Nascita dell’individuo e sviluppo della tecnica nell’interpretazione
dell’Odissea di Theodor W. Adorno e Max Horkheimer
Nel capitolo “Odisseo, o mito e illuminismo” dell’opera Dialettica dell’illuminismo,
Adorno e Horkheimer1 descrivono un momento fondamentale del processo di demitizzazione e
reificazione della realtà che, nella loro riflessione, connatura l’intera storia umana. In
particolare l’Odissea simboleggia il passaggio alla fase dell’epos tramite il superamento delle
fasi preistoriche, magico-rituali e mitologiche. Un evento centrale di questo passaggio è la
nascita dell’individualità, di cui Odisseo risulta essere il modello fondamentale. Nel suo viaggio
di ritorno in patria Odisseo, affrontando le insidie tesegli dalle forze magico-preistoriche e
mitologiche, arriva a configurarsi come una individualità stabile e a sviluppare quindi una
nuova e maggiore capacità di dominio sul mondo.
Gli episodi principali descritti da Adorno e Horkheimer sono:
• L’episodio dei Lotofagi, confronto con la preistoria come luogo di assenza del lavoro,
• dei Ciclopi, confronto con forze preistoriche anteriori al mito,
• di Circe, confronto con la ferinità e la magia.
• l’episodio delle Sirene in cui l’individuo mostra la sua caratteristica più importante e
decisiva: la capacità di autodominio come controllo delle proprie pulsioni.
Il primo episodio della formazione dell’individualità, nell’Odissea, si ha nel confronto con la
tentazione del ritorno ad un periodo antecedente alla società ed al lavoro specializzato. Tale
episodio si riferisce al confronto di Odisseo con le forze preistoriche. Queste sono forze
antecedenti al costituirsi della società «molto più addietro, molto più addietro anche dell’epoca
barbarica dei ceffi demoniaci e degli dèi-maghi. Si tratta dell’episodio dei Lotofagi, dei
mangiatori di loto”. In questo episodio Odisseo deve confrontarsi con la vita pre-sociale,
intesa come luogo di assenza del lavoro, dove la natura dona spontaneamente i suoi frutti. In
essa Odisseo si trova di fronte alla tentazione di un ritorno ad una fusione con la natura che ne
annullerebbe l’individualità. Senza il bisogno del lavoro l’uomo non necessita di differenziarsi
dalla natura né di costituire alcuna forma di società regredendo ad uno stadio in cui l’uomo non
possiede alcuna capacità tecnica. In questo episodio l’individuo non rischia la morte fisica, ma
la dissoluzione nel momento in cui mangiando il loto torna ad una fase pre-sociale della vita, in
cui «solo l’oblio lo minaccerebbe e la perdita della volontà. La dannazione non condanna ad
altro che allo stato originale, senza lavoro né lotta». L’individuo si può configurare solo se
esiste una società di cui può fare parte; l’assenza di una società, con il ritorno ad una
originaria fusione con la natura, provoca anche la perdita di unità dell’individuo. Se per
Adorno e Horkheimer la tecnica, che nasce dalla volontà e dal bisogno dell’uomo di trasformare
il mondo, riceve un forte incremento nel momento in cui l’uomo si distanzia dal mondo stesso,
ponendosi su un piano diverso rispetto alla realtà dominata, allora l’abbandonarsi ad una
fusione con la natura non può che configurare un indebolimento della capacità tecnica. Di
contro, l’individualizzazione dell’uomo, che prima di tutto si individua rispetto alla natura,
comporta un incremento della capacità di dominare la realtà. Nel rifiuto del cibarsi dei loti
l’individuo rifiuta la fusione con la natura e si isola da questa, che così diviene il luogo della
tecnica, o per usare la terminologia di Adorno e Horkheimer, del «dominio».
Un ulteriore episodio è l’incontro con i Ciclopi, in cui l’individuo si contrappone a forze
soverchianti che tenderebbero a distruggerlo fisicamente. Tali forze sono rappresentate dal
Ciclope Polifemo, simbolo del mondo preistorico fin dalla sua stessa forma fisica,
contraddistinta dall’unico occhio, descritto come un «monocolo grosso come una ruota, un
segno della stessa preistoria». Polifemo incarna un diverso tipo di pericolo per l’individualità in
quanto «rappresenta, rispetto ai Lotofagi, un’era successiva, l’età propriamente barbarica, che
è quella dei cacciatori e dei pastori». Il Ciclope rappresenta la fase propriamente primitiva,
antecedente a quella magica (di Circe) o a quella mitica, dove dominano le divinità solari e in
cui per la prima volta si può iniziare a parlare di “ragione oggettiva”. Polifemo non appartiene,
infatti, alla fase mitica, come si potrebbe erroneamente ritenere, in quanto non è una divinità
solare, ma un essere anteriore agli Dèi solari, i quali rappresentano le divinità di una fase
successiva e più civilizzata.
Un aspetto centrale della “società”, intesa in senso lato, dei Ciclopi risiede nella
mancanza del bisogno del lavoro; in essa «non si pratica un’agricoltura sistematica e non si è
quindi ancora raggiunta un’organizzazione metodica (regolante l’impiego del tempo) del lavoro
e della società. Egli chiama [ci si riferisce ad Omero N.d.A.] i Ciclopi “ingiusti e violenti”,
poiché essi - e sembra quasi una segreta confessione di colpa della civiltà stessa – “fidando nei
numi immortali, | non piantano pianta di loro mano, non arano; | ma inseminato e inarato là
tutto nasce, | grano, orzo, viti, che portano | il vino nei grappoli, e a loro li gonfia la pioggia di
Zeus». La loro società è una società di tipo patriarcale nella quale però è assente la
specializzazione dei ruoli, in quanto il lavoro non è ancora legato alla fatica. Nel mondo
preistorico dei Ciclopi la natura dona quasi spontaneamente i suoi frutti senza bisogno di
essere trasformata.
La nascita dell’individuo necessita quindi il superamento della preistoria, intesa sia come
luogo in cui il lavoro è separato dalla fatica, sia come l’assenza delle gerarchie sociali - in
quanto i Ciclopi sono pari fra loro -, portate dall’istituzione della proprietà stabile. A differenza
dei Lotofagi e di Circe, i Ciclopi rappresentano per Odisseo un rischio fisico, ma grazie alle sue
capacità di manipolare la realtà tramite l’inganno, Odisseo sopravvive e sconfigge Polifemo. La
capacità di manipolare la realtà allo scopo di dominarla si dimostra essere superiore alla
preistoria e alla sua assenza di lavoro. La vittoria di Polifemo rappresenta la morte di Odisseo,
la riuscita dell’inganno la salvezza. Grazie ad una migliore capacità di dominio sulla natura, che
consente, ad esempio, proprio l’inganno, l’individuo riesce a sopravvivere ad un pericolo che
mette a rischio la sua stessa autoconservazione. Odisseo può superare il Ciclope in astuzia
proprio in quanto individuo dotato di una forma di razionalità superiore, assente nel Ciclope in
cui invece «stoltezza e illegalità appaiono come un solo e mediano attributo: quando Omero
chiama il Ciclope “il mostro dal pensiero illegale”, ciò non significa solo che egli non rispetta
nel suo pensiero le leggi della civiltà, ma anche che il suo stesso pensiero è senza legge,
asistematico, rapsodico». Esempio paradigmatico di questo è l’inganno del nome
‘Nessuno’: per il Ciclope, infatti, in quanto essere preistorico, nome e cosa si confondono
perché legati indissolubilmente; diversamente per Odisseo il nome può essere separato dalla
cosa a cui si lega e manipolato, quasi completamente, per i propri fini.
Simile all’episodio dei Lotofagi è quello di Circe, in cui nuovamente l’individuo è messo a
confronto con forze che vorrebbero farlo ricadere in uno stato anteriore. Diversamente dagli
episodi precedenti, l’episodio di Circe mette però l’individuo dell’epos a confronto con le forze
magiche, in quanto in esso l’individuo deve saper rinunciare al falso potere della magia.
Una società basata sulla magia non consente infatti una vera propria costituzione
dell’individualità. In questa fase l’individuo non è ancora scisso dalla comunità a cui
appartiene, sebbene tali società risultino profondamente diverse dalle società primitive. In
queste si aveva una comune partecipazione dei membri della comunità alle funzioni rituali,
mentre in quelle basate sulla magia si ha la specializzazione di tali funzioni, con la nascita delle
figure dei maghi-sacerdoti. Un passo ulteriore si avrà a seguito della sovrapposizione di popoli
guerrieri a popoli di agricoltori e pastori dominati da quelli, quando alle comunità animiste
basate sul predominio di maghi-sacerdoti si sostituirà una comunità basata sulla divisione in
classi, nella quale si configura anche una ineguale capacità di accesso ai mezzi di produzione,
con la conseguente nascita di dislivelli economici, società che Adorno e Horkheimer identificano
come la società dei miti solari. Ogni gradino di questo sviluppo comporterà una maggiore
capacità tecnica.
Sebbene diverse dalle società primitive anche queste forme di società non consentono
lo strutturarsi compiuto dell’individualità. Nell’abbandonarsi all’amore con Circe Odisseo rischia
di perdere la propria stabilità come individuo. La magia di Circe, infatti, trasforma gli uomini in
animali, inducendoli ad abbandonarsi all’istinto e quindi ad una sorta di nuova fusione con la
natura in cui l’individuo cessa di essere tale e torna ad essere sottomesso a forze a lui
superiori. In questo senso la sua figura viene innalzata a rappresentante della donna nel suo
essere «un simbolo enigmatico di irresistibilità e impotenza» come un «esponente della
natura», di quella natura da cui l’individuo, se vuole ottenere la capacità di dominare la
realtà, si deve distanziare.
Non si dimentichi che inoltre in questo episodio viene ripetuta la superiorità delle
divinità solari su quelle ctonie nel momento in cui Odisseo sfugge all’inganno di Circe grazie ad
una pozione donatagli da Atena.
Le forze con cui Odisseo si trova a dover combattere segnano ciascuna un tentativo di
far ricadere l’Io ad un livello inferiore e così quasi di dissolverlo, ma Odisseo supera tutte le
prove in quanto, a differenza dei suoi avversari ma anche dei suoi compagni, riesce a sottrarsi
alle lusinghe che gli si presentano o ad ingannare quei nemici che ne minacciano la vita, grazie
alla sua superiore astuzia. Nel mito l’impotenza dell’uomo di fronte alle forze naturali è
superato con il richiamo ad una capacità propria dell’individuo di manipolare la realtà a suo
vantaggio. Odisseo non si contrappone direttamente con la pura violenza, a questa situazione
d’impotenza: se lo facesse, soccomberebbe o regredirebbe perché il mito non può
semplicemente essere violato. Ma poiché si fonda sulla forza cieca o sulla falsità della magia,
Odisseo può trovare una scappatoia che gli consenta, pur nella sua impotenza, di sottrarsi al
decreto mitico. Grazie alla sua astuzia Odisseo dissolve, aggirandoli, quei legami 16 e quelle
strutture gerarchiche, prima considerate indissolubili. Odisseo non si ribella ciecamente alle
forze che gli si pongono di fronte, ma le supera in quanto individuo, dimostrandosi capace di
scorgere, dall’alto della sua coscienza tecnicamente e socialmente più evoluta, degli spazi di
manovra che le forme meno evolute di coscienza non potevano neppure prevedere. La
salvezza, il ritorno finale in patria, è raggiunta non tramite la ribellione cieca o violenta, ma
tramite una, seppur limitata, capacita di manipolare la realtà per aumentare la propria capacità
di modificarla.
Un altro episodio chiave per comprendere la genesi dell’individualità è, per Adorno e
Horkheimer, descritto nel passo relativo alle sirene. In esso viene descritta una caratteristica
fondamentale dell’individualità e della sua superiore capacità di dominare il mondo: il sacrificio.
J. Habermas in Der philosophische Diskurs der Moderne-zwölf Vorlesungen nota come
questo aspetto dell’individualità moderna sia centrale e afferma che «questa figura, e cioè che
gli uomini plasmano la propria identità imparando a dominare la natura esterna a prezzo della
repressione della loro natura interna, fornisce il modello per una descrizione in cui il processo
dell’Illuminismo rivela il proprio volto di Giano» . Dominando la natura interna l’uomo diviene
capace di sviluppare una nuova forma di dominio sul mondo. Il “processo illuminista” che
investe ed eclissa la ragione oggettiva, trova proprio nel sacrificio di sé uno dei suoi momenti
più importanti .
Come nei precedenti passi, Odisseo non tenta di evitare l’inganno delle Sirene né cerca
di sconfiggerle con la forza e «non tenta neppure di fare assegnamento sul suo sapere
superiore e di porgere libero ascolto alle maliarde, nell’illusione che gli basti come scudo la sua
libertà» . Il modo in cui Odisseo riesce a superare l’insidia delle Sirene è facendosi «“piccolo
piccolo” di modo che la sua nave continui a seguire “il corso fatale e prestabilito”» senza
deviazioni, ma evitando il destino mortale degli altri navigatori che prima di lui avevano ceduto
alle Sirene. Farsi “piccolo piccolo” significa non cedere alle lusinghe del piacere, un piacere al
quale Odisseo non può sottrarsi del tutto perché, per quanto cerchi di costituirsi come un ente
separato dalla natura, le rimane comunque in parte legato e asservito. Ciò nonostante Odisseo
rifiuta di lasciarsi completamente asservire dal piacere, trovando così «una lacuna nel
contratto, attraverso la quale, mentre adempie al decreto, nello stesso tempo gli sfugge. Nel
patto originario non era previsto se chi passa ascolterà legato o non legato il canto».21 Odisseo
quindi non si sottrae dall’ascoltare il canto, ma affronta le sirene sfruttando uno stratagemma:
le ascolterà, ma non sarà impossibile abbandonarsi al richiamo del canto perché legato ad un
palo della nave.
Tramite questo stratagemma Odisseo salva la sua vita, e così facendo salva anche
quella dei suoi compagni, sebbene per questi sia riservata una diversa sorte. Ad Odisseo è
infatti riservato il ruolo di organizzare e non di eseguire semplicemente, fatto che gli consente,
a lui e solo a lui, di fruire, in parte, dei piaceri della natura rappresentati dal canto delle Sirene,
senza però cedere del tutto al loro fascino. Odisseo sacrifica l’impulso verso un totale
abbandono ai piaceri della natura divenendo così in grado di dominare la natura e di «stabilire
inoltre quali strumenti siano necessari perché i suoi subalterni possano essere posti in grado di
vincere le lusinghe della natura», rendendo così anche loro capaci di dominare in parte la
natura.
Dall’episodio delle sirene emerge un altro punto fondamentale della riflessione di
Adorno e Horkheimer, non solo sull’Odissea, ma sul senso stesso della scienza moderna. Nella
loro analisi i due filosofi lasciano trasparire come l’astuzia di Odisseo, che sconfigge il mito
assecondandolo, richiami l’ideale baconiano della scienza. Nel capitolo “Concetto di
Illuminismo” della Dialettica dell’illuminismo Bacone veniva infatti indicato come colui che
avrebbe «saputo cogliere esattamente l’animus della scienza successiva». Similmente a
Bacone per cui «la natura […] non si vince se non obbedendole»”, Odisseo supera il decreto
mitico obbedendogli e al contempo manipolandolo a suo vantaggio, grazie alla sua coscienza
superiore e alla sua individualità. In questo fra Odisseo e Bacone, fatte le dovute differenze, si
stabilisce una importante equivalenza di metodo. La capacità tecnica dell’uomo non è una forza
violenta, ma una forza che si basa sulla trasformazione della realtà, sulla manipolazione. Tale
capacità tecnica si sviluppa con l’individualità nel momento in cui l’individuo non si oppone
semplicemente alla natura, ma la domina distanziandosene e riuscendo così a manipolarla e
quindi dominarla.
Oltre a questo va notato che l’individuo dell’epos detiene un più forte dominio sulla
natura tramite la rinuncia alla felicità presente per un guadagno successivo, autosacrificando le
proprie pulsioni istintuali. Horkheimer e Adorno parlando del sacrificio rituale sottolineano
ulteriormente questo aspetto di Odisseo affermando che «qualcosa di questo inganno, che
eleva proprio la persona caduca a vaso della sostanza divina, si può cogliere da sempre nell’Io,
che deve se stesso al sacrificio dell’istante per il futuro». Tutto il peregrinare di Odisseo è
una rinuncia: è rinuncia dell’abbandono ai piaceri di un mondo privo di lavoro, è rinuncia alla
propria istintualità ed in generale alle lusinghe di un modo preistorico, magico e mitico. Nel
sacrificare questi aspetti Odisseo può configurarsi come “individuo”, guadagnando così la
capacità di trasformare e manipolare la realtà: sarà quindi grado di fare in fine ritorno in
patria, riuscendo ad autoconservarsi.
Su questo punto però Horkheimer e Adorno divergono leggermente nell’interpretazione
dell’Odissea, diversità che è rintracciabile solo tenendo conto degli altri scritti di Horkheimer.
Per il filosofo francofortese l’autoconservazione (Selbsterhaltung) è indubbiamente il fine
principale che muove le azioni di Odisseo: egli come individuo può meglio operare per la sua
autoconservazione in quanto è in grado di sfruttare la natura, sua e dei suoi antagonisti, a
proprio vantaggio. Odisseo però non è un individuo in senso moderno, né la sua capacità
tecnica è assimilabile tout court alla capacità tecnica sviluppata dall’individuo moderno.
L’autoconservazione come unico fine posto da Odisseo si inserisce infatti in una visione della
realtà che prevede una razionalità oggettiva, in un mondo dotato di una sua razionalità e
strutturato gerarchicamente. Si ricordi che Odisseo non tenta di sopraffare i suoi avversari,
non viola le gerarchie, ma le aggira assecondandole. In particolar modo per Horkheimer,
l’individuo moderno non è in grado di porre e giustificare alcun fine oltre a quello
dell’autoconservazione in quanto dotato di una razionalità unicamente soggettiva (definita
anche “formale” e “strumentale”). Proprio tale conformazione della ragione fa sì che l’individuo
moderno sia in grado di sviluppare una grande capacità tecnica, ma divenga incapace di porre
un fine o di giustificarlo in sé (oltre quello dell’autoconservazione). Questo perché l’individuo
moderno, proprio perché “individuo”, può distanziarsi dal mondo e così facendo può analizzarlo
e ricomporlo secondo la trama matematica posta da lui stesso, sviluppando una capacità
tecnica preclusa all’individuo antico (l’individuo della ragione oggettiva). Per tale motivo risulta
impossibile attribuire ad Odisseo una capacità tecnica uguale a quella dell’individuo moderno
ed equiparare la sua tipologia di individuo a quella dell’individuo moderno. Odisseo è perciò
inteso da Horkheimer solo come un modello di base, se si vuole “di partenza”, di ciò che
emergerà come “l’individuo moderno” quando la ragione sarà divenuta una ragione soggettiva.
Se si accettasse la tesi di Horkheimer per cui Odisseo è un individuo in senso moderno, si
rischierebbe di introdurre nella sua riflessione un’aporia che è solo apparente.
Sia per Adorno che per Horkheimer l’individuo antico resta legato a quello moderno,
quello cioè della ragione soggettiva, in un aspetto fondamentale: il sacrificio di sé, ovvero delle
proprie pulsioni, come strumento per aumentare il dominio sugli altri e sul mondo; mentre, in
particolare per Horkheimer, rimane profondamente diverso nel fare propria una concezione di