Perché studiare se la scuola promuove lo stesso?
di Vincenzo Pascuzzi
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L’eutanasia dell’Istruzione tra programmi light e promozioni low cost
Perché studiare se la scuola promuove lo stesso?
Due articoli, apparsi di recente sulla stampa, costituiscono le due facce di una stessa medaglia oppure le due ganasce della stessa morsa.
Nel primo, “La scuola riparta da maestri e contenuti” - il Messaggero di domenica 20.4.2008 (1), il prof. Giorgio Israel, tra l’altro, afferma:
1) I programmi si costruiscono in classe;
2) I programmi li fanno le case editrici producendo spesso libri pessimi e infarciti ….;
3) Gli studenti indiani sopravanzano nella matematica di almeno tre anni i nostri studenti.
Nel secondo, “L’Italia degli asini - Il preside ordina il ‘sei politico’” – La Stampa di lunedì 21.4.2008 (2), Alessandra Cristofani riferisce di una circolare del preside Roberto Volpi, D.S. dell’Istituto d’Arte «Bernardino di Betto» di Perugia, nella quale i docenti vengono perentoriamente invitati “a ridurre le insufficienze degli studenti, a meno di non voler compromettere i rapporti con la presidenza” e allo scopo di evitare “segnali che mettono in pericolo i rapporti con l’utenza e quindi la tenuta dell’istituto come entità autonoma” (3).
Il prof. Israel dallo scorso novembre fa parte una Commissione del MPI, ha appreso che i “programmi ministeriali” ora non ci sono più e sono stati sostituiti dalle “indicazioni nazionali” e ritiene che i programmi effettivamente svolti – i “contenuti” - li facciano le case editrici producendo libri. Le cose non stanno proprio così. Le case editrici non fanno i programmi attuali ma producono libri in genere validi e ispirati ai programmi ministeriali che furono. Non potrebbero fare altrimenti.
I programmi preventivi ora vengono definiti dai docenti – nelle c.d. programmazioni – tenendo conto sia delle indicazioni nazionali sia di quanto emerge dalle riunioni di classe, di materia o di dipartimento. Sulla carta questi programmi preventivi sostanzialmente ricalcano i programmi ministeriali aboliti.
E’ nelle realtà delle classi che i programmi preventivati vengono poi ridotti, mutilati, si arenano o naufragano del tutto. I ragazzi hanno ben capito e sperimentato che più rallentano, intralciano, impediscono l’avanzamento dei programmi meno devono studiare. Sanno innescare il circolo vizioso: pochi contenuti, poco studio. E’ vero che c’è anche una diffusa carenza di prerequisiti o conoscenze di base ma è anch’essa una conseguenza del sistema (o andazzo) innescatosi ormai da anni. E’ una specie di assurda gara di salto in alto in cui l’asticella viene posta sempre più in basso finché il ‘concorrente’ non riesce a superarla e viene premiato. La valutazione fatta dai docenti non può che riferirsi alla situazione e adattarsi al (poco) programma effettivamente svolto. Non possiamo meravigliarci degli studenti indiani che superano di tre anni i nostri: e non solo in matematica.
C’è poi il preside di Perugia con la sua circolare rivelatrice, e sicura testimone (in quanto scritta), dei comportamenti diffusi e generalizzati dei presidi: promuovere anche chi non merita per non ridurre le classi e rischiare di chiudere o far accorpare la propria scuola. Su questo singolo punto (non sul resto) non mi sento di criticare e condannare il preside in questione: è stato esplicito, chiaro, ha formalizzato per iscritto quello che numerosi suoi colleghi fanno regolarmente da anni in maniera informale, verbale ma ugualmente efficace. I presidi, ma anche i docenti, sono in una situazione di costrizione indotta dal sistema scolastico, agiscono cioè per (quasi) legittima difesa e sottoposti a pressioni provenienti dall’alto (gerarchia), di lato (le altre scuole potenziali concorrenti), dall’utenza (ragazzi e loro famiglie). Che altro potrebbero fare? Si può forse bocciare di più?
Concludendo, i programmi sempre più ridotti e i presidi costretti a fare pressioni per promuovere anche chi non merita costituiscono le due ganasce della morsa che stringe la scuola e soffoca l’istruzione. Ma la responsabilità di stringere la morsa non è né dei presidi né dei docenti e nemmeno degli alunni ma risale ai politici, ai partiti e anche ai sindacati che hanno gestito la scuola.
di Vincenzo Pascuzzi
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L’eutanasia dell’Istruzione tra programmi light e promozioni low cost
Perché studiare se la scuola promuove lo stesso?
Due articoli, apparsi di recente sulla stampa, costituiscono le due facce di una stessa medaglia oppure le due ganasce della stessa morsa.
Nel primo, “La scuola riparta da maestri e contenuti” - il Messaggero di domenica 20.4.2008 (1), il prof. Giorgio Israel, tra l’altro, afferma:
1) I programmi si costruiscono in classe;
2) I programmi li fanno le case editrici producendo spesso libri pessimi e infarciti ….;
3) Gli studenti indiani sopravanzano nella matematica di almeno tre anni i nostri studenti.
Nel secondo, “L’Italia degli asini - Il preside ordina il ‘sei politico’” – La Stampa di lunedì 21.4.2008 (2), Alessandra Cristofani riferisce di una circolare del preside Roberto Volpi, D.S. dell’Istituto d’Arte «Bernardino di Betto» di Perugia, nella quale i docenti vengono perentoriamente invitati “a ridurre le insufficienze degli studenti, a meno di non voler compromettere i rapporti con la presidenza” e allo scopo di evitare “segnali che mettono in pericolo i rapporti con l’utenza e quindi la tenuta dell’istituto come entità autonoma” (3).
Il prof. Israel dallo scorso novembre fa parte una Commissione del MPI, ha appreso che i “programmi ministeriali” ora non ci sono più e sono stati sostituiti dalle “indicazioni nazionali” e ritiene che i programmi effettivamente svolti – i “contenuti” - li facciano le case editrici producendo libri. Le cose non stanno proprio così. Le case editrici non fanno i programmi attuali ma producono libri in genere validi e ispirati ai programmi ministeriali che furono. Non potrebbero fare altrimenti.
I programmi preventivi ora vengono definiti dai docenti – nelle c.d. programmazioni – tenendo conto sia delle indicazioni nazionali sia di quanto emerge dalle riunioni di classe, di materia o di dipartimento. Sulla carta questi programmi preventivi sostanzialmente ricalcano i programmi ministeriali aboliti.
E’ nelle realtà delle classi che i programmi preventivati vengono poi ridotti, mutilati, si arenano o naufragano del tutto. I ragazzi hanno ben capito e sperimentato che più rallentano, intralciano, impediscono l’avanzamento dei programmi meno devono studiare. Sanno innescare il circolo vizioso: pochi contenuti, poco studio. E’ vero che c’è anche una diffusa carenza di prerequisiti o conoscenze di base ma è anch’essa una conseguenza del sistema (o andazzo) innescatosi ormai da anni. E’ una specie di assurda gara di salto in alto in cui l’asticella viene posta sempre più in basso finché il ‘concorrente’ non riesce a superarla e viene premiato. La valutazione fatta dai docenti non può che riferirsi alla situazione e adattarsi al (poco) programma effettivamente svolto. Non possiamo meravigliarci degli studenti indiani che superano di tre anni i nostri: e non solo in matematica.
C’è poi il preside di Perugia con la sua circolare rivelatrice, e sicura testimone (in quanto scritta), dei comportamenti diffusi e generalizzati dei presidi: promuovere anche chi non merita per non ridurre le classi e rischiare di chiudere o far accorpare la propria scuola. Su questo singolo punto (non sul resto) non mi sento di criticare e condannare il preside in questione: è stato esplicito, chiaro, ha formalizzato per iscritto quello che numerosi suoi colleghi fanno regolarmente da anni in maniera informale, verbale ma ugualmente efficace. I presidi, ma anche i docenti, sono in una situazione di costrizione indotta dal sistema scolastico, agiscono cioè per (quasi) legittima difesa e sottoposti a pressioni provenienti dall’alto (gerarchia), di lato (le altre scuole potenziali concorrenti), dall’utenza (ragazzi e loro famiglie). Che altro potrebbero fare? Si può forse bocciare di più?
Concludendo, i programmi sempre più ridotti e i presidi costretti a fare pressioni per promuovere anche chi non merita costituiscono le due ganasce della morsa che stringe la scuola e soffoca l’istruzione. Ma la responsabilità di stringere la morsa non è né dei presidi né dei docenti e nemmeno degli alunni ma risale ai politici, ai partiti e anche ai sindacati che hanno gestito la scuola.