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Umanistiche: IL COMPUTER DI PLATONE:ALLE ORIGINI DEL PENSIERO LOGICO E MATEMATICO

Rassegna stampa

 

Luigi Borzacchini

Il computer di Platone. Alle origini del pensiero logico e matematico

Edizioni Dedalo, Bari 2005

Che cos’è il pensiero formale? Oltre cinquant’anni sono passati dalla nascita del computer ed oggi il termine ‘pensiero formale’ ha assunto un senso più preciso e tecnico che nel passato, in connessione alla stessa possibilità di parlare di ‘pensiero’ trattando del computer, un ‘pensiero’ inteso come la “manipolazione sintattica” dei segni secondo regole. In effetti solo nell’ultimo secolo il problema ha cominciato a delinearsi concretamente, anche Kant non pensò mai di scrivere una “critica della ragione formale”.

In senso molto intuitivo potremmo dire che “pensare formalmente” significa “ragionare senza comprendere”, usando il verbo ‘ragionare’ in senso molto lato, quel senso molto lato per cui diciamo che i computer ‘pensano’, un uso diffusosi negli ultimi decenni soprattutto a ridosso delle tematiche dell’“intelligenza artificiale”. Cercando una caratterizzazione più precisa e utile potremmo dire che “pensare formalmente” significa basare la conoscenza su una corrispondenza tra la realtà ed un linguaggio, tramite la quale il linguaggio può “rappresentare” la realtà e la realtà può “interpretare” il linguaggio. Tra questi due ‘mondi’ se ne può anche introdurre un terzo, la “mente”, quasi a fare da ponte tra i primi due.

Non ci vuole molto a convincersi che realtà e linguaggio non si assomigliano per nulla, sono due mondi radicalmente diversi, e che quindi il pensiero formale non ha niente di ‘naturale’, niente di ‘logico’ su cui fondarsi. Forse l’unica cosa seria che si possa fare allora è cercare di darne una “storia critica” che per lo meno ci aiuti a vederne questa non-naturalità, questa non-ovvietà. Ma a questo fine occorre anche convincersi della non banalità dei segni, autentici ‘anfibi’, in quanto da un lato enti ideali, gli unici dei quali si possa predicare l’assoluta uguaglianza o diversità, eppure d’altro lato anche materiali, manipolabili come ‘cose’.

Questa corrispondenza tra realtà e linguaggio è ciò che chiamo paradigma sintattico e che credo si possa ritrovare esplicito in Aristotele, più implicito già forse in Parmenide, e che mi sembra emergere in quella costellazione di fatti sociali, culturali, antropologici che vanno sotto l’etichetta della Grecia pre-classica, una costellazione di fatti al cui centro credo si poneva la “tecnologia alfabetica”, cioè quella fondazione della “forma simbolica” dell’antichità centrata sull’alfabeto, sul rapporto tra parola e scrittura che ne derivava, sul divenire ‘muto’ del mondo e sulla sua ‘dicibilità’ tramite la parola che ne seguiva, sulla riorganizzazione della produzione e riproduzione culturale che emergeva. L’alfabeto è nato una volta sola ed anche il pensiero formale è nato una volta sola.

Le stoicheia erano le lettere del linguaggio scritto, gli elementi nella realtà fisica, i principi della dimostrazione nella dottrina della scienza, lo stesso termine indicava cioè gli elementi di base dei tre mondi connessi dal paradigma sintattico.

La civiltà e la cultura greca classica si riorganizzarono intorno al pensiero formale, la memoria lentamente svanisce come base del sapere di fronte all’affermarsi della scrittura, la dimostrazione da evidenza visuale diveniva percorso sintattico, la stessa scuola greca classica si basava ormai sul leggere, scrivere e far di conto, cioè sul ‘manipolare segni’: diventava una scuola sintattica. E i saperi trovavano nuove forme, due discipline soprattutto ne venivano trasfigurate: la filosofia diventava dialettica e logica, la matematica si fondava sul metodo assiomatico e si faceva linguaggio di rappresentazione.

 

Ma il “paradigma sintattico” oltre che non naturale è anche essenzialmente paradossale, soprattutto alcune ‘parole’ non riescono a trovare una interpretazione nella realtà, parole come “essere”, “verità”, “non”, non hanno alcun corrispondente reale e questa loro ‘irrealtà’ si manifesta in paradossi quali il “paradosso del giudizio negativo” o “il mentitore”, ed anche termini ‘olistici’, quali soprattutto quelli matematici (numeri, figure, relazioni), sono esposti a numerosi paradossi: sono questi diffusi nella storia della filosofia presocratica e saranno uno dei problemi principali per Platone. E il rapporto col linguaggio si rivela anche per la matematica un passaggio decisivo. Molte delle caratteristiche più strane della matematica greca (l’abisso tra discreto e continuo, l’inesistenza dello zero e l’opposizione tra ‘uno’ e ‘numero’ sono gli esempi più famosi) diventano molto più leggibili in questa luce.

 

Si delinea anche l’idea di una matematica come “antropologia radicale”, le cui radici profonde vanno cercate nel linguaggio, nella musica, nella religione, e la cui ‘banalità’ è solo indizio della sua ‘radicalità’, così che l’ “incommensurabilità” tra lato e diagonale del quadrato, quel costrutto matematico che viene, a ragione in fondo, considerato l’atto di nascita della matematica moderna, non è tanto il risultato di una tecnica attività astratta del matematico, quanto lo sbocco fallimentare (o trionfale) di un progetto politico-religioso di dominio basato sul controllo matematico della musica come grande medium sociale. Un po’ come i teoremi di incompletezza di Gödel, che rendono il programma di Hilbert tanto fallimentare da essere la data di nascita della computer science, o come la scoperta dell’America da parte di Cristoforo Colombo, che credeva di scoprire un modo nuovo per raggiungere il vecchio mondo e che ha invece scoperto semplicemente un nuovo mondo.

 

Tutta la parte centrale del libro si propone di ricostruire la storia della logica e della matematica greca classica da questo punto di vista, esplorando il metodo assiomatico-deduttivo e la dimostrazione per assurdo, la dottrina della scienza aristotelica e la gestione dei paradossi, l’evoluzione del concetto di numero, l’infinito, il continuo e l’incommensurabilità. Qui si delinea una matematica difficile da comprendere per noi che siamo cresciuti all’ombra della algebra cartesiana, con la quale rendiamo sintattica la rappresentazione dell’essere geometrico e meccanico, e della nozione di numero reale, col quale ‘incolliamo’ numeri e grandezze, discreto e continuo.

Negli ultimi capitoli si analizza il formarsi del “soggetto della conoscenza”, l’anima, come passo fondamentale del paradigma sintattico, e poi si cerca di applicare la stessa chiave di lettura alla filosofia, logica e matematica cinese per un’analisi comparata.

In definitiva nel libro si delineano i primi passi del “pensiero formale” nell’antichità come destinato a diventare il segreto motore della scienza e della civiltà europea, lasciando intravedere alla fine della storia, nel computer, la sua ragion d’essere. Il seguito è un’altra storia.

 

Luigi Borzacchini

è professore di Matematica discreta e Storia della Matematica all'Università di Bari

 

 

 

 

 

 

 









Postato il Venerdì, 02 maggio 2008 ore 16:27:08 CEST di Salvina Torrisi
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