La storia della
scuola occupa un posto marginale nei manuali; è
considerata, forse, una storia piccola, minore; ma non è una storia
insignificante, perchè aiuta a comprendere processi più grandi e ci
proietta nelle dinamiche delle relazioni della società a cui
appartiene. Attraverso la scuola si puo' leggere la storia delle
istituzioni, la storia del costume, la storia della cultura, la storia
economica di una società. Si dimentica spesso che le scuole che
popolano la nostra vita quotidiana non sono fatti naturali, dati ovvi
dell'organizzazione sociale, ma una conquista di civiltà che bisogna
sviluppare e difendere e tramandare alle nuove generazioni. Ogni
sistema scolastico è condizionato nella sua organizzazione e nella sua
cultura dalla storia che l'ha creato. Storia di conflitti sociali,
storia
di speranze, storia di idee. Idee di società, di cultura, di uomo.
Molti sono i fatti e le decisioni che hanno segnato il percorso
storico della scuola italiana e per necessità la riflessione è
opportuno che ci si soffermi solo su quelle
innovazioni che hanno inciso su un'istituzione che ha tenuto cara
la propria stabilità ed hanno avuto una lunga durata e su quei tratti
che l'hanno quasi sempre contraddistinta. La scuola è, infatti,
un'istituzione in cui naturalmente convivono scontrandosi
conservazione e innovazione, perchè tenuta per un verso a trasmettere
saperi, valori e cultura del passato, ma anche ad adeguarsi ai
cambiamenti e alle esigenze della società e del mondo del lavoro.
Ovviamente più di 150 anni di storia non si raccontano con poche
parole.
Nell'Europa dell'Ottocento, periodo in cui in diverso modo e con
diversi scopi si cerca di avvicinare all'istruzione fasce della
popolazione che da sempre ne erano state escluse, i sistemi
scolastici assumono dimensione nazionale e si configurano secondo
modelli funzionali alle caratteristiche della storia
culturale, sociale, economica delle nazioni a cui appartengono e
secondo le intenzioni politiche delle loro classi
dirigenti. Sommariamente alcuni secondo il modello della scuola
-istituzione, come quello che nasce e si sviluppa in Francia a partire
dalla Rivoluzione, altri secondo il modello della scuola servizio della
comunità-locale.
La legge Casati: il primato del liceo
e la specificità dell'Istruzione Tecnica
La scuola italiana è stata per molto tempo e fin dagli inizi vicina al
modello francese: pensata e organizzata come istituzione predisposta
alla formazione della coscienza nazionale in alternativa alle scuole
confessionali, in una nazione che fino al 1870 aveva lo Stato
Pontificio e in cui il mondo cattolico era all'opposizione dell'appena
costituito Stato Unitario.
A partire dalla Legge Casati del 1859, nata in Piemonte e subito estesa
alle Regioni Italiane annesse, la scuola italiana ha avuto un
impianto stabile, riordinato in modo sistematico con la
Riforma Gentile del 1924; è stata una scuola accentrata e per
necessità progressivamente laica per contrastare le
tendenze antiunitarie. La laicità della scuola è un problema non
interamente risolto nemmeno ai nostri giorni, a dire la verità, e
solleva questioni fondamentali come quello della cultura dei curricoli
scolastici, quello del pluralismo religioso e culturale e quello
del ruolo dello Stato nei processi di formazione delle nuove
generazioni.
La Legge Casati disciplinava l'istruzione superiore, l'istruzione
secondaria classica, l'istruzione tecnica, l'istruzione elementare
normale. L'istruzione professionale era lasciata nelle mani degli enti
locali e avrà una prima organica sistemazione nel 1931; di fatto non
rientrava nelle preoccupazioni del Ministero della Pubblica Istruzione
come alcuni indirizzi dell'istruzione tecnica, affidati alle cure del
Ministero dell'Agricoltura dell'Industria e del
Commercio. L'indirizzo, al quale venivano dedicate maggiori
attenzioni, era quello liceale. Nettamente differenziato da quello
tecnico e l'unico che conduceva i suoi alunni all'Università per
l'apprendistato da classe dirigente. Un vincolo quello degli studi
liceali per l'accesso all'Università, che salterà solo nel 1969.
L'istruzione tecnica, sia quella affidata al Ministero della Pubblica
Istruzione, sia quella affidata ai Ministeri economici, aveva sbocchi
solo nelle mansioni esecutive e aveva per fine quello "di dare ai
giovani che intendono dedicarsi a determinate carriere del pubblico
servizio, alle industrie,, ai commerci ed alla condotta delle cose
agrarie, la conveniente cultura generale e speciale"(art. 272 della
Legge Casati). Insomma quanto basta. Non oltre. Era più o meno la
situazione che si riscontrava in altre nazioni europee, nè si deve
dimenticare che ancora oggi esistono sistemi scolastici
precocemente dualistici e canalizzati. I diplomati degli Istituti
Tecnici non potevano andare all'Università, ma quelli erano tempi in
cui era difficile andare non solo nelle scuole tecniche ma anche alla
scuola elementare. C'è da dire anche che l'istruzione tecnica così
stabilita non era percepita come strumento di esclusione sociale, ma
come grande opportunità. Non è un caso che le formazioni
progressiste e il movimento dei lavoratori si battessero
per la diffusione dell'istruzione tecnica e professionale.
Se l'istruzione liceale nei suoi assi culturali è rimasta identica a se
stessa, l'istruzione tecnica è stata sottoposta di volta in volta a
quelle modifiche che la potevano rendere funzionale alle crescenti
esigenze di una nazione che faticosamente si andava industrializzando e
modernizzando. Diversa da quella liceale per composizione e
destinazione sociale, l'istruzione tecnica era molto diversa dal punto
di vista amministrativo e gestionale, con punte di modernità
interessanti, che sembra giusto dovere ricordare. Questo perchè se
il liceo era e doveva essere la scuola dell'intera nazione, gli
istituti tecnici dovevano essere ed erano le scuole del
territorio, legate alla sua vocazione, alle sue necessità, alle sue
prospettive.
"Le varie sezioni onde si compone ciascun istituto sono determinate dai
bisogni dei luoghi ove esso ha sede"(art. 4 del Regolamento degli
Istituti Tecnici del 1885) "Il piano degli studi per la sezione
industriale è speciale nel secondo biennio secondo i bisogni e le
particolari industrie del luogo ove essa ha sede"(R. D. n. 3454 del
1885). Solo così si spiega il prolungato pendolarismo di queste scuole
dal ministero dell'Istruzione a quelli economici e viceversa; segno
della volontà di qualificare le scuole tecniche con un deciso
profilo di funzionalità alle realtà locali in cui sorgevano. E per dare
il senso dell'appartenenza al territorio le norme stabilivano che la
Provincia dovesse provvedere al 50% delle spese del personale
docente, al 100% delle spese del personale non-docente, al 100%
delle spese per l'impianto dei laboratori, dell'azienda agricola
e del materiale di consumo; stabilivano anche che il Comune dovesse
procurare i locali, le palestre, gli arredi, acqua, luce, riscaldamento
e
anche il custode dell'edificio.
Governavano gli istituti tecnici(generalmente, fino ai primi anni del
novecento, non più di uno per provincia) le Giunte di Vigilanza, un
organo collegiale molto diverso da quelli con cui ci si misura oggi e
da quelli che si pensa di istituire. Vennero istituite con R. D. del 15
Giugno 1865 e vissero felicemente fino alla Riforma Gentile. Erano
costituite da due commissari governativi scelti dal Ministro, tramite
il
Prefetto, da uno nominato dalla Provincia e facente parte della
Deputazione (Giunta Provinciale), da un assessore comunale e dal
Preside
dell'istituto. Uno dei commissari di nomina governativa poteva essere
indicato dalla Camera del Commercio, se questa contribuiva alle spese
di funzionamento della scuola.
La Giunta di Vigilanza era un'articolazione delle istituzioni, ma non
un
apparato degli uffici pubblici, come il Provveditorato. Ne facevano
parte
uomini di istituzioni che dovevano saper leggere le esigenze del
territorio e sapere individuare i suoi bisogni
formativi. Approvava la pianta organica del personale non docente, le
nomine di tale personale deliberate dalla Provincia, gestiva lo stato
giuridico del personale docente e dello stesso preside. Un organo
collegiale a metà strada tra Provveditorato e Consiglio di Istituto.
La singolarità delle scuole dell'indirizzo tecnico è stata
determinata dalla specificità dei curricoli, ma anche dalla diversità
dei suoi organi di gestione e dalla diversità della sua
organizzazione. Contro questa particolare identità si sono
accaniti fno a quando non sono riusciti a cancellarla, riportando gli
istituti tecnici dentro il modello scolastico liceale. Si è voluto
normalizzare un indirizzo che ha sempre avuto bisogno per essere fedele
alle sue promesse di molta libertà e di specifica dimensione
gestionale.
Il difficile cammino dell'obbligo
scolastico
La scuola primaria nel secolo della formazione degli stati
nazionali veniva considerata fondamentale per la
creazione della coscienza nazionale e per questo scopo non poteva non
essere pubblica e obbligatoria. L'obbligo venne istituito nel 1859 e
riguardava solo i primi due anni della scuola primaria, che durava 4
anni. E' stata a carico delle amministrazioni locali fino al 1910 e
queste non sempre facevano il loro dovere o non erano in condizione di
farlo, se lo avessero voluto, per la consueta, secolare mancanza
di risorse. Ragione per cui alla fine dell'Ottocento gli analfabeti
erano ancora l'80% della popolazione, anche se l'obbligo con la
legge Coppino (1877) era stato innalzato di un anno. Si fa presto a
dire
obbligo, se non si creano le condizioni per poterlo osservare e
l'esperienza ci dice che non c'è minaccia che tenga, se una
famiglia ricorre al lavoro minorile per sopravvivere, se vive in
condizione di estremo disagio. L'obbligo scolastico ieri, come la lotta
alla dispersione oggi, senza un netto miglioramento delle condizioni
economiche -sociali, per alcuni settori della nostra
società resteranno semplici parole d'ordine.
Stabilire per legge l'obbligo scolastico ed estenderlo, come si è
fatto, portandolo fino a 16 anni non è per nulla inutile, perchè
fa dello sviluppo umano e culturale di ogni persona un obiettivo
di grande rilievo sociale e perchè impegna l'intera società a
conseguirlo. L'obbligo scolastico sorge a tutela del diritto di
tutti all'istruzione e ogni energia va impiegata per renderlo
operante. Va sempre tenuto a mente che alcuni gruppi della
società hanno sentito e ancora sentono come minaccia l'estensione
di tale diritto e credono che per difendere il proprio status, si
debbano respingere dalla scuola quelli che vi vogliono entrare e che
non vi facevano parte e che si debba rendere difficile ai
più l'accesso a certi gradi e livelli di istruzione. C'è gente che
ancora passa il tempo a rimpiangere le braccia rubate all'agricoltura.
Si parla di società della conoscenza, dell'istruzione come bene
primario e necessario, ma non se ne trae la conseguenza che tale bene
non puo' essere posseduto da pochi e che l'innalzamento per tutti del
livello di competenza, di conoscenza e culturale è un prerequisito
dello sviluppo economico sociale. Eppure si è arrivati qualche anno
addietro (2003) a cancellare dalle norme la dizione "obbligo scolastico
"per trasformarla in quella risibile di "diritto/dovere
all'istruzione e alla formazione".
L'obbligo scolastico è la strada maestra che conduce al godimento del
diritto all'istruzione, ma non è solo un problema di vincoli e di
sanzioni. E' un problema di strutture scolastiche, di sostegni
economici, di servizi, di curriculum, di organizzazione del tempo
scolastico, di atteggiamenti professionali, di metodologie didattiche.
Che
di questo si tratti e non di altro, basti pensare che l'obbligo a 14
anni fu istituito ufficilamente nel '23 da Gentile, che si è dovuto
aspettare il '60 per togliere l'esame di ammissione alle medie e che la
scuola media unificata risale al'62 e che ancora oggi nel terzo
millennio c'è una quota di popolazione giovanile che evade l'obbligo
scolastico o che non dispone del sufficiente corredo di saperi e di
competenze per non restare ai margini della società.
Da Gentile ai
decreti delegati e dai decreti delegati alla scuola dei dirigenti
Gentile nel '23 riordina e scarnifica il sistema scolastico, togliendo
ciò che sembrava superfluo e riportando tutte le scuole di
ogni ordine e grado dentro il modello del liceo, e se l'organicità
diventava il suo tratto distintivo e anche vero che per l'istruzione
tecnica e anche quella scientifica la sua riforma era una camicia di
forza. Prevalenza della cultura umanistica, ruolo minoritario del
sapere
tecnico e scientifico, in controtendenza con gli sviluppi della
società, ma non con gli indirizzi scolastici prevalenti anche in
altre nazioni. Ha fatto crescere fino quasi ai nostri giorni come
sua profonda eredità un sentimento di sufficienza o
meglio"un ventaglio di posizioni che oscillano fra il disprezzo e la
diffidenza verso la cultura tecnico-scientifica, il mondo e le sua
esigenze"(G. Gasperoni).
La riforma Gentile era una riforma di stampo conservatore e solo
per gli interventi successivi degli altri ministri dell'istruzione la
scuola diventerà una scuola di regime. Con Gentile non c'erano ancora
gli insegnamenti della cultura fascista e della cultura militare, non
c'era l'obbligo di iscrizione al PNF, non c'era l'obbligo a partecipare
ai riti di regime e non c'era l'insegnamento della religione
cattolica. Rappresentava e realizzava nel sistema scolastico lo spirito
del tempo. Era una riforma della scuola che aveva davanti a sè un'idea
di società.
Dal punto di vista organizzativo la scuola della Riforma Gentile è una
scuola autoritaria, in cui non c'è posto per nessuna forma di
rappresentanza elettiva della categoria negli organi di amministrazione
e nelle commissioni di ricorso; scelte collaterali alla cancellazione
dei sindacati degli insegnanti. Viene rinvigorito il ruolo del preside,
fatto "capo dell'istituto" e reso forte anche per le note di qualifica,
che annualmente deve stilare sul personale della scuola; note che si
estendevano alla vita privata dei dipendenti della scuola.
L'orientamento nazionalistico dato ai programmi delle discipline
umanistiche, la retorica della grande nazione che costituiva lo spirito
della riforma, la demonizzazione di quanto potesse incrinare
l'organicità del potere e delle istituzioni della società erano
già, prima di altri interventi, gli ingredienti per fare della scuola
uno
degli strumenti più efficaci del consolidamento del regime
fascista e di creazione del consenso di massa.
La Costituzione antifascista del '48 non mutò la scuola
gentiliana nella sua struttura, ma a tutela dell'insegnante
scrisse parole che dovrebbero valere nella lettera e nello
spirito per sempre: "L'arte e la scienza sono libere e libero ne è
l'insegnamento". Bisognerà attendere i Decreti Delegati del '74 per
liberare la scuola dai residui dell'autoritarismo che erano transitati
dal fascismo nell'Italia repubblicana. La scuola andava dal Capo agli
organi collegiali, dal controllo personale alla partecipazione, dalla
gerarchia alla comunità scolastica, dalla conservazione alla
sperimentazione. Anche i Decreti Delegati avevano davanti a sè un'idea
di società: una società in cui si devono intrecciare libertà e
collaborazione; efficienza e giustizia sociale; apertura sociale e
successo formativo. Una società senza paure e senza esclusioni. Che non
dovesse piacere a tutti, non c'è bisogno di doverlo spiegare e nemmeno
che per combattere la scuola come comunità educativa partecipata si sia
fatto ricorso a qualsiasi espediente e a qualsiasi calunnia.
La scuola è stata al centro di molteplici attenzioni specialistiche, da
parte di pedagogisti, di sociologi, di sindacati di categoria, di
consulenti di ministri, di commissionI di studi, ma non è stata mai,
salvo rare occasioni, una questione nazionale; una questione
popolare. Solo così si puo' spiegare come negli ultimi 50 anni le
riforme si contino con le dita di una mano:media unica, decreti
delegati, la nuova scuola elementare, il riordino dei
professionali, l'autonomia scolastica. La congerie dei provvedimenti
adottati negli ultimi tempi non hanno mai avuto la parvenza di un
progetto unitario e anche se gridati e glorificati da tutti i balconi
mediatici hanno avuto come ispirazione la riduzione delle risorse
finanziarie, l'attacco alla libertà di insegnamento, il
ridimensionamento pubblico dell'istruzione. Si è voluto chiudere un
mondo di libertà, per renderlo simile e succube di una società in cui
ogni giorno si perde uno spazio di democrazia.
prof. Raimondo Giunta