e applichiamo le regole delle case in cui veniamo ospitati. 

 

Ma anche per i giovani italiani.

 

Giusto 50 anni fa un grande statista e ministro della Pubblica Istruzione, Aldo Moro, introduceva nelle scuole lo studio dell’educazione civica. Mi sembra che potremmo celebrare degnamente questo cinquantenario e i sessanta anni della Costituzione Repubblicana restituendo all’Educazione civica un ruolo centrale.

 

Signor Presidente, onorevoli deputati,
mi avvio ormai a concludere. Prima delle elezioni un gruppo di volenterosi uomini di conoscenza
(Gruppo di Firenze) si è riunito per proporre agli italiani e alle forze politiche in particolare un
manifesto-appello.

 

Vorrei farlo mio e impossessarmi del suo messaggio più importante: “Sia le riforme, sia il governo e la vita della scuola a tutti i livelli dovranno ispirarsi ai criteri di merito e di responsabilità. L’aggiornamento dei programmi, la riorganizzazione dell’istruzione superiore, l’autonomia delle scuole potranno dare risultati effettivi e duraturi solo recuperando e mettendo in pratica questi elementari principi dell’etica pubblica e privata”.

 

Dobbiamo “offrire ai nostri ragazzi una scuola più qualificata ed efficace, ma insieme più esigente sul piano dei risultati e del comportamento”.

 

Dobbiamo “restituire ai docenti, spesso demotivati e resi scettici da troppe frustrazioni, il prestigio e l’autorevolezza del loro ruolo, intervenendo però con tempestività e rigore nei casi (pochi, ma negativi per l’immagine della scuola) di palese negligenza o inadeguatezza. I dirigenti scolastici infine andranno valutati in primo luogo per la loro capacità di garantire nel proprio istituto professionalità e rispetto delle regole da parte di tutti”.

 

Ai firmatari di questo appello, (a Giorgio Allulli e Remo Bodei, a Gian Luigi Beccaria e Piero Craveri, a Giorgio De Rienzo e Giulio Ferroni, a Ernesto Galli della Loggia, Sergio Givone, Giorgio Israel, Mario Pirani, Lucio Russo, Giovanni Sartori, Aldo Schiavone, Sebastiano Vassalli, Salvatore Veca) voglio rivolgermi chiedendo loro aiuto.

 

Sono convinta che invertire la tendenza al degrado della scuola richieda un grande sforzo nazionale alla quale è chiamato il Parlamento, sono chiamate nelle loro definite responsabilità le parti sociali, è partecipe il mondo della cultura, i giovani e le loro famiglie. 

 

Ho bisogno, abbiamo bisogno di una grande “alleanza per la scuola” che restituisca al Paese la parola speranza.

 

A chi ha sottoscritto quel documento, ai tanti che in queste settimane mi hanno dato utilissimi consigli, chiedo collaborazione.

 

E la chiedo anche alle associazioni degli studenti. Ho incontrato recentemente il loro Forum, so che non sarà facile trovare una lingua comune, perché troppo spesso si è data per scontata una sostanziale incomunicabilità e un atteggiamento dove ministro e rappresentanti degli studenti sono “controparti”. 

 

Io non lo do per scontato, chiedo a loro di non darlo per scontato, prendendo l’impegno a tenere con loro, innanzitutto, un canale aperto non episodico. 

 

So che magari su alcuni punti avremo posizioni diverse, ma almeno ci saremmo parlati e confrontati.

 

La scuola ha bisogno di impegno civile.

 

Non dobbiamo rassegnarci, non dobbiamo credere che la scuola italiana sia un malato terminale: è necessario uno scatto d’orgoglio di tutti.

 

Io ci credo, io sono ottimista, io intendo spendermi fino in fondo. Vi chiedo di aiutarmi in questo sforzo di ricostruzione della principale infrastruttura italiana. Grazie!

 

 

 

 









Postato il Martedì, 29 luglio 2008 ore 18:18:19 CEST di Salvatore Indelicato
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