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Didattica: Problemi di giustizia nella valutazione

Redazione
Il titolo di studio fino a ieri in qualche modo era garante della qualità delle competenze in possesso delle persone in cerca di occupazione e queste risultavano funzionali domanda di lavoro delle aziende produttive e delle organizzazioni erogatrici di servizi. Il presupposto per entrare nel mondo del lavoro era,ma oggi molto di meno, che l'individuo avesse alcuni precisi requisiti e questi dovevano essere documentati da un titolo di studio.
In Italia la valenza pubblica e sociale del titolo di studio, seppure residuale, rimane e va tenuta presente nelle operazioni di valutazione che sottostanno al suo rilascio. Gli effetti sociali riguardano sia i meritevoli, cui viene assegnato, sia le persone ritenute non idonee alle quali viene negato. Per alcuni comporta la legittimazione ad entrare in alcuni precisi ambiti del mercato del lavoro, per gli altri, invece, può significare l'esclusione e la marginalità.

Tutto questo significa che fin dall'inizio dei processi di valutazione si aprono questioni di giustizia e di equità sociale, che non possono essere e non dovrebbero essere ignote ai responsabili delle politiche scolastiche, ai responsabili di ogni singolo istituto e ai docenti. Non si possono trascurare la questione dell'insuccesso scolastico di alcuni alunni e quella delle pari opportunità per tutti.
Questi problemi vengono di solito raggruppati all'interno di due grandi categorie: insuccesso scolastico e meritocrazia. L'aspetto più ricorrente del dibattito su questi problemi è la sottovalutazione delle dimensioni sociali non solo dei processi di formazione e valutazione, ma soprattutto del contesto in cui opera un'istituzione scolastica e in cui vivono gli alunni o i soggetti in formazione.
L'altro aspetto è quello di far giuocare la soluzione dei problemi dell'insuccesso scolastico contro quella inerente la valorizzazione dei meriti individuali, dando per scontato e necessario che l'una e l'altra debbano essere per forza in contraddizione.

Alcune forme di valutazione sono congeniali a svuotare la democratizzazione della scuola, perchè, purtroppo, funziona spesso come sanzione per gli alunni in difficoltà e più deboli. La valutazione non dovrebbe servire ad escludere e a stigmatizzare, ma dovrebbe essere un'opportunità per apprendere meglio. Nei fatti si registra un'oscillazione costante tra una concezione democratica della valutazione, inclusiva e a sostegno delle pari e migliori opportunità per tutti e una concezione elitista, formalmente meritocratica, funzionale alla riproduzione delle distanze sociali esistenti ad un certo momento della storia di una società.
Successo e insuccesso scolastico non sono solo legati, come spesso si vorrebbe fare credere, alle caratteristiche degli alunni; verosimilmente sono il risultato di un giudizio degli attori del sistema scolastico sulla "distanza" di un alunno dalle norme di eccellenza scolastica in vigore. I criteri di eccellenza cosi come quelli di sufficienza non sempre sono adeguatamente giustificati e scevri di connotati sociali, così come le prove che li dovrebbero convalidare. Per dirla chiaramente, nella valutazione si annida spesso un certo grado di arbitrarietà. Sia nei valori di riferimento, sia nella scelta vincolante dei saperi e delle competenze da valutare.

Per potere affermare che le valutazioni scolastiche sono sostanzialmente eque bisogna vedere se ogni giovane, qualunque sia la origine sociale, riesce a confrontarsi a scuola con gli altri su un piano di parità; se ogni giovane ha la possibilità di realizzare il suo potenziale umano per vivere secondo il principio di dignità; se qualcuno è rimasto indietro o è uscito dal sistema scolastico senza il bagaglio necessario di competenze utile per non essere emarginato e per vivere una vita dignitosa; se si è contribuito a diminuire le differenze di riuscita tra giovane e giovane;se quelli che sono allo stesso livello di talento, di capacità e hanno lo stesso desiderio di utilizzarli hanno avuto le stesse possibilità di successo, senza tener conto della loro condizione sociale.
Per fare giustizia nella valutazione si deve aver chiara l'idea che le disuguaglianze della società si riversano nella scuola e agiscono attraverso i meccanismi della sua organizzazione. I fattori interni che possono produrre effetti di iniquità, registrati e riassunti nel modo di fare valutazione, sono collegati al curriculum, alla dotazione degli organici, al reclutamento e alla formazione dei docenti, alle risorse disponibili,all'unitarietà e differenzazione degli indirizzi, alla formazione delle classi, all'assegnazione dei docenti alle classi.

Il curriculum ufficiale, quando evidenzia la prevalenza degli aspetti logici, linguistici e astratti, rende probabile l'insuccesso di determinati alunni. "L'ineguale distanza dalla cultura scolastica è un fattore di successo per alcuni, di insuccesso per altri. Non partendo tutti dallo stesso punto, non hanno lo stesso cammino da percorrere per padroneggiare il curriculum. Basta che la scuola tratti gli alunni della stessa età come eguali in diritti e doveri per trasformare le differenze di patrimonio culturale in disuguaglianze di successo scolastico(Bourdieu-1966).
Senza questa consapevolezza l'aura di oggettività con cui si cerca di rivestire le pratiche di valutazione serve solo a dissimulare la riproduzione dell'ordine sociale esistente, con le sue grandi ingiustizie, mentre si proclamano ad alta voce il merito individuale e la moblità sociale.

prof. Raimondo Giunta








Postato il Mercoledì, 02 dicembre 2015 ore 02:00:00 CET di Nuccio Palumbo
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