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Didattica: L'INSEGNAMENTO DELLA MATEMATICA: STILI E METODI A CONFRONTO

Associazioni

Tavola rotonda virtuale tra Laura Catastini (LC), Walter Maraschini (WM), Aurelia Orlandoni (AO), Luigi Tomasi (LT), Domingo Paola (DP)

 

WM: Sta nascendo, con ANIMAT, una nuova associazione che intende rappresentare e aggregare tutti coloro che insegnano matematica in ogni ordine e grado scolastico. Probabilmente è il segno di un disagio, che chi insegna matematica sente: all'impegno soggettivo, vissuto spesso in solitudine, non corrisponde un risultato culturale e sociale visibile e riconosciuto. Dietro questa iniziativa sembrano però esserci anche la volontà di affrontare di petto problemi spinosi. Per esempio, tra chi insegna matematica sembra esserci una contrapposizione tra chi rivendica 'buoni metodi antichi' (le tabelline, gli esercizi ripetitivi, calcoli a non finire, ...) e chi invoca attività, metodi laboratoriali, costruzione autonoma e sensata di concetti.

Ma l'addestramento alla numerazione o al calcolo ed attività laboratoriali o costruttive sono davvero così inconciliabili oppure sono due diversi aspetti imprescindibili dell'apprendimento? In fondo, spesso i bambini imparano senza capire e tuttavia - qui sta l'ossimoro da sciogliere - comprendono il senso dell'imparare, ne sono affascinati.

 

DP: Come ho avuto modo di dire più volte, il termine laboratorio rimanda al lavoro, alle dimensioni dell'agire e del fare: evoca anche laboriosità e quindi attenzione, coinvolgimento, partecipazione al processo di costruzione del prodotto. L'attività laboratoriale comporta fatica e richiede una buona capacità di utilizzare strumenti, di possedere tecniche; più che un addestramento, richiede attività di apprendistato. Nel caso del laboratorio di matematica, dove si apprende facendo e vedendo fare, anche per imitazione dei compagni e degli esperti, l'apprendistato ha carattere cognitivo, ma ha molte delle caratteristiche dell'apprendistato pratico.

 

Laboratorio e lectio

 

DP: Quando si parla di laboratorio di matematica, magari utilizzando la suggestiva metafora della bottega rinascimentale, lo si fa spesso per evocare un modello di insegnamento-apprendimento diverso dalla lectio, ossia quello che, a partire dall'alto medioevo, in particolare dall'epoca carolingia, ha sempre più contraddistinto le azioni che si esercitavano nei luoghi e nelle istituzioni preposte all'educazione e all'istruzione. La contrapposizione tra laboratorio e lectio è quella fra un'attività che richiede il coinvolgimento del corpo e della mente e un'attività che evoca una partecipazione quasi esclusivamente intellettuale; non dovrebbe essere una contrapposizione tra costruzione di significati e addestramento. Eppure spesso viene così (fra)intesa, probabilmente perché alcune inopportunità didattiche rendono di fatto la lectio un'attività di puro addestramento per molti, troppi studenti. Il fatto è che il lavoro artigianale che si svolge nel laboratorio si gioca sui tempi lunghi, necessari al processo di produzione dell'artefatto; la lectio si svolge in tempi scanditi e ben definiti, più simili a quelli della produzione industriale che non a quelli della produzione artigianale. Inoltre la lectio risulta particolarmente adeguata a esperti, a persone che già possiedono tecniche e significati e sono in grado di seguire l'esperto nell'analisi dei testi. Il laboratorio è invece attività particolarmente adatta ai principianti, a chi ancora non possiede certe tecniche e deve costruirsi sensi e significati. Se si tenesse presente tutto ciò, forse si eviterebbero contrapposizioni che non hanno ragione di esistere, almeno nei termini in cui prendono usualmente corpo.

LT: La discussione tra gli insegnanti di matematica, anche nella nascente ANIMAT, ripercorre spesso dei temi, come quello tra addestramento e apprendimento-insegnamento, che possono apparire a volte scontati; questo significa che tali temi continuano a essere presenti ogni giorno nel nostro lavoro di insegnanti, ogni volta che entriamo in classe e quando progettiamo le nostre attività didattiche, se vogliamo insegnare e fare apprendere qualcosa di matematica. Il tema proposto, quindi, sembra per certi versi non appartenere solo all'insegnamento e all'apprendimento della matematica, ma più in generale di ogni altra disciplina.

In matematica come in musica: prima il dovere e poi il piacere?

LT: Tuttavia l'apprendimento della matematica ha certamente una sua specificità, vista la sua forte sequenzialità, che lo accomuna per esempio all'apprendimento della musica e di uno strumento musicale. Se si accetta questa analogia, la matematica risulta difficile perché richiede un forte periodo di 'solfeggio'; prima che un allievo riesca da solo a 'suonare' qualche piccolo 'pezzo matematico', per esempio, l'allievo della scuola primaria deve conoscere a memoria le tabelline, quello di 14-15 anni deve sapere destreggiarsi con gli automatismi delle regole dell'algebra, la scomposizione in fattori di un polinomio, o saper riconoscere un ragionamento consequenziale in una piccola dimostrazione. Così, come prima di saper suonare al pianoforte le 'Variazioni Goldberg' di Bach si deve passare per una lunga e faticosa fase di studio e di apprendistato, così sembra che debba accadere anche per l'apprendimento delle matematica.

Sembra dunque, a una prima analisi, che non ci sia altra strada all'apprendimento della matematica se non quella dell'addestramento, con la separazione tra i vari stadi, una specie di 'Gradus ad Parnassum' matematico, come per lo studio del pianoforte.

L'insegnante deve conoscere queste difficoltà e deve cercare di proporre una didattica che sia significativa, coinvolgente, ma che richieda anche la sicura acquisizione di certe conoscenze e abilità. Si può lavorare in modo divertente anche sugli argomenti che sembrano più 'pesanti' per gli studenti; l'insegnante deve saper mobilitare tutte le capacità dell'allievo per fare acquisire (o, almeno, senza farla odiare!) anche questa parte che possiamo chiamare 'addestrativa' e propedeutica. Insomma deve riuscire a trasformare in 'musica', al più presto, e in tutto il percorso didattico, questo 'addestramento' alla matematica.

Tuttavia, nell'insegnamento della matematica non ci deve essere un 'prima' - noioso e puramente preparatorio - e un 'dopo' ricco di significato, continuamente evocato e a volte mai raggiunto. Troppo spesso diciamo ai nostri allievi: 'questo argomento vi risulterà chiaro in seguito', che è una una variante - a uso degli insegnanti di matematica - del motto di Pascal 'Pregate, pregate, la fede arriverà'.

La parola 'addestramento', quindi, dovrebbe essere evitata: anche lo studio dell'algebra, della trigonometria, del calcolo delle derivate o degli integrali,... deve essere trasformato in qualcosa di interessante e stimolante; non può essere solo un addestramento per 'qualcosa d'altro', che verrà dopo, se mai verrà... Non c'è e non ci deve essere l'addestramento da solo; c'è l'insegnamento e l'apprendimento della matematica…

 

La fatica della matematica

 

LC: Credo che la matematica, o almeno la matematica formale che si è sviluppata nella nostra civiltà,  sia una delle materie che più richiede al cervello sforzi che vanno contro la sua 'naturale' predisposizione. A parte l'elementare  meccanismo di calcolo approssimato che abbiamo in comune con altri animali, il nostro cervello non contiene moduli neurali  geneticamente programmati per i numeri e l'aritmetica, come invece accade, per esempio,  per il linguaggio e le attività a esso legate. È obbligato quindi a costruirsi faticosamente circuiti alternativi, lunghi e tortuosi, che sopperiscano a questa mancanza. La matematica si è accumulata nei millenni grazie alla scrittura, i cui simboli hanno potuto mettere rimedio ai limiti biologici della nostra memoria di lavoro e ha creato un mondo di forme e di strutture che costringono a usare  moduli mentali su oggetti diversi da quelli per cui sono stati progettati. I recenti studi su questi temi mettono in forte evidenza le connessioni tra i vari modi di conoscere – ai bambini per esempio si possono presentare problemi di aritmetica contando, disegnando diagrammi o usando bastoncini colorati come materiale esplorativo – che giustificano la validità delle proposte laboratoriali, ma senza la pratica che sintetizza lunghe sequenze di passaggi facendole diventare un riflesso mentale, le strutture matematiche non potranno crescere su se stesse in modo adeguato.

 

AO: Gli interventi precedenti hanno evocato in me un lontanissimo ricordo. Nel lontano 1953 cominciai la prima elementare e il primo giorno di scuola la maestra disegnò alla lavagna una pera, scrisse sotto pera e ci invitò a copiare e così cominciò la mia avventura di alunna. Quando l'anno seguente mi trasferii nella provincia di Bologna scoprii che nessuno dei miei compagni aveva imparato a scrivere così, ma tutti avevano fatto un lungo addestramento preliminare sulle 'aste' che ricordavano come una fase noiosa e defatigante. Non c'era però alcuna differenza nell'abilità di lettura e di scrittura fra me, i miei nuovi compagni e quelli precedenti. In sostanza l'addestramento sulle 'aste' non aveva determinato alcun vantaggio nelle abilità di lettura e scrittura.

Un altro ricordo: quando frequentai l'Università (Fisica) era assolutamente indispensabile possedere abilità tecniche di buon livello nel campo dell'analisi (limiti, derivate, integrali,…) per potere affrontare contenuti ed esercizi proposti nei diversi corsi, anche perché gli unici strumenti allora a disposizione erano il regolo e le tavole dei logaritmi.

Tutto questo mi porta a pensare che occorra una riflessione profonda su quando, come e dove sia veramente indispensabile un addestramento alle tecniche nell'insegnamento della matematica. L'esistenza di strumenti quali calcolatrici e software per la matematica ha mutato profondamente le esigenze e i motivi del possesso di tecniche di calcolo.

 

Calcolatrici: 'sì o no', oppure 'come'?

 

WM: Gli strumenti di calcolo automatico inducono quindi maggiormente a un insegnamento-apprendimento della matematica di tipo laboratoriale?

 

LT: L'insegnante (di matematica) deve conoscere 'i modi secondo i quali si impara' (G. Polya) e deve saper organizzare una didattica che trasformi il suo lavoro in modo laboratoriale, attivo, coinvolgente, superando l'aspetto puramente addestrativo. In questa impostazione del lavoro possono oggi svolgere un ruolo fondamentale le tecnologie, i computer, i software, le calcolatrici, la rete,…, senza trascurare tutti gli altri strumenti che si usano e sono stati usati nell'insegnamento tradizionale della matematica. Con l'uso delle nuove tecnologie –di cui l'insegnante deve padroneggiare didatticamente tutti gli aspetti- gli oggetti matematici possono essere studiati in modo diverso ed acquistare per gli allievi un significato più completo.

 

AO: Tali strumenti sono, oltretutto, sempre più diffusi fra gli studenti, fin dalle prime classi delle elementari. Quindi un atteggiamento 'niente calcolatrici fino alla classe x' produrrebbe (anzi produce) solo l'effetto di un uso 'nascosto', inconsapevole e acritico da parte degli studenti e una visione dello strumento come 'deus  ex machina' con i conseguenti macroscopici errori che ogni insegnante conosce. Questo dato di realtà dovrebbe indurre a utilizzare in classe anche le più semplici calcolatrici, non tanto 'per fare i calcoli più complessi velocemente' quanto per riflettere sui limiti e le potenzialità dello strumento, per leggere criticamente i risultati. Ma anche, forse soprattutto, per fare matematica e costruire e/o dare senso ai concetti. Ogni insegnante dovrebbe chiedersi 'cosa posso fare in classe meglio e/o diversamente?' e 'cosa e come gli studenti possono costruire concetti e dare senso a quanto stanno imparando?' cercando di utilizzare gli strumenti tecnologici in modo non puramente strumentale.

In sostanza non credo abbia senso una contrapposizione 'strumenti sì o strumenti no' mentre sarebbe opportuno chiedersi 'come posso usare gli strumenti (e quali) per raggiungere l'obiettivo di un reale apprendimento dei concetti matematici?' e 'quali tecniche è importante acquisire allo scopo di un apprendimento finalizzato al significato?'

 

WM: Qualcuno però obietta che imparare pedissequamente una tecnica procedurale ci libera dal pensarci. Non è forse vero?

 

DP: È vero che imparare pedissequamente una tecnica procedurale ci libera dal pensarci, ma questo processo di liberazione deve avere un senso e quindi si devono comunque creare le condizioni perché sia consapevole e condiviso.

 

AO: Se è senz'altro vero che conoscere bene una tecnica procedurale consente di concentrarsi sul resto, questo non può portare a pensare che esiste un prima (l'addestramento) e un poi (i concetti e i significati). Per esempio l'importanza del calcolo mentale sugli ordini di grandezza è fondamentale per il controllo dei risultati quando si usa una calcolatrice, ma questo non significa necessariamente che prima ci si debba addestrare su quello e poi usare la calcolatrice. Sarebbe opportuno invece operare contemporaneamente in un processo a spirale che consenta di perseguire un apprendimento della matematica a tutto tondo.

 

LC: L'insegnamento mira a raggiungere un delicato equilibrio neurocognitivo tra ciò che diventa conoscenza automatica – che può peraltro diventare materiale di innesco per l'intuizione -, la comprensione razionale dei fatti e l'immaginazione. Può darsi che la disponibilità di strumenti di calcolo moderni renda inutile la capacità di fare calcoli con carta e penna, per esempio, e che si possa affidare il calcolo numerico e algebrico allo svolgimento di software opportuni, ma pensare che allora si possano eliminare dai piani di studi è semplicistico e dannoso.

Chi invoca le tabelline non invoca necessariamente calcoli a non finire e espressioni chilometriche. Chiede un addestramento sensato e completo al numero, anche se  è  faticoso e non intuitivo. Anzi, proprio per questo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 









Postato il Lunedì, 03 marzo 2008 ore 18:56:10 CET di Salvina Torrisi
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