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Umanistiche: E LA PASSIONE GENERO' VERSI....

Rassegna stampa

 

E la passione generò versi Al Festival di Fabriano, parole e dolore. Mussapi: «Il sentimento è forza primaria». Rondoni: «Si soffre per ciò che si ama». Zeichen: «Ma bisogna dar valore alla ragione»
U na rassegna di tre giorni dedicata ad un qualche cosa che tutti hanno sperimentato, ma che resta sempre un po’ inafferrabile: la passione. Perché «la passione è ciò che ci fa alzare la mattina, è un progetto, è la persona che amiamo, è il figlio, è la cosa che ci cambia la vita… La passione non ammette di essere coperta, velata, è fiamma che brucia. E costringe a credere nei sogni, e quindi a pensare che siano possibili cose che per altri non lo sono. È per questo che la passione apre strade nuove», spiega Francesca Merloni, poetessa, ideatrice di
«Poiesis. Passione nella città del fare», il grande evento che si svolgerà a Fabriano da domani a domenica.
Sarà possibile ammirare la «Maddalena Penitente» del Caravaggio, simbolo per eccellenza della passione, e assistere a eventi artistici e musicali ad essa ispirati.
Ci saranno percorsi artistici, letture, dibattiti con ospiti come Tahar Ben Jelloun, Gerard Depardieu, Alessandro Preziosi o Sergio Rubini. E a Fabriano si incontreranno anche molti poeti italiani: è ad alcuni di loro che abbiamo chiesto di raccontarci il peso della passione nel loro lavoro.
«La passione è una forza primaria», spiega Roberto Mussapi, «senza la quale le vele della vita non si gonfiano. Certo, un eccesso di passione può tramutarsi in tempesta e la tempesta, sul mare, significa naufragio e distruzione. Ma il vento è pur sempre segno di qualcosa che vive: il vero nemico del navigante è la bonaccia, l’immobilità che significa morte certa. La passione d’amore detta la poesia d’amore, ma la poesia d’amore in genere canta la passione che si manifesta facendo soffrire. Eppure è proprio questo dolore che ci dice che siamo capaci d’amare».
Insomma, la passione può anche travolgere, ma è vita. Infatti «il trionfo della passione è l’Inferno di Dante. Lì si trovano uomini dominati da passioni incontrollate, ma Dante li capisce, e infatti è solidale, ad esempio, con Ulisse o Francesca da Rimini. Nella poesia la passione si muta costituzionalmente in compassione, parola che nel suo significato etimologico significa 'sentire insieme': il poeta vive passioni per conto proprio, ma soprattutto è interprete delle passioni degli altri. Non è solo un uomo che scrive ad altri o per gli altri, è un uomo che scrive a nome degli altri. Per questo capita, leggendo una poesia, che si pensi: 'sembra scritta per me'. Ed è vero: benché scritta in un’altra epoca, un’altra società, un altro mondo… parla di noi».
Anche Davide Rondoni collega sofferenza e amore: «nel mio lavoro di poeta la passione ha lo spazio della sofferenza per qualcosa che si ama. Tanto dunque.(Da Avvenire )M.Allo

Quando si scrive si è mossi dal reale, che si presenta come movimento di sentimenti, idee, visioni, curiosità. La parola passione può includere tutto questo, ma insisto nel dire che è un soffrire per ciò che si ama». Anche per questo «sia il lato travolgente, distruttivo che quello positivo, vitale della passione mi appartengono entrambi. Ma se è vero che la passione può essere distruttiva, è anche vero che distruggersi è contro natura. Guidare le passioni, o meglio fissare il loro destinarsi, è la grandezza e la natura dell’uomo. È così che si vivono, altrimenti sembra di vivere, ma è un’illusione».
Guidare le passioni, però, non è facile, anche per la loro inafferrabilità e mutevolezza. «C’è una meteorologia delle passioni che variano con il tempo, gli anni, i luoghi», spiega Valentino Zeichen.
«Quella meravigliosa perturbazione rotante che questa settimana ha turbato tutta l’Italia con improvvisi piovaschi, rasserenamenti, oscurità impreviste ha dato nel cielo un’idea di quello che può accadere nell’animo dei poeti». Dunque ci possono essere anche momenti di sereno, cioè di latitanza delle passioni.
«Però ci sono passioni personali e passioni civili. La poesia è un fatto individuale, ma ci sono state passioni politiche che ad un certo punto l’hanno oscurata. Ora è difficile tornare alle passioni individuali». Per fortuna, «esiste una volontà passionale, che è lodevole.
Ed è la rivolta della vitalità contro l’atrofia dei sentimenti».
È per questo allora che nella Commedia Dantesca in genere amiamo soprattutto l’Inferno? «È vero che l’Inferno è un bazar di passioni, e noi lo preferiamo perché è passione che si fa azione. Comunque direi che possiamo non perderci nelle passioni se abbiamo una buona struttura forense, se abbiamo nella mente buoni avvocati capaci di negoziare per noi».
Questo vuol dire che la passione ha bisogno di passare attraverso la ragione, per essere dominata, indirizzata. «Per farsi parola e verso, la passione deve assumere una forma e sono i concetti a dargliela. È un problema di confezione: per essere astuti produttori/venditori di versi bisogna trovare la perfezione nel rivestimento».

Davide Rondoni è il poeta italiano contemporaneo più di ogni altro dentro la contemporaneità. Le sue opere, soprattutto Il bar del tempo (Parma, Guanda, 1999), che in parte contiene testi pubblicati e rielaborati dai precedenti libretti, rivelano un poeta originale nel panorama odierno, che cita Vasco Rossi e Don Giussani liberamente, come sentori che penetrano una realtà da diversi, inaspettati punti di vista.

Non solo una forte vocazione lirica emerge dalla scrittura che ha molte radici e nessuna vera e propria eredità (neanche quella di Luzi e Testori, ci sembra), ma anche una condizione che attinge continuamente all’impoetico per renderlo sostanza, carne e sangue di una struttura e di un verso invece assolutamente poetici (un guardrail, per esempio, o il cellophàn, oggetti che si schiudono muti e che appartengono alle tante figure, specie notturne).

Davide Rondoni è continuamente in viaggio, e il senso dell’andare si fonde con il timbro di gran parte delle poesie scritte proprio in viaggio o nel ricordo e nell’immaginazione del viaggio. Da questo punto di vista, in chiave personale e probabilmente inconsapevole, Rondoni segue un’esperienza che ha permeato la migliore cultura occidentale da sempre, proprio tra viaggio e poesia (si pensi a Omero, a Pindaro, a Ulisse, a Shelley, a Byron).

La necessità d’interrogarsi nell’anima di gente che si dibatte soffocata e minacciata da un lento dipanarsi del giorno, nell’affaccendarsi dei riti lavorativi, nelle pause di un osservatorio vasto, spinge Rondoni a leggere l’uomo contemporaneo nei tram, nei bar, negli autogrill, dove si passa e non ci si ferma, dove l’aria che si respira è la fluttuazione del mondo, dove le esplorazioni non sono in un altrove incantato, in un rifugio visionario o in una sorveglianza mentale. No, Rondoni è tutto dentro la febbre del giorno perfino anonimo, in dialoghi ininterrotti di un uomo con altri uomini, come ha scritto Paolo Lagazzi: è l’uomo del supermarket, del condominio e della metropolitana.

«Pioggia anche la mattina / giù dai vetri larghi al supermarket, / acqua sentita per un istante, / una stretta nel cuore all’uscita / dalle porte a cellula di luce / e giù la testa, di corsa / fino all’entrata confusa nell’auto / tra l’odore dei vestiti bagnati / e la carezza gelida del cellophàn».

Il poeta è continuamente alla ricerca di un momento azzeccato che colga il mondo e non i sogni, come egli stesso dice, proprio a significarci che il suo essere nel bar del tempo è essere nelle sere e nelle notti, nelle albe e nei primi mattini, lì seduto o in piedi, in un’eco tutta visibile, a portata di mano. Il tuffarsi nella vita per percepire una verità che possa essere di tutti, tramuta la luce reale delle percezioni di Rondoni in quella felicità che un poeta cattolico sa essere custodita in fatti e identità nei quali credere, punti fermi, inamovibili.

Lirismo e realismo convivono, scrive Giuseppe Conte nella bandella de Il bar del tempo, e la fede di questo poeta raramente metafisico, è la testimonianza di un eterno raggiunto nel volto e negli oggetti delle piazze che sempre ritornano familiari, dei viali, delle stazioni, di questo grande bar che non chiude mai, emblema di un tempo e di un destino sovrastanti nella piccolezza del nido di provincia, Forlì, o in qualsiasi altra città dove non manca mai il bar che si radica come un presagio per chiunque ci entri («Ogni tanto ricompari / seduto al tuo bar / davanti alla stazione. / Come allora non hai / grandi cose da dirmi, / ancora e solo quel saluto»).

Ha ragione Daniele Piccini nel sostenere che in questa poesia emerge a più riprese, come un vero e proprio cardine, l’amore per il mondo, la bruciante ferita del doverlo attraversare, guardare, custodire. Mistero e piena confidenza con la grana minima dell’esistenza, movimento cosmico e umile vivere di uomini comuni, l’unità di terreno e divino, sono le componenti di un gesto interno come pienezza dell’esistere, dell’esperienza.

Davide Rondoni scrive in una tensione profonda e che affiora in superficie, che coglie l’emozione colloquiale del discorso poetico, con la parola indicativa di una vera presa diretta. La parola è l’elemento più caratterizzante l’approccio testuale alle poesie, quando viene estrapolata dal linguaggio dialogico, proprio per esprimere la cognizione comune di un incontro qualsiasi («Guarda le nubi sul mondo / e su questa piazza che dilata / dove tutto in fretta si disperde… / Restano i baristi sulla soglia / davanti ai tavolini vuoti / e alle sedie disordinate / a veder che battono i lembi alle tovaglie / e a scambiarsi, tranquilli, due cazzate»).

Anche Vasco Rossi o Tina Turner, amati dalle nostre generazioni, sono nell’orecchio della gente, quella musica in sottofondo che assume un’evidenza sonora per chi si incontra, per chi rimane nel ricordo di una canzone pop che identifica, per una volta, un luogo, una notte.

Davide Rondoni non si lascia mai catturare da intellettualizzazioni facili, ma congegna una forma rapida per calarsi nel mondo, e lo sguardo limpido sulla realtà costruisce un senso che tiene insieme autobiografia e mutamenti perfino epocali. Una conversazione attiva si mantiene inalterata per tutta la lettura del libro più rappresentativo, Il bar del tempo, che è la continuazione e in parte la rivisitazione dei precedenti, da La frontiera delle ginestre (Forlì, Forum/Quinta Generazione, 1985) fino a Nel tempo delle cose cieche (Forlì, Nuova Compagnia Editrice, 1993).

Rondoni è stato anche il libero interprete dei Salmi riproposti attraverso la versione poetica Poesia dell’uomo e di Dio (Genova, Marietti, 1998), un’opera nella quale il linguaggio lirico moderno si addentra nella forza di altissimi testi di invocazione e lode al Signore. L’immedesimazione con i Salmi, come lo stesso poeta ha scritto in un abbozzo di studio e di giustificazione sul suo lavoro, inizia non nella mente o nel cuore. Inizia, per un poeta cattolico, con la voce. Un cuore, quindi, che di rimando non teme di seguire, di obbedire al passo, al gesto di un altro uomo. Come succede con i suoi versi più intensi, anche nella versione dei Salmi Rondoni da del “tu” al mondo e a Dio, un modo forte per rompere l’estraneità tra gli uomini.

I Salmi non fanno paura, ma anzi sono la lotta con le parole e la preghiera alla trascuratezza della grande tradizione religiosa. Un testo biblico è anche una delle più grandi raccolte poetiche dell’umanità, e Rondoni ci restituisce questa eredità con estrema dimestichezza, senza pensare che siamo di fronte a qualcosa di intoccabile. Sia che parli di Dio, sia che parli di un autogrill, come intuisce Luca Doninelli, Rondoni ci fa capire che tutto è poesia, che quel qualcosa in più è l’essenza viva della poesia.

Ritornando ai testi di questo infinito “bar del tempo”, l’io meditante che leggiamo è nella quotidianità di attimi concatenati, in esterni che si stagliano come tante tavolozze, dove scivola velocemente lo stimolo di sopravvivenza del mondo, in ogni direzione si vada.

Si può anche morire al banco del bar - -
le mille etichette
variopinte contro gli specchi
erano farfalle
sopra i miei occhi
e sul viso di lei che mi guardava
con un’azione ferma
e vorticosa, s’innamorava.

Si può lasciare andar tutto
nel viaggio che fanno
dal banco alle labbra
la tazzina e la mano,
gesto cometa
in una sera insidiosa
e leggera a Bologna,
quel cielo di seta -

(mi fai tremare il cuore,
diceva una canzone dolce e violenta,
mi fai smettere di respirare).

Si può essere cortesi
da morire
in uno dei bar del centro.
Poi si deve fuggire, senza
guardarsi dietro, senza guardarsi
dentro.

Questo poeta del viaggio non esce mai dai suoi schemi, non ricerca uno sprazzo di fuga, né tanto meno di veggenza. Non cerca neanche l’ignoto, ma una dimensione accessibile all’uomo reporter, fotografo della vicenda umana, relativa e assoluta allo stesso tempo. Perché Dio è anche sui gradini di una piazza, nella tangenziale all’uscita di un’autostrada, dove un angelo può aspettare di vederLo.

Nel giugno del 2003 è uscita la raccolta Avrebbe amato chiunque (Parma, Guanda), dove con spietata e dolce limpidezza, Rondoni si inoltra nel duro presente sempre ben percepibile. Ne esce fuori l’uomo, non solo il poeta, nella saldezza figurativa e nella sofferenza dell’animo, nell’interrogazione autocoscienziosa, inconfondibile.

Dall’antologia Lirici e visionari (Ancona, il lavoro editoriale, 2003)
Per gentile concessione dell'editore
NOTA SULL'AUTORE
Alessandro Moscè è nato ad Ancona il 26/6/1969. Avvocato.
Ha pubblicato la breve raccolta di racconti e testi poetici Il curioso di una città (Fabriano, Arti Grafiche Gentile, 1998) e il romanzo Le ombre parlano (Fabriano, La citt@’ gioiosa, 2000).
Ha inoltre curato l’antologia poetica Lirici e visionari (Ancona, il lavoro editoriale, 2003).
È presente nell’antologia di poeti Clandestini (Faloppio, Lietocollelibri, 2003).
Collabora alle riviste «Nuova Antologia», «Atelier», «Pelagos». Scrive sulla pagina della cultura de «Il Corriere Adriatico» e de «L’Azione».
Ha ideato e coordina per il Comune di Fabriano la rassegna letteraria Incontri con l’autore e il recital Le Voci.

Scrive Roberto Mussapi: «Il viaggio non esotico, cioè non evasivo, conduce al proprio centro, all'identità profonda, ed è l'orizzonte che rende possibile la scoperta di sé». E ancora: «Il viaggio come lo intendo non è peregrinante, è un'impresa». I luoghi del mito classico, della grande tradizione letteraria anglosassone, non diversamente da quelli delle nostre metropoli sono le stazioni fondamentali del viaggio poetico dell'autore. Tuttavia è anche a una dimensione cristiana che indica, e quasi afferma fiduciosa, una salvezza al di là di qualsiasi tragedia e persino di qualsiasi oltretomba che dobbiamo l'originalità più viva di questo poeta.

È nato a Cuneo nel 1952 e vive a Milano. Tra i volumi di poesia ricordiamo: La gravità del cielo, Jaca Book, 1983; Luce frontale, Garzanti, 1987; Gita Meridiana, Mondadori, 1990; Racconto di Natale, Guanda, 1995; La polvere e il fuoco, Mondadori, 1997; Antartide, Guanda, 2000; Il racconto del cavallo azzurro, Jaca Book, 2000. È autore di teatro con drammi in versi e in prosa, e ha tradotto, fra gli altri, testi di Stevenson, Melville, Walcott, Heaney e Shelley.









Postato il Giovedì, 22 maggio 2008 ore 16:07:42 CEST di Maria Allo
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