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Umanistiche: LETTURE ‘DA SPIAGGIA’

Redazione

Esordio narrativo anche per Paolo Mazzocchini, 52 anni, professore di latino e greco in un liceo classico, e autore di recente anche di un duro pamphlet sulla scuola di oggi significativamente intitolato Studenti nel paese dei balocchi (Roma, Aracne Editrice, 2007). L’anello che non tiene (Civitavecchia, Prospettiva Editrice, 2007) raccoglie cinque testi che riportano al mondo scolastico (ma non solo): cinque racconti brevi più un atto unico (quest’ultimo è una problematica rivisitazione dell’episodio evangelico di Lazzaro). Sono testi duri, capaci di scavare nell’infelicità quotidiana di personaggi disillusi da un’esistenza piatta quando non tragica. Come un professore di filosofia che rivede in una sua alunna, di nome Silvana, la Silvia di leopardiana memoria, simbolo di quelle promesse che la vita non ha saputo mantenere.
Professoressa di Lettere alle scuole medie è Francesca Martini, nata a Udine nel 1955, anch’essa esordiente con un volumetto costituito da quattro racconti ambientati nel mondo della scuola: Le anime semplici (Roma, Edizioni Magi, 2007). Quattro storie incentrate ciascuna sulla figura di un allievo incontrato sui banchi.
Si tratta sempre, però, di alunni in qualche modo ‘diversi’ dai loro coetanei. Come Antonio, un ragazzo down la cui debolezza diventa, in realtà, il punto di forza. La sua ‘prof’ riesce a stabilire con lui un rapporto professionale che tuttavia non prescinde dalla dimensione emotiva, un rapporto che la legherà al giovane anche oltre la soglia protettiva della scuola dell’obbligo. Quando, un anno dopo, Antonio andrà a trovarla nella vecchia aula, la docente non riuscirà a trattenere la propria commozione, di fronte a un ex bambino ormai pienamente adolescente. Poi c’è Lavinia, alunna di un’altra classe, molto timida e introversa, che scrive poesie. L’invito a partecipare a un concorso letterario la riempirà di gioia, ma la vittoria del primo premio non sarà così entusiasmante. Luciano, invece, è un ragazzo con un ritardo di apprendimento, che comunque non gli impedisce di essere estremamente creativo nell’italiano sconclusionato dei suoi temi. Uno di quei ragazzi che all’apparenza potresti definire ‘poco fortunato’, ma che è capace di affrontare la vita “con forza, determinazione e spensieratezza”. Infine Antonia, lambita e poi afferrata dal disagio mentale, che però l’autrice ricorda quando, giovane supplente, l’aveva avuta come alunna e, dopo gli esami, avevano trascorso insieme una vacanza indimenticabile.
Materia autobiografica e riflessioni personali si intrecciano nella scrittura di Francesca Martini. La quale scrive a un certo punto: “La forza di un animo semplice vale più di ogni ricchezza”. Un elogio della semplicità sviluppato per via narrativa al di là di ogni retorica. Un concetto, questo della semplicità capace di salvare dalle brutture e dalla disperazione, che l’autrice tratta e approfondisce in una premessa e in due postfazioni.
Comici, picareschi e surreali
Non di tematica scolastica in senso stretto, ma piuttosto di argomento giovanile e ‘giovanilistico’, che mette al centro adolescenti inquieti, ragazzi problematici e difficili, è il romanzo di un esordiente milanese, lanciato da quella talent-scout di gran fiuto che è Elisabetta Sgarbi. Si chiama Vincenzo Latronico, ha ventitré anni, è studente universitario di Filosofia ed è al suo primo romanzo, sebbene in questi anni si fosse già fatto conoscere come traduttore, dall’inglese e dal francese, di libri di Hanif Kureishi, Nick McDonnell, Maxence Fermine e altri autori.
Il libro si intitola Ginnastica e rivoluzione (Milano, Bompiani, 2008) e racconta le vicende di quattro ragazzi che si trovano a Parigi nel 2001, proprio nei giorni immediatamente precedenti gli eventi del G8 genovese e delle manifestazioni ad esso connesse. I quattro hanno messo su un’agenzia fotografica, che segue gli eventi di piazza per vendere gli scatti ad alcune testate giornalistiche. Si sta per partire per Genova, quando Julie fugge con il materiale dell’agenzia e T., il ragazzo italiano protagonista del romanzo, decide di mettersi alla sua ricerca.
Un libro che può essere apprezzato per la capacità di indagare – insieme con leggerezza, profondità e ironia – l’universo dei ventenni di oggi, alle prese con la ricerca di valori politici, in senso lato, e di un possibile impegno (quasi, è stato detto, un nuovo Sessantotto post-ideologico).
Forse non sarà il Philip Roth italiano (come qualche critico frettoloso l’ha definito), ma è certo che Gaetano Cappelli ha il dono di una verve narrativa vivace e divertente. Il suo ultimo romanzo, Storia controversa dell’inarrestabile fortuna del vino Anglianico nel mondo (Venezia, Marsilio, 2007), pure a tratti un po’ boccaccesco e sboccato, ha la capacità di mettere a tema una provincia italiana letta nella sua inconsapevole dimensione picaresca. Protagonista uno sfortunato ricercatore universitario, professionalmente fallito, superato in successo da una moglie brillante che non fa mistero di tradirlo. Nella sua Potenza, Cappelli ambienta il tentativo di riscossa del proprio eroe, grazie all’incontro con un ex compagno di scuola che nel frattempo ha fatto strada. Ce la farà?

Già apprezzato poeta e saggista, Umberto Fiori esordisce ora romanziere con La vera storia di Boy Bantàm (Firenze, Le Lettere, 2007). Un primo abbozzo della storia che è alla base dell’opera risale a più di vent’anni fa e – ci informa l’autore – aveva come titolo originario Allocuzione del bimbo-pollo della Fortezza di Castruccio Castracani ai suoi scopritori. Si trattava di un testo in versi, che poi, però, si è sviluppato in una prosa romanzesca. Il libro – è una favola allegorica tra Kafka e Bulgakov – racconta l’improvvisa comparsa sulla terra di una strana creatura albina, a metà tra un pollo, un coniglio o forse un bambino. Mentre i media lo battezzano Boy Bantàm, la sua voce e il suo canto ammaliano il mondo, dai leader politici e religiosi agli impresari e ai discografici. Ma sotto il velo della fiaba e pur nell’esagerazione della caricatura, si svolgono importanti riflessioni: qual è il confine tra l’uomo e l’animale? come reagisce la nostra moderna civiltà democratica all’imprevista apparizione di qualcuno o di qualcosa che sembra mettere in discussione le certezze più radicate? Domande incarnate dalla strana storia del ‘bambino-pollo’. E poi approfondite da un saggio di Rocco Ronchi come postfazione.

In Andai, dentro la notte illuminata di Giancarlo Liviano D’Arcangelo (Ancona, peQuod, 2007) ‘Golden Death’ (morte dorata) ed è il titolo di un folle reality-show. I protagonisti sono tutti aspiranti suicidi e gli spettatori sceglieranno con il tele-voto il vincitore, cioè colui che potrà coronare il proprio sogno. Ovvero suicidarsi, in mondovisione tv, gettandosi dal Golden Gate di San Francisco. I concorrenti selezionati per la gara sono un condannato a morte, un malato di Aids, un uomo evirato, una coppia di innamorati e infine Alex, un giovane italiano, sul quale si incentra l’attenzione del narratore (alla vita di Alex prima dello show è dedicato una sorta di ‘romanzo nel romanzo’). A condurre la trasmissione, ‘il più grande reality show mai concepito da mente umana’, è un anchorman su di giri, tale Alvin Nathan Muggeridge, cinico e spregiudicato come si conviene al suo ruolo. Madrina dello show, niente meno che la ricca e bella ereditiera Paris Hilton, la quale, fuori gara, si getta per prima dal Golden Gate (salvo ritrovarla a fine romanzo, risorta dopo tre giorni come qualcun altro duemila anni fa: miracolo o inganno spettacolare?).

Ma Alex è il personaggio a cui sono dedicate più pagine. È un giovane senza qualità, pugliese di Villa-Franca (‘sudicia cittadina dell’Italia sudista’), che ha deciso di sfuggire alla routine familiare e lavorativa, alle delusioni sentimentali e al senso di vuoto esistenziale che lo attanaglia, andandosi a ficcare in quest’avventura più grande di lui. Mentre gli altri concorrenti hanno tutti, chi più chi meno, una ragione per morire, lui è l’unico a cui manca una motivazione. E sarà per questo che i telespettatori sceglieranno proprio lui. Nel frattempo il ragazzo ha cambiato idea e adesso si dispera del fatto che sia giunta la sua ora. Verrà salvato da un provvidenziale black-out elettrico capace di paralizzare l’ascensore sul quale sta salendo per poi essere buttato giù.
Dovendo scrivere di questo libro d’esordio di Giancarlo Liviano D’Arcangelo, ho messo in fila alcuni romanzi che, negli ultimi anni, sono stati ambientati nel perverso mondo dei reality televisivi: Fiona di Mauro Covacich, Troppi paradisi di Walter Siti, e, Oltralpe, Concentramento di Amélie Nothomb. Buon ultima giunge l’opera prima di questo giovane scrittore. Che si immerge nella realtà televisiva (e non solo), esagerandone i tratti e scattandone una fotografia dai colori esasperati.

Con Il salto degli Orlandi (Palermo, Sellerio, 2007), Marco Santagata si diverte a giocare con la nostra storia letteraria, con gli autori e con i testi che più ama. Lo fa, innanzitutto, nel racconto lungo che apre questo volume, con la figura di Petrarca (del cui Canzoniere Santagata è stato curatore nei ‘Meridiani’ Mondadori), qui restituitoci in una dimensione intima, privata e decisamente smitizzata. Gli Orlandi di cui al titolo sono invece il Furioso di Ariosto e l’Innamorato di Boiardo: il primo senza passato, il secondo senza futuro, ecco che decidono di ribellarsi e di saltare l’uno nel poema dell’altro, creando un bel po’ di confusione. E anche nel terzo e ultimo testo i personaggi di alcune grandi opere letterarie decidono di uscire dalle pagine dei libri che li ospitano per mescolarsi ad altre storie. Lettura colta e piacevole al tempo stesso, che solo un autore erudito e insieme ironico come Santagata poteva proporci.

Le truffe dei call-center e la guerra dell’Auditel, i nani e le ballerine della tv italiana e le lotte per il petrolio, le falle della pubblica amministrazione e i guai delle Nazioni Unite... Sono solo alcuni degli argomenti su cui si appunta l’umorismo feroce, e sempre efficace, del comico Maurizio Milani, ora anch’egli (come molti suoi colleghi negli ultimi anni) autore di un libro. Si intitola Del perché l’economia africana non è mai decollata (Milano, Kowalski, 2007), ma, ovviamente, non dovete cercarvi una risposta seria a questa domanda impegnativa. Milani affronta le cose all’insegna di una comicità stralunata e a tratti surreale.
*Docente di Letteratura italiana contemporanea presso l’Università degli Studi di Milano










Postato il Giovedì, 17 luglio 2008 ore 22:36:49 CEST di Maria Allo
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