Qualche
anno fa, quando arrivai a San Martino del Carso, rilessi questa
poesia incisa sulla pietra all'ingresso del paese. Poco prima due
motociclette erano sfrecciate sulla piazza della Fontana, ma non veloci
al punto da impedirmi di notare le marche dei propulsori: Honda e
Yamaha, entrambi quadri cilindrici, si capiva dal rumore. I bambini in
costume da bagno che giocavano nel prato antistante la villetta,
accanto a un canotto di plastica riempito d'acqua, mi guardavano con
curiosità. Un gatto s'avvicinò annusando il calore del mio corpo.
Giovannino, dell'Ipsia di via Zambeccari, a Guidonia, se fosse stato
lì, insieme a me, avrebbe detto che a San Martino del Carso sentiamo il
contrasto fra storia e natura. Le case frantumate sono state
ricostruite. Il Valloncello dell'Albero Isolato è diventata
un'attrazione turistica. Ma noi come dobbiamo fare per riprovare
l'emozione ungarettiana, qui, oggi, cento anni dopo?
Ricordo la mia
discesa nella trincea del poeta. La terra brulicava di animaletti. Il
cielo era uno scompiglio di frammenti luminosi. mi trasformai nel
giovane poeta. I soldati salivano allo scoperto, a gruppi scompagnati,
urlando come belve. Il rumore delle cartucciere pareva il rotolare dei
sassi. Gli ufficiali erano isterici. La mitragliatrice spazzava il
campo. Qualcuno riusciva a saltare dentro. Le baionette tagliavano la
carne, sfregiavano i visi, sprofondavano negli intestini. Tutto questo
alimentava l'egoismo, innescando nei combattenti una vitalità ferina.
Mors tua, vita mea. Ungaretti, uomo di pena, scoprì in questo buco di
roccia dove mi ero rintanato una verità umana universale. Sotto gli
attacchi avversari, comprese, nella crosta del sangue raggrumato, che
le radici di un uomo non appartengono soltanto a lui, ma s'intrecciano
con quelle di tutti. Ne tocchi una, fai vibrare le altre. Il poeta lo
spiega adesso anche a noi, soprattutto gli insegnanti, che cercano di
passare il testimone di questa consapevolezza alle nuove generazioni:
"Cosa significa fratelli per Ungaretti? Venite qui, ragazzi. Tutti
davanti a me, come se io fossi il portiere in attesa del calcio
d'angolo e voi gli attaccanti. Chi pensa di poter rispondere, alzi la
mano!".
Rividi, come se fossero stato lì, davanti a me, nei pressi di
Cima Quattro, tutte le mani alzate dei ragazzi nelle scuole dove ero
stato: elementari, medie, professionali, tecnici, licei. Organizzavo
delle gare interpretative trascrivendo ciò che loro mi suggerivano.
Accanto a ogni concetto registravo il nome di chi me l'aveva detto. Una
classe di biennio, futuri elettricisti, analizzando una sola poesia, ne
individuò venti, quasi uno a testa. Ma forse l'emozione più forte me la
fece provare Davide, quando, dopo aver letto San Martino del Carso, lo
condussi, insieme a tutta la classe, al cimitero del Verano, a Roma,
sulla tomba di Ungaretti.
"A professò, ecco che vor dì avecce er core
stracciato. Che l'amici so tutto. E nun te li poi dimenticà, pure se
moreno. Er poeta voleva facce capì questo, vero?".
Eraldo Affinati, insegnante e scrittore (da, "Scuola e Formazione")