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Costume e società: Fermarli sul bagnasciuga?

Redazione
Sugli immigrati è difficile ragionare con serenità; molte sono le preoccupazioni, molte le paure; molti i pregiudizi. Nemmeno di fronte allo spettacolo quasi quotidiano di un'una umanità umiliata, sofferente e disperata si riesce a trovare il giusto equilibrio per cercare di capire e per usare il linguaggio della com-passione. Le ondate interminabili di sventurati che approdano nei nostri mari, dopo avere affrontato pericoli e violenze di ogni genere, sono la fase terminale di un disastro geo-politico, di cui non si riesce o forse non si vuole venire a capo. E i problemi che si prendono per la coda sono sempre difficili, se non impossibili da risolvere, se non altro perchè spesso la sorte li riserva a chi non li ha creati o a chi ha minori responsabiliità in queste sciagure.

Non è facile nemmeno dare soluzioni accettabili, proprio per il grumo di avversioni, di paure che i migranti suscitano, loro malgrado, anche in persone razionalmente disposte ad accettare la loro presenza. Già quando erano pochi si è passati in molti luoghi, pur disponibili all'accoglienza per le loro caratteristiche e tradizioni, dalla curiosità umana e dall'attenzione ad un sentimento strisciante di avversione e di intolleranza, sul quale è stato ed è facile speculare per gli imprenditori della paura per creare un clima di incertezza. Fatto che non si puo' sottovalutare, perchè non si sa dove possa sfociare.
La presenza massiccia di immigrati con la loro diversità e lontananza umana, in luoghi dove per la scarsità delle risorse disponibili è facile scatenare la lotta tra i poveri, ma anche infiammare gli animi per pericolose avventure, è diventata un problema esplosivo difficile da gestire e capace di incrinare alla radice i fondamenti della nostra civiltà.

Difficile e grande tragedia che dovrebbe spingerci alla ricerca affannosa e seria delle soluzioni possibili e a respingere le speculazioni, le trovate pubblicitarie, che alimentano rabbia, paura e ostilità per rispetto della grande sofferenza di chi si avventura alla ricerca della propria salvezza e per rispetto dell'umanità di quanti, incolpevoli si trovano ad affrontare problemi al di sopra delle proprie possibilità e capacità.
Problema che solo in piccola parte è risolvibile nell'accoglienza generosa della nostra gente; bisogna comprendere il dramma di chi ci viene a cercare, ma anche la preoccupazione di chi non riesce a capire dove si possa andare a finire. C'è un problema di lavoro, c'è un problema di coesistenza, c'è un problema di complessità da gestire e risolvere nel migliore dei modi. Ed ora anche un problema di infami ruberie sulla pelle degli immigrati.

Forse il punto di partenza per una riflessione umanamente seria è la considerazione che a nessuno piace abbandonare casa, famiglia, parentela, affetti, amicizie per tentare la sorte in luoghi sconosciuti in cui è probabile, se non sicuro che non si troverà quanto si è perso e quanto si è dovuto lasciare; forse il punto di partenza per una riflessione razionale è pensare che all'origine delle dimensioni delle migrazioni di popoli interi ci sono le guerre, (in cui non sono estranei gli interessi delle nazioni ricche che si rifiutano di accogliere i migranti) le persecuzioni del fanatismo religioso e tribali, le carestie causate dai dissesti climatici e ambientali.
Si è creato un mondo dove circolano liberamente capitali e merci, ma si creano limiti a quella degli uomini. Non pare che possa funzionare a lungo, se non ricorrendo alla violenza e moltiplicando i casi di questa infelice mobilità umana. Si è pacificato il mondo dei capitali e della ricchezza e si è lasciato che alcuni popoli si scannassero senza misericordia tra di loro. E' anche vero, però, che non c'è posto per tutti e che le risorse disponibili non sono infinite.

Non mi pare una soluzione bombardare i barconi; non mi pare una soluzione lasciarli morire in mare; non mi pare una soluzione farli marcire nei cosiddetti centri di accoglienza ed è molto difficile discernere tra rifugiati politici e migranti della disperazione. Non è nemmeno una soluzione che la responsabilità dell'accoglienza ricada solamente sul paese del primo approdo.
Una tragedia di dimensioni mondiali non puo' essere affrontata con i rimedi di un'emergenza locale e temporanea. Non sono in questione solo i principi di solidarietà umana, ma i rapporti tra nazioni sviluppate e nazioni del terzo e del quarto mondo.

Ecco perchè il minimo che possa essere fatto è la condivisione della responsabilità del problema dell'accoglienza da parte di tutte le nazioni europee secondo criteri di equità e di sopportabilità sociale
Altro, ma non minore problema è quello della convivenza tra gli immigrati e gli autoctoni. In Italia è un problema di recente costituzione rispetto ad altre nazioni europee e si fa più fatica a trovare soluzioni collettive e individuali. Questione principale è quella della cittadinanza. E' sufficiente essere nati in Italia? E per quelli di lunga immigrazione quando e come concedere la cittadinanza?

Non c'è integrazione a prescindere dalla soluzione di questo problema e senza integrazione la convivenza tra le diverse etnie e quella tra immigrati e residenti nativi può essere messa a repentaglio, con tutti i danni che ne possono derivare. La convivenza da costruire e da tutelare è quella tra diverse religioni, tra diverse culture, tra diverse tradizioni morali in un quadro di libertà e di garanzie democratiche. Gli Stati pluriculturali, plurietnici, e plurireligiosi nel passato hanno avuto lunga e serena convivenza civile solo quando forte e inoppugnabile era l'autorità delle istituzioni e inflessibile la difesa delle regole comuni.
Ci vogliono regole ferree che devono proteggere gli spazi inviolabili di ogni singola persona e soprattutto gli spazi comuni dalle aggressioni "particolaristiche", dai tentativi di egemonia dei ceti di volta in volta dominanti. Bisognerà riscrivere le regole di appartenenza e anche il principio stesso della laicità dello Stato per assicurare la coesione, ma anche il diritto di praticare liberamente i propri convincimenti culturali o religiosi, tenendo presente l'accresciuta difficoltà di ricorrere a radici comuni per avere una soluzione a portata di mano. Abbiamo storie e linguaggi diversi.

L'immigrazione è un fatto irreversibile, anche se controllabile, e bisogna creare le condizioni per non imbarbarire la qualità della vita collettiva. E' necessario coltivare, direi istituzionalizzare, la capacità di ascolto di ognuno di noi; sapersi accettare ed accettare gli altri nella loro identità e differenza. C'è bisogno dell'umanissima capacità di dialogo, non solo della tolleranza. C'è bisogno di essere comunità, nelle mutate condizioni attuali, e non solo società: avere qualcosa in comune e non solo patti da rispettare.

prof. Raimondo Giunta








Postato il Lunedì, 08 giugno 2015 ore 02:30:00 CEST di Nuccio Palumbo
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