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Umanistiche: L'ETICA AMBIENTALE NELL'INSEGNAMENTO DELLA FILOSOFIA

Istituzioni Scolastiche

L’etica ambientale nell’insegnamento della filosofia

di Mauro De Zan*

 

I giovani hanno fame di etica. L’interesse per i temi etici non dipende da mode (anche se i media orientano il loro interesse verso specifici problemi) o fattori contingenti, ma ha radici esistenziali. Gli adolescenti attraversano una fase di crisi nella quale cercano di definire quale sarà la propria identità. Per raggiungere questo scopo devono darsi valori e regole di comportamento che li accompagneranno per tutta l’esistenza. Il quadro di riferimento valoriale scelto sarà tanto più saldo quanto più essi avranno consapevolezza del perché e del modo in cui questi valori sono stati individuati. Per questo devono ‘sospendere il giudizio’ sui valori trasmessi dalla famiglia o dalla comunità di appartenenza. Spesso i genitori confondono questa esigenza di sottoporre a critica i valori, come un rifiuto dei valori stessi e chiedono alla scuola di intervenire per aiutarli a ‘rimettere le cose a posto’.

 

Imparare a discutere di etica

In realtà la scuola non può, né deve, intervenire in tal senso. Suo dovere è aiutare i giovani a percorrere questo tragitto, fornendo indicazioni metodologiche su come questi problemi possono essere affrontati. La scuola deve insegnare i modi migliori per ragionare e argomentare anche quando l’oggetto della ricerca è qualcosa che coinvolge emotivamente, come appunto i valori etici. Per questo le problematiche etiche non sono facili da gestire e diverse sono le strategie da mettere in atto nell’insegnamento dell’etica. Nella scuola italiana questo insegnamento è affidato al docente di filosofia. Il taglio storico dell’insegnamento della filosofia fa sì che, quasi sempre, l’etica sia presentata all’interno del pensiero di un filosofo o di una scuola filosofica. Ciò permette al giovane di venire a conoscenza che gli stessi problemi etici sono stati affrontati con diversi, talvolta opposti, strumenti concettuali e che, nel corso della storia, l’attenzione per certi temi etici ha subito profondi mutamenti: per Aristotele la schiavitù era eticamente irrilevante, mentre per i philosophes era inaccettabile. La storia della filosofia, infine, ci fa sapere che uomini con diverse visioni etiche possono civilmente discutere tra loro di etica. Aspetto non secondario della tradizione filosofica.

L’efficacia didattica dell'etica ambientale

 

Se l’insegnamento storico ha valore, ed è ancora seguito nella prassi della didattica filosofica, credo tuttavia che i temi etici possano essere affrontati con maggior efficacia partendo da situazioni più legate alla contemporaneità: in questa veste risultano più interessanti per i giovani. Questa impostazione ha benefici effetti sull’insegnamento della filosofia che può trovare proficue connessioni con altre discipline. Da diversi anni in molte scuole si affrontano temi di bioetica ed esiste già un’ampia letteratura a proposito (si veda la ricca bibliografia raccolta in Giuseppe Deiana, Bioetica e educazione. Manuale per l’insegnamento della bioetica, Como-Pavia, Ibis, 2005). Diversa la situazione per quanto riguarda l’insegnamento dell’etica ambientale (d’ora innanzi E.A.) che, sulla base della scarsa documentazione, sembrerebbe poco diffuso. Questa impressione è accentuata da due fattori: 1) temi di E.A. sono talvolta affrontati all’interno di corsi dedicati alla presentazione della bioetica che, in senso lato, comprende anche l’E.A.; 2) spesso si tende a confondere l’educazione ambientale con l’E.A. Su ciò va fatta chiarezza in quanto si tratta di due approcci didattici diversi ai problemi ambientali. L’educazione ambientale ha lo scopo di rendere consapevoli i giovani che la salvaguardia dell’ambiente dipende anche dai loro comportamenti e di conseguenza li stimola al rispetto di regole date che poggiano su valori considerati in sé validi o perlomeno condivisi. L’E.A. cerca di chiarire a) i metodi da seguire per meglio comprendere l’origine dei valori a cui si fa riferimento trattando di problemi ambientali, b) se questi valori vanno considerati in sé o in relazione ad altri valori, c) le loro relazioni con l’agire individuale e soprattutto collettivo. Infine fornisce indicazioni su come si può giungere a valori condivisi, pur ammettendo l’esistenza di diverse scale valoriali, o almeno a regole comuni da tutti rispettate. Per queste ragioni l’E.A. meglio si adatta alla specifica situazione adolescenziale. L’E.A. può essere considerata, tutt’al più, come il ‘naturale’ proseguimento di un cammino didattico iniziato con l’educazione ambientale.

Le esperienze e le riflessioni teorico-metodologiche sull’insegnamento della bioetica costituiscono una ricca fonte da cui trarre spunti per l’impostazione della didattica dell’E.A.; tuttavia è utile indicare alcune specificità che distinguono l’insegnamento dell’E.A. da altri ambiti della bioetica. Semplificando in questi l’attenzione prevalentemente è rivolta a particolari stati dell’essere umano: concepimento, malattia, morte. Si tratta di problemi che riguardano la sfera individuale, nonostante la consapevolezza che debbano essere giuridicamente normati. Trattando di aborto, eutanasia, fecondazione assistita ecc., i giovani appaiono molto coinvolti emotivamente e tendono ad assumere posizioni nette che riflettono schemi interpretativi consolidati (o meglio ‘pietrificati’) dalla vetusta opposizione tra le visioni laica e cattolica. La situazione è diversa per i temi di E.A. Qui pesano meno condizionamenti esterni e la partecipazione è più spontanea. Inoltre, mentre nella classe vi possono essere alcuni che ritengono che i problemi bioetici non li tocchino direttamente e quindi preferiscono non pronunciarsi, tutti invece si sentono coinvolti in quelli ambientali, in quanto nessuno può ‘tirarsi fuori’ dal mondo. É una situazione che stimola positivamente le capacità di analisi e produzione di argomentazioni razionali e favorisce la consapevolezza del valore e significato del confronto. Permette ai giovani di sondare la solidità dei propri valori, delle proprie convinzioni e delle proprie capacità argomentative.

 

Il necessario supporto delle conoscenze scientifiche

Nel lavoro in classe emerge subito l’esigenza di integrare la riflessione filosofica con l’approfondimento scientifico. Qualsiasi sia il tema affrontato è evidente la necessità di possedere le maggiori conoscenze e competenze scientifiche possibili per poter esprimere giudizi validi. Per questo è bene che anche docenti di discipline scientifiche e matematiche siano coinvolti in un lavoro sull’E.A. Ciò non significa che il loro intervento debba essere pianificato in un progetto interdisciplinare. Il coinvolgimento può realizzarsi in forme meno preordinate. Ciò che conta è che i giovani comprendano che il sapere scientifico è essenziale per padroneggiare temi di E.A.

 

Per una corretta interpretazione del principio di precauzione

Vi è un aspetto preoccupante che emerge parlando con i giovani di problemi ambientali: è la sempre più diffusa angoscia, accompagnata da senso di impotenza, generata dalla convinzione che gli squilibri ambientali siano destinati ad aumentare fino a rendere la Terra non vivibile per l’uomo: siamo già dentro la catastrofe e non possiamo fermarla. Di fronte a questa visione è inutile appellarsi alle straordinarie capacità scientifiche-tecnologiche che, spesso, sono indicate come le maggiori responsabili del disastro. Meglio ricordare che la biosfera è un sistema talmente complesso che non è possibile fare serie predizioni sulla sua futura evoluzione e che di conseguenza è più utile occuparsi dei singoli concreti problemi ambientali. Non disgiunta da questa – anche per rimandi filosofici comuni – è la posizione paralizzante che deriva da un’interpretazione radicale del principio di precauzione, oggi molte volte evocato. Il principio di precauzione è assolutamente lecito e ragionevole se inteso come criterio di prudenza di fronte a scelte che possono comportare rischi probabili.

 

Disastri prevedibili e – anche – riparabili

Diverso è appellarsi a questo principio per chiedere che si impedisca qualsiasi intervento in modo da evitare il peggiore degli esiti possibili, per quanto remoto e improbabile sia (un’attenta disamina dei diversi modi di intendere il principio di precauzione è in Sergio Bartolommei, Politiche ambientali, neutralità liberale e principio di precauzione, in «Argomenti di Bioetica», I, n. 1, maggio 2007). Nel primo caso prevale l’idea che si debbano gestire razionalmente i rischi connessi ad azioni dall’esito incerto, nella seconda la convinzione emotiva che la paura dei possibili effetti delle nostre azioni debba essere assunta come criterio discriminante assoluto. Da un lato un atteggiamento pragmatico rivolto alla soluzione dei problemi, dall’altro una paralizzante mistica della paura. Se l’insegnante ritiene che suo compito sia formare dei cittadini attivi e responsabili, non può non sostenere la prima delle due posizioni.

A questo proposito il ricordare ai giovani cosa accadde nella cittadina di Seveso, in Lombardia, nel 1976, può aiutarli a superare il senso di smarrimento di fronte alle visioni apocalittiche. A Seveso avvenne uno dei più gravi disastri ambientali della storia. La fuoriuscita di una nube contenente diossina da un impianto chimico provocò l’inquinamento di un’area molto vasta: gli animali morivano, le persone, specie i bimbi, mostravano volti deformati dalla cloracne, le donne chiedevano di poter abortire. Migliaia furono le famiglie che dovettero abbandonare le loro case e i loro laboratori, che in parte furono abbattuti perché troppo inquinati. La complessa bonifica di edifici e terre durò molti anni. Ci furono forti opposizioni tra la popolazione e le autorità politico-amministrative. Un uso imprudente della tecnologia fu alla base del dramma, ma ci si appellò alla scienza per comprendere cos’era accaduto e come trovare soluzioni adeguate. Col tempo si giunse alla riparazione economico-giuridica dei danni e a quella politica delle ferite aperte nella popolazione: oggi a Seveso vi è un’oasi ambientale e un Bosco di Querce come risarcimento ambientale all’errore umano e memoria di quanto accaduto. Seveso insegna che si deve agire per prevenire i disastri, ma anche che ai disastri si può reagire (ampia è la letteratura italiana e straniera sul disastro di Seveso. Mi limito a segnalare Laura Centemeri, Ritorno a Seveso. Il danno ambientale, il suo riconoscimento, la sua riparazione, Milano, Bruno Mondadori, 2006).

 

*Docente di Storia e Filosofia al Liceo Classico ‘A. Racchetti’ di Crema. Ha curato l’edizione del volume Etica, ambiente e territorio, Milano, Guerini, 2004, dove sono raccolti contributi di vari studiosi coinvolti nell’a.s. 2002/03 in un progetto di etica ambientale organizzato dal Liceo ‘Racchetti’ di Crema e dal Parco regionale del Serio.

 

 

 

 

 

 









Postato il Domenica, 20 aprile 2008 ore 08:58:35 CEST di Salvina Torrisi
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