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Didattica: Un insegnante perfetto (note a margine di un decreto)

Redazione
La perfezione come modello
Mi ero ripromesso di intervenire sui decreti delegati della 107 a cose fatte, ma col tempo mi sono convinto che questa scelta non ha molto senso, anche se non vedo come li si possa modificare nel breve lasso di tempo che è rimasto prima della loro definitiva approvazione. Speriamo che qualcosa avvenga, perchè c'è molto da ridire e da cambiare a cominciare da quello che riguarda la formazione iniziale e l'accesso ai ruoli di docente (Schema di decreto legislativo n. 377), di cui si intende parlare.

Lo schema di decreto per gli sventurati che pensano di fare gli insegnanti prevede un percorso difficile e accidentato, come dovessero concorrere per il premio Nobel: laurea specialistica, concorso per titoli ed esami, percorso formativo triennale con valutazione intermedia e finale, che devono essere sempre positive per andare avanti e, per non guastare il tutto, chiamata in servizio da parte di un dirigente scolastico. Beninteso il buon insegnante non deve essere per gli studenti un evento casuale, una fortuna da contendere, ma il risultato di una scelta seria di selezione del personale che intende svolgere questa meritoria e difficile professione.

Ogni volta che ci si imbarca nella spinosa operazione della definizione delle condizioni per accedere all'insegnamento, si ha l'impressione che nella mente degli esperti e dei legislatori funzioni come modello di riferimento la figura dell'insegnante di materie umanistiche. Una persona che non ha niente da fare se non l'insegnante e che lo voglia o no dovrà accettare quanto gli viene proposto, se vuole entrare nel sacro recinto della scuola. A scuola, però, dovrebbero lavorare anche ingegneri, chimici, fisici, matematici, biologi, giuristi, commercialisti, architetti, informatici, tecnici di ogni genere e specie; gente che difficilmente aggiungerebbe tre anni di tirocinio formativo dopo un curriculum di studi non sempre facile e alla portata di tutti per una condizione salariale tra le meno attrattive nel mercato del lavoro delle professioni. Per cui se dovessero rimanere queste le condizioni per accedere all'insegnamento, non è per nulla azzardato ipotizzare che nel futuro negli istituti professionali e tecnici per le materie di indirizzo e per le materie scientifiche in tutte le scuole di ogni ordine e grado si potranno fare le lezioni solo con i supplenti.

E' il caso di dire che l'ottimo è nemico del bene. Nella mia lunga esperienza di preside mi è toccato molte volte confermare in ruolo insegnanti dopo l'anno di prova e mai ho avuto l'occasione di pentirmene; non è la durata del tirocinio che fa diventare buoni insegnanti, ma la volontà di fare bene il proprio lavoro in un contesto in cui non devono mancare mai occasioni di formazione in servizio. Sono l'esperienza e il dialogo professionale che fanno crescere e tre anni di vero insegnamento, nelle classi, a contatto con gli alunni, i colleghi, i genitori fanno molto di più di tre anni di tirocinio pieni di lezioni e di escogitazioni didattiche.

La questione non è peregrina come puo' sembrare a prima vista. Per essere ammessi al concorso i candidati devono documentare il possesso di ALMENO 24 crediti formativi universitari o accademici nelle discipline antropo-psico-pedagogiche, di cui ALMENO 6 crediti in ALMENO 3 dei seguenti 4 ambiti disciplinari: pedagogia, pedagogia speciale e didattica dell'inclusione; psicologia; antropologia; metodologie e tecnologie didattiche. Senza dimenticare il requisito delle competenze in una lingua straniera e in informatica. Se sono queste le condizioni per accedere al concorso, perchè 3 anni di tirocinio?Perchè questo prolungato, minacciato, ricattato, precario periodo di formazione professionale? C'è da chiedersi che male abbiano fatto le nuove generazioni per essere così stupidamente angariate, se si pensa poi che ministri e sottosegretari della P. I. degli ultimi tempi per molto tempo della loro vita non sapevano nemmeno che cosa fosse una laurea. Tra l'altro questi poveri cristi dopo il concorso non vincono un posto, ma la possibilità di un tirocinio triennale, di cui solo il terzo anno sarà pagato come quello di un supplente annuale.

Dettagli
1) I concorsi su base regionale o interregionale saranno saranno indetti ogni due anni, ma solo sui posti disponibili . La biennalità dei concorsi è un fatto positivo, ma francamente non si capisce perchè insistere sulla dimensione regionale, che è stata la causa principale delle distorsioni che si sono registrate nel passato:clientelismo, disparità di trattamento da parte delle commissioni da una regione all'altra per l'assunzione di personale che puo' lavorare in qualsiasi scuola della nazione. Si pensa di ovviare con la definizione a livello ministeriale delle prove e dei criteri generali della loro valutazione.

2) Il concorso prevede tre prove di esame di cui due scritte a carattere nazionale ed una orale; la prima prova è di argomento disciplinare, la seconda prova verte su temi psico-pedagogici e sulle metodologie didattiche. Il superamento di una prova è condizione per potere svolgere quella successiva. Ma quando? Non è un problema di lieve entità, se si vuole assegnare in tempo utile gli insegnanti alle scuole che ne sono prive. La prova orale consiste in un colloquio che ha l'obiettivo di valutare il grado di conoscenza in tutte le discipline della classe di concorso, oltrechè quello di accertare la conoscenza di una lingua straniera e il possesso di abilità informatiche di base. Agli insegnanti che concorrono per posti di sostegno è riservata una terza prova prova specifica. Buttate in aria le procedure dei concorsi che in fretta e furia si sono svolti nel 2016.

3) I fortunati che sono riusciti a superare gli ostacoli delle prove scritte e dell'orale sottoscrivono con l'Ufficio Scolastico Regionale, a cui afferisce l'ambito territoriale preselto della Regione in cui hanno concorso, un contratto triennale retribuito di formazione iniziale e tirocinio. Il contrattista al termine del primo anno è tenuto a conseguire il diploma di specializzazione per l'insegnamento secondario al termine di corsi annuali gestiti da Università, da istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica o loro consorzi. Nel secondo e terzo anno è tenuto a completare la propria preparazione preparazione professionale con ulteriori attività di studio, con tirocini formativi diretti e indiretti (??) e con la graduale assunzione di autonome funzioni docenti. La commissione che valuterà il profitto del corso di specializzazione sarà configurata con successivo decreto ministeriale, ma deve comprendere sia docenti universitari, sia un dirigente scolastico e il tutor scolastico. C'è anche un tutor dell'Università ...

4) Il tirocinio diretto si svolgerà presso un'istituzione scolastica accreditata dal Ministero e sarà dedicato ad attività di osservazione analisi, progettazione e successiva realizzazione di attività di insegnamento e funzionali all'insegnamento; il tirocinio indiretto si svolgerà presso l'Università o l'Istituzione dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica e sarà dedicato ad attività di progettazione, discussione e riflessione valutativa sulle attività svolte nel tirocinio diretto sotto la guida del tutor universitario. Di fatto l'Università che non sa in Italia dove si trovino le scuole e che cosa facciano viene eretta a loro organo di controllo ...

Conclusioni
Le disposizioni contenute nel decreto delegato sull'accesso ai ruoli di insegnamento dovrebbero entrare in vigore a partire dal'anno scolastico 2020/202i. Ci sarebbe, quindi, tutto il tempo per farle saltare per la loro irragionevole pretenziosità ed evidente inapplicabilità. Basterebbe che all'Università gli studenti che desiderano insegnare(??) acquisiscano i crediti formativi nelle scienze umane, ritenuti necessari; che i futuri insegnanti affrontino serie prove di concorso, e che nell'anno di prova i neo docenti siano impegnati in attività di riflessione e di valutazione delle attività che svolgono a scuola con l'aiuto di equipe territoriali di provata esperienza e qualità. Il resto dipende solo ed esclusivamente dalle attività di formazione in servizio e di aggiornamento che ogni scuola deve obbligatoriamente organizzare ogni anno e da un ragionevole sistema di valutazione del servizio. Resta in piedi il problema dei neolaureati. Credo che sia un gesto di responsabilità riattivare subito i TFA per non lasciare tanti giovani che vogliono insegnare nell'incertezza del loro destino. Si puo' legittimamente sperare di acchiapare la luna, ma non è consentito trascurare di ricavare il massimo e il meglio dalla terra.

Raimondo Giunta








Postato il Domenica, 29 gennaio 2017 ore 08:00:00 CET di Nuccio Palumbo
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