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Costume e società: Democrazia, enti locali e classe dirigente

Redazione
Le elezioni regionali hanno fatto esplodere la questione delle liste con candidati impresentabili; ondate oceaniche di indignazione, la nascita stessa di movimenti anti-politici, i provvedimenti contro la corruzione non sono serviti a niente, anzi si assiste ad un aggravamento del problema.
La denigrazione costante dei partiti e i sistemi elettorali vigenti, in cui conta e pesa la vittoria a qualsiasi costo, hanno creato le condizioni per questa sconcia parata di candidati, pescati non più dalla società civile, area di reclutamento ingenuamente (??) ritenuta salvifica, ma individuati negli archivi dei tribunali.

La formazione della classe dirigente locale è diventata una questione cruciale del funzionamento della vita democratica e della sua reale consistenza. Per la formazione di una classe politica ci vogliono luoghi idonei, esperienze e curriculum; ci vogliono partiti veri, che si assumano la responsabilità di dare indicazioni, di elaborare programmi, di scegliere persone adeguate al compito di amministrare le proprie comunità. Non può essere solo la capacità di procacciarsi voti (spesso di origine familiare e/o clientelare) a determinare un ruolo pubblico, ma anche e soprattutto la capacità di leggere una condizione, di analizzare un problema, di offrire una soluzione e di trovare il consenso.

La vita dei partiti che con i sindacati e con altre organizzazioni sociali hanno un tempo fornito in provincia il personale politico, vivono vita stentata; per l'aleatorietà della loro esistenza, l'improvvisazione dei propri programmi, la fragilità dei propri statuti interni, la mutevolezza della classe dirigente. Vivono una vita stentata anche a causa del sistema istituzionale, venutosi a creare con le nuove leggi elettorali, che rende i propri vertici praticamente indifferenti alle sollecitazioni o alle critiche ,che provengono dalla società o dagli stessi partiti di origine.

Se l'assetto delle istituzioni locali può sembrare immodificabile, non è detto che i partiti debbano restare così come sono diventati, perchè la partita della democrazia si giuoca ancora dentro di essi sia riguardo alla selezione della classe dirigente, sia riguardo al ruolo di mediazione con le istituzioni, sia riguardo al consolidamento del consenso che rende stabili le prospettive di una stagione politica.
Nel passato a livello locale la classe dirigente dei partiti di massa era spesso di origine borghese, più piccola e media che grande; rompeva col ceto di appartenenza e cercava con gli strumenti in proprio possesso di far transitare nei ceti popolari un progetto politico, un'idea di società per la quale si potevano affrontare sacrifici e rinunce e valeva la pena affrontare delle lotte.
Innervava le articolazioni delle formazioni politiche con la capacità di organizzare, proporre, decidere, dirigere. Per un verso era in marcia verso spezzoni di potere(locale), per un altro attivava un processo di immedesimazione con parti della società, di cui con la propria opera determinavano un certo grado di sviluppo culturale e politico.

Dalla base al vertice e viceversa si veniva a creare una traslazione di esperienze, di azioni, di scelte che ha originato un'ampia e partecipata società politica e che ha distinto negli anni migliori e per lungo tempo la democrazia italiana, rispetto alle democrazie delle altre società occidentali.
La crisi politica e istituzionale di Tangentopoli ha ridisegnato i luoghi e i protagonisti delle vicende politiche; spariscono partiti che avevano fatto la storia e incomincia la vicenda delle formazioni a conduzione e a proprietà personale. Formazioni che se non sono di plastica, sono però fragili e a volte casuali. Senza radici culturali, storiche, valoriali. Scompare la militanza e se ne dissuade la continuazione. I partiti negli ultimi 20 anni li abbiamo visti vivi puntualmente e periodicamente solo ad ogni tornata elettorale.

Per uscire dalle proprie difficoltà le élites della prima Repubblica, sopravvissute al diluvio, hanno invocato l'aiuto della società civile. Un modo rapido e pratico per sopperire all'incapacità o alla rinuncia a formare una nuova classe dirigente locale.
Una zattera di salvataggio, tirata da personale che aveva competenze professionali,ma non esperienza politica e che ha portato uno stile di rapporti personali con gli elettori e con le istituzioni che a lungo andare non ha prodotto nessun miglioramento. Personale lontano dall'inclinazione pedagogica della precedente classe dirigente e con qualche tratto di albagia classista...

Le organizzazioni dei ceti medi intellettuali, gli ordini professionali, soprattutto, ognuno dei quali molto diverso nella collocazione sociale, assumono un rilevo sempre più importante e nella società meridionale finiscono per sequestrare l'intero spazio politico. I club services completano l'opera, perché forniscono la rete di collegamento, sanciscono le leadership, formano l'identità culturale, delimitano nei loro conciliaboli i confini della sovranità popolare.
L'attenuazione dei confini politici tra gli schieramenti politici, l'inaffidabilità del vecchio ceto politico, la rarefazione degli iscritti e della militanza hanno spalancato tutte le porte a questo genere di classe dirigente, forte di qualche competenza professionale ma restia a dare credito a valori, principi e mete politiche di qualche rilevo. Disponibile per abituale confidenza con le posizioni e con i vantaggi del potere a qualsiasi giravolta trasformistica.

Al Sud si è tornati al notabilato locale col codazzo di clienti e si sono persi molti punti in termini di consistenza civile della lotta politica. Si è tornati con qualche ovvia modifica al godimento censitario di alcuni diritti politici. Alle dinastie politiche.
Il guasto che c'è, non c'è a caso e la sconcia tolleranza, di cui sono prova tangibile le liste di candidati impresentabili, non è certo il rimedio per dare respiro alla nostra democrazia e alla vita politica.
Sperare non nuoce, ma con juicio. La situazione che si è venuta a creare, cioè la sostanziale contiguità tra inamovibili oligarchie centrali e questa nuova classe dirigente locale, può essere ripulita degli aspetti più indecenti, ma difficilmente sovvertita perchè risponde alle pressanti richieste di riduzione degli spazi di democrazia, che derivano dal modello economico-sociale promosso e imposto dal FMI, dall'OCSE, dalla BCE, dalla Comunità Europea.

Un modello fondato sulla reversibilità dei diritti e delle libertà, che può essere assicurata solo da "governi forti", le cui decisioni non possono essere messe in discussione dalla logica di una vera e pulsante democrazia. Partecipare vuol dire sperare di contare;contare vuol dire far valere una classe di interessi. Ma ormai non si vogliono creare le condizioni di una contemperanza di interessi. In assenza di margini ampi di sviluppo, da qualche decennio si lavora solo per escluderne alcuni e favorirne altri. Non si spiegherebbe altrimenti come si riduca il numero di quelli che dispongono della stragrande parte delle risorse e aumentino i poveri e i diseredati. Tra le nazioni e tra le persone.

La politica ridotta ad arte del comando non ha bisogno di partecipazione, non ha bisogno di veri partiti, non si duole dell'astensionismo. Si giova del fallimento della democrazia e la grancassa dei media ha di fatto convinto larghe masse di cittadini che tutto ciò rapresenti un progresso, il frutto di ardite riforme.
Ecco perché è diventato tutto difficile; ecco perché riassaporare il gusto della democrazia significa ricominciare ancora una volta dai partiti;non da quelli esistenti e nemmeno con le stesse idee, con lo stesso tipo di insediamento sociale e se possibile nemmeno con uomini bruciati dalle scelte fatte nel passato.
Occorre riaprire, partendo dalla realtà locale, gli spazi del confronto e della riflessione per riformulare in termini accessibili e concreti i temi dei diritti, della buona amministrazione, del lavoro, dell'assistenza, della protezione sociale, della casa, dell'istruzione, della salute. Della libertà e della giustizia. Ma ci vogliono energie, convincimenti forti, dedizione, serietà, grande apertura intellettuale. Occorre selezionare uomini con idee e idee per gli uomini, misurandosi con la realtà e i suoi vincoli.
Sono necessarie una nuova e inclusiva cultura politica e una nuova e rispettabile classe dirigente.

prof. Raimondo Giunta








Postato il Martedì, 26 maggio 2015 ore 02:30:00 CEST di Nuccio Palumbo
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