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Umanistiche: MORTO LO SCRITTORE MARIO RIGONI STERN

Rassegna stampa

MARIO RIGONI STERN: "LA NOSTRA MANIERA DI VIVERE E’ SBAGLIATA. TUTTO E’ COSI’ RAPIDO E VELOCE, NON C’E’ PIU’ TEMPO PER MEDITARE" I suoi romanzi e racconti lasciano un segno di luce e di speranza in tempi di così grande incertezza e buio.  In un contesto come quello attuale, è necessario individuare figure autorevoli e credibili.
 Lo scrittore Mario Rigoni Stern è morto ad Asiago, all'età di 86 anni. Malato da tempo, Rigoni Stern e' mancato ieri sera. La notizia della sua morte è stata tenuta riservata dalla famiglia, per espressa volontà dello scrittore. I funerali sono stati celebrati oggi pomeriggio, in forma strettamente privata, nella chiesetta del cimitero di Asiago.
Tra le sue opere piu' famose ''Il sergente nella neve'', ''Ritorno sul Don'' e '' Storia di Tonle''. Vincitore di numerosi premi letterari tra i quali Campiello, Bagutta e Grinzane Cavour
"Era uno scrittore grandissimo, aveva la grandezza che hanno i solitari". E' il primo commento dello scrittore Ferdinando Camon alla notizia della morte di Mario Rigoni Stern. "Quando sono stato presidente del Pen Club italiano - ricorda - è stato il primo italiano che ho candidato al Nobel: era uno scrittore classico, dalla visione lucida e dalla scrittura semplice ma potente; aveva carisma anche come uomo". Tante volte, sottolinea, "io, Mario Ismenghi, Giampiero Brunetta, Sergio Perosa e il prof. Lenci andavamo a passeggiare per i monti e tutti lo sceglievamo automaticamente come guida". Camon ne ricorda la figura: "aveva un carattere buono e mite - rileva - se ne fregava dei convegni e delle società letterarie".
"Per noi è una perdita gravissima. Rigoni Stern era l'icona dei valori della gente di montagna". Così il sindaco di Asiago, Andrea Gios, commenta la scomparsa del celebre scrittore altopianese. "Perdiamo - sottolinea - un pezzo della nostra storia, forse il più autorevole, anche se è riduttivo naturalmente considerare Rigoni Stern solo un asiaghese. La sua fama era di levatura mondiale". "Rappresentava - ribadisce Gios - i valori della gente della montagna, quelli in cui tutti noi ci identifichiamo. Per fortuna ci ha lasciato un tesoro, quello delle sue opere delle quali possiamo continuare a godere".(Da Ansa) M.Allo

Ricordiamo Mario Rigoni Stern una  tra le voci più limpide e profonde della letteratura italiana

 

 MUORE NELLA SUA ASIAGO SERGENTE NELLA NEVE
Nato nel 1921 ad Asiago, Mario Rigoni Stern è noto al grande pubblico soprattutto come autore de "Il sergente nella neve", libro autobiografico in cui raccontava le drammatiche vicende vissute durante la campagna di Russia, di cui fu fra i pochi sopravvissuti. Alpino della divisione Tridentina, medaglia d'argento al valor militare, fu fatto prigioniero dai tedeschi dopo l'8 settembre, e trasferito in Prussia orientale. Rientrò a casa a piedi dopo due anni di lager, e da allora rimase sempre nella sua Asiago. Con la moglie Anna, sposata nel 1946, ebbe tre figli e negli ultimi decenni - dopo aver lavorato fino al 1970 al catasto di Asiago -, si dedicò interamente all'attività di scrittore, ma anche ad un costante impegno civile. Era stato Elio Vittorini, nel 1953, a fargli pubblicare presso I Gettoni di Einaud, il suo primo romanzo "Il sergente nella neve", che presto diventò un classico della letteratura italiana. Nel 1962 uscì "Il bosco degli urogalli", cui seguirono "La Storia di Tönle"(1978), "L'anno della vittoria"(1985) e "Le stagioni di Giacomo (1995)". Giornalista de "La Stampa", per la quale scrisse anche brevi racconti, si dedicò anche agli studi storici, tra cui il recente volume "1915/18: La guerra sugli Altipiani". Una raccolta di firme presentata dal Gruppo Amici della Montagna del Parlamento, lo aveva candidato a senatore a vita.



Il celebre autore del romanzo Il sergente nella neve ritiene che il mondo che stiamo vivendo è fatto per consumare e che un consumo smodato consuma anche la natura. Gli “ecologisti da salotto” – dice – chiamano intanto tutti gli alberi pini, non sanno più distinguere
Nel racconto “Vecchia America”, tratto da Il bosco degli urogalli, lei ha tratteggiato un ritratto intenso e lucido della famiglia patriarcale. Ecco, oggi che la società è mutata, esiste ancora una traccia di quel mondo? Una debole traccia, quanto meno un piccolo segno, da cui ripartire per delineare un futuro diverso e ricostruire una realtà più ricca di speranze?
Dovrebbe essere rimasto un qualche piccolo segno, direi. Ci metto il condizionale, perché è tutto così rapido e veloce che non resta nemmeno il tempo per meditare. Vede, mi capita di leggere oggi frasi del tipo “sono un ragazzo di trenta cinque anni...”. Beh, a una simile età io dico che non si è più ragazzi, ma uomini. Ricordo molto bene un mio vicino – era un contadino – il cui figliolo di tredici anni si era fatto male tagliando la legna; io mi avvicinai dicendo: “sono ragazzi, cosa vuoi fare?”. Il piccolo si era ferito a un dito. “Ma che ragazzi!” riprese lui, “a tredici anni si è uomini”. Vede, gli uomini di oggi si definiscono ragazzi a trenta cinque anni! Mi viene di confrontarli con persone che ho conosciuto – bambini non ancora di dieci anni – che seguivano i nostri emigranti in Germania. Con loro andavano a lavorare nelle miniere. Venivano utilizzati per portare l’acqua e i viveri nell’avanzamento, laddove la miniera era più bassa. Lavoravano che nemmeno avevano finito le elementari. Adesso a trenta cinque anni si dicono ancora ragazzi! Insomma, quando si diventa uomini adesso?

Nella società di oggi tutto è stravolto. Nei ritmi, nel linguaggio, perfino nelle relazioni interpersonali. Ecco, le chiedo se può esserci ancora spazio per dei sentimenti sinceri? Soprattutto ora, con la Tv che imperversa e che tutto conforma ai propri canoni...
Vede, per fortuna la televisione non rappresenta il nostro mondo...

Però lo condiziona...
Sì, certo, ma condiziona solo chi la vuol vedere. Io dico sempre: “spegnete la televisione, prendete un libro”. Se ci sono dieci milioni che guardano la televisione, ce ne sono anche molti altri che non la guardano o che addirittura non hanno la televisione in casa e neppure la vogliono avere. Oramai la gente è nauseata.

Ecco, in un tempo in cui l’identità stessa della famiglia, con i suoi valori di riferimento, è venuta meno, quali soluzioni si possono intravedere? Lei, dall’alto della sua esperienza, cosa consiglia di fare? Che atteggiamenti occorre assumere?
Io mi guardo intorno e mi limito a fare delle osservazioni, cercando dunque di trarre delle conseguenze da ciò che vedo. Non intendo essere messaggero di nessuno, né profeta; non ho messaggi da lanciare, assolutamente. Dico solo che la nostra maniera di vivere è sbagliata, che il mondo che stiamo vivendo è fatto per consumare e che il consumo consuma anche la natura. Consumando la natura, noi consumiamo l’uomo: consumiamo l’umanità. Vede, una volta la gente – mi riferisco alla gente di montagna, perché io sono un montanaro e vivo in montagna – era diversa; io certe realtà cittadine non le posso conoscere, ma dico questo: cinquant’anni fa si sentiva la gente cantare. Cantavano loro, non avevano le macchine per farli cantare o per ascoltare. Adesso la gente non canta più. La gente comune – il falegname, il contadino, l’operaio, quello che va in bicicletta, il panettiere – ha smesso di cantare. L’ha osservato questo?

Certo, è verissimo...
Adesso cantano le immagini, cantano gli apparecchi radio, la televisione, i dischi, ma la gente non canta...

Ha ragione, il canto fa emergere peraltro anche il lato buono della natura umana. E’ un segno di apertura e di condivisione della realtà. La gente che non canta più ha perso di conseguenza il senso delle cose, la misura, l’ordine dei valori. Torniamo però indietro nel tempo, ora. Lei nel 1938 si è arruolato volontario nella scuola militare di alpinismo di Aosta...
Sì...

...e durante la seconda guerra mondiale ha partecipato alla terribile campagna di Russia, le cui drammatiche vicende sono state ripercorse in modo esemplare nel suo celebre libro Il sergente nella neve. Ecco, la guerra: è una dimensione che appartiene purtroppo all’uomo da sempre, per cui dobbiamo giocoforza conviverci; ma perché, mi chiedo, oggi, nonostante le drammatiche e dolorose testimonianze di chi la guerra l’ha vissuta sulla propria pelle, come lei, non se ne comprende più l’insensatezza. Perché non si va mai placando la spirale dell’odio, nonostante siano stati compiuti tanti passi significativi e determinanti sul fronte della civiltà e del progresso?
Vede, è una storia che parte da lontano e arriverà molto lontano. Hanno incominciato dai tempi della Bibbia Caino e Abele, poi le guerre erano tra tribù e tribù, poi tra città e città, poi tra popolo e popolo, adesso tra religioni e continenti; ad un certo momento non ci saranno più confini e si fermeranno. Guardi la nostra Europa. L’Italia non ha mai avuto un periodo così lungo di pace. Eppure non si comprende l’insensatezza dei conflitti. Le televisioni hanno fatto vedere l’esplosione della guerra e l’invio delle truppe pacifiste, così dicono. Io invece dico che pian piano la gente si renderà conto che è possibile vivere meglio senza conflitti. La guerra distrugge, non dimentichiamolo. Non possiamo portare le nostre regole nel convento altrui. Questo è un vecchio proverbio russo che io ho imparato quando ero lì. Cosa facciamo, andiamo a imporre la democrazia dove non la vogliono e non l’hanno mai avuta? Non possiamo imporre la nostra maniera di vivere a gente che non la vuole. Lasciamo a ognuno la propria maniera. Il fatto di dire “portiamo la pace” va rivisto. Come la portiamo, con i carri armati? Un’altra cosa vorrei dirle: i media, specialmente le televisioni, divulgano le notizie in maniera sproporzionata, amplificandole e rendendole paradossali. Arriva una notizia dall’Iraq: cade un elicottero, muore un pilota americano, la salma viene riportata in patria, seguono i funerali di Stato e il soldato viene salutato come un eroe. In realtà la morte è stata causata da un incidente, a seguito della caduta dell’elicottero. In Russia, invece, nel 1943 sono scomparsi ottanta mila soldati italiani, ma nessun giornale ne aveva dato notizia. Noi, tra i pochi sopravvissuti, avevamo il torto di esser vivi: eravamo testimoni scomodi. Vede come sono diverse le misure, anche tra guerra e guerra?

Certo, è anche una diversità epocale, naturalmente...
E’ una diversità epocale anche nella maniera di presentare le cose, innanzitutto...

La sua drammatica esperienza personale ha però coinciso con dei segnali di grande fratellanza, manifestati da gente umile che si è però rivelata ricca di un grande senso di pietà e di condivisione della sofferenza. Durante la terribile ritirata degli alpini in Russia, lei, assieme con i suoi compagni, è stato accolto nelle isbe del popolo nemico, durante la notte. Ha avuto un posto dove dormire, ben riparato dal freddo, ma anche del cibo per fronteggiare la fame. E’ per questo, dunque, che va ancora avanti il mondo, nonostante il perpetuarsi dell’odio in ogni area del pianeta?
Sì, e questo succede oggi ai popoli migranti; succede agli emigranti del terzo e quarto mondo che vengono in Italia, quando trovano qualcuno che dà loro una mano.

Lei ha pubblicato Il sergente nella neve nel 1953. Ecco, che ricordo ha di quegli anni? Chi ha frequentato tra gli scrittori di allora?
Frequentavo amici e persone di notevole spessore. Subito dopo aver scritto Il sergente nella neve, a parte Elio Vittorini che ha pubblicato il libro nei “gettoni” Einaudi, ho conosciuto Italo Calvino e molti altri scrittori e poeti. Anche se vivevo appartato sulla montagna, ogni tanto scendevo in pianura. A Padova c’era l’Università, dove incontravo qualche poeta come Diego Valeri; oppure andavo a Milano, dove mi incontravo con gli amici scrittori alla libreria Einaudi, in via Manzoni.

Come trova gli scrittori di oggi? Sono cambiati anche loro...
Hanno altri problemi e altri modi di raccontare. Ci sono i tradizionalisti, e penso a Sciascia per esempio, mio coetaneo. Di giovani ce ne sono di bravi.

Nelle sue opere, oltre ai rilievi della memoria, è costante il riferimento alle montagne. Come altrettanto forte è l’amore per la terra. Questa dimensione dell’anima in che modo la vive oggi? Ha forse la sensazione di essere uno degli ultimi cantori della natura? Lei dice che non si canta più oggi...
Vede, oggi ci sono coloro che non sanno più distinguere un abete da un pino. Sono gli “ecologisti da salotto” che chiamano tutti gli alberi pini. Poi ci sono gli “esasperati”, quelli che non si rendono conto che l’uomo vive sulla terra da molte migliaia di anni. Prima eravamo pochi e ora siamo in tanti, certo; ma nella terra c’è tanto posto, senza che si vada a cercare nulla altrove. La maniera di vivere della nostra epoca mi sorprende. Mi domando se serva a qualcosa fare una coltivazione intensiva e produrre molto fino a buttare poi via...

Tempo fa aveva lanciato l’allarme intorno all’abbandono delle montagne, criticando il fatto che vi si dedichino solo poche risorse. Effettivamente, la non coltivazione delle montagne comporta dei disastri irreparabili. Ecco, perché questa disattenzione, nonostante ci sia un gran discorrere intorno alla tutela dell’ambiente?
Noi purtroppo dimentichiamo un vecchio detto: è la montagna a regolare la natura. Siccome la montagna è un lavoro lento e lungo, non appare. Il bosco per crescere ha bisogno di tempo, un albero per crescere ha bisogno di almeno cent’anni, la foresta ha bisogno di secoli, molti secoli. Sono cose che si vedono poco. Il reddito dei soldi impiegati in montagna è basso ma costante. Non è soltanto la foresta. E’ che la foresta produce ossigeno e trattiene l’acqua; la foresta arricchisce pure il paesaggio, ma ci sono molti altri motivi a favore, tra cui quello di purificare l’aria. Non ci si rende conto che ad abbandonare la montagna si abbandonano con essa le sorti dell’ambiente.

Parliamo del suo paese, di Asiago. Per lei resta un luogo insostituibile, visto che lo ha eletto a dimora stabile...
No, non l’ho eletto io, è lui che ha scelto me.

Ci è nato e vissuto da sempre, a parte la triste parentesi della guerra. Vi ha lavorato nell’ufficio del Catasto, si è sposato e ha avuto tre figli. Anche nei suoi libri compare di continuo l’altopiano di Asiago. Ecco, cos’ha di così speciale il suo paese, la sua terra?
Vede, la mia famiglia vive qui da mille anni. Non troverei altro luogo per vivere.

Per concludere, che libri consiglierebbe ai lettori di “Teatro Naturale”?
Ci sono tanti autori. Consiglierei un libro vecchio ma sempre nuovo: Le Georgiche di Virgilio.

E tra i contemporanei?
Penso a Francesco Biamonti, che ha scritto libri bellissimi.

Perché si sta perdendo tanto il concetto di ruralità oggi? E’ qualcosa che va superato?
No, non va superato. Rimarrà, rimarrà, non si preoccupi. La gente ha necessità di aria buona e di verde, non esiste solo la televisione. Lentamente, vedrà che si riscopriranno i valori della ruralità. Intanto occorre darci una mano.

L’UOMO DELL’ALTIPIANO
Nato ad Asiago il primo novembre 1921, Mario Rigoni Stern ci vive dunque da sempre mantenendo un legame fortissimo con il territorio, a parte la drammatica parentesi del secondo conflitto mondiale.

Asiago, per quanti lo ignorassero, è un piccolo paese delle Prealpi venete, in provincia di Vicenza; assolutamente da visitare per la fascinosa bellezza dei luoghi, davvero incantevoli, non solo per il paesaggio.
Rigoni Stern da questa terra tanto amata si è allontanato suo malgrado per le tristi vicissitudini vissute da alpino sul fronte, culminate poi con l’esperienza di oltre due anni nei lager di Lituania, Slesia e Stiria, prigioniero dei tedeschi. Liberato nel maggio del 1945, torna a casa a piedi e dopo un periodo di spaesamento viene assunto presso l’Ufficio imposte del catasto di Asiago. Si sposa nel 1946 e diventa successivamente padre di tre figli. Ora vive nella casa di sempre, che lui stesso ha costruito con le proprie mani.

Il suo esordio da narratore risale al 1953, con Il sergente della neve. Ricordi della ritirata di Russia, apparso tra i “gettoni” einaudiani e divenuto oramai un classico della letteratura italiana. Il libro, sostenuto da Elio Vittorini, era una rielaborazione degli appunti presi da Rigoni Stern durante l’esperienza da militare. Si tratta di un’opera lucida e implacabile, scritta con stile semplice, senza enfasi, capace di presentare i nudi fatti con grande efficacia e onestà.
In questi giorni è peraltro in scena allo Strehler di Milano una rappresentazione teatrale del suo romanzo da parte dell’attore Marco Paolini.

Molti sono comunque i libri di Mario Rigoni Stern, li elenchiamo a beneficio dei lettori . Mondadori ha tra l’altro riunito le sue opere in un volume della celebre collana dei “Meridiani”, sotto il titolo di Storie dall’Altipiano. E tra i tanti suoi libri, molti hanno riferimenti alla natura. Uomini, boschi ed api, per esempio, è una raccolta di racconti in cui la storia dell’uomo viene ripercorsa attraverso la voce degli animali e della natura. Poi c’è La storia di Tönle, ch’è uno dei libri più alti dello scrittore veneto. Tönle Bintarn è stato un contadino, ma anche un pastore e un contrabbandiere, vissuto tra la fine dell'Ottocento e la grande guerra. Le sue vicende hanno sconvolto l'Altipiano asiaghese e rappresentano un destino che si è imbattuto con i grandi eventi della storia. Tönle rimane un uomo legato alla terra e all'alternarsi delle stagioni della natura e della vita, nonostante sia costretto ad affrontare la travolgente realtà degli eventi.









Postato il Martedì, 17 giugno 2008 ore 20:15:18 CEST di Maria Allo
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