«Da qui
al 28 febbraio scriveremo i testi» della riforma della scuola, «il
decreto e il disegno di legge». Così il premier Matteo Renzi in un
video pubblicato sul sito del governo ma anche sul suo profilo
Facebook. «Se riparte la scuola, riparte l'Italia. Ci stiamo credendo e
investendo», ha spiegato il presidente del consiglio, che ha aggiunto:
«Sarà entusiasmante che diventi la più grande riforma dal basso mai
fatta in un Paese europeo».
Renzi: per prima volta riforma la fanno gli italiani
Renzi ha ricordato la «campagna di ascolto nelle scuole» (dal 15
settembre al 15 novembre 2014) dopo il via libera, lo scorso 3
settembre, delle linee guida della riforma da parte del Cdm. E ha
ricordato come la campagna sia stata giudicata dalle istituzioni
europee «la più grande mai fatta a livello continentale». Poi ha
aggiunto: «Centinaia di persone ci hanno detto la loro, ci hanno anche
insultato, ci hanno dato suggerimenti, criticato, fatto proposte
alternative. Non c'è dubbio che per la prima volta la riforma della
scuola anziché farsela in un ufficio con i tecnici del ministero e di
Palazzo Chigi, la stanno facendo gli italiani e le italiane».
Scuola, la riforma più importante
Per Renzi «si deve ora entrare nel merito: sull'assunzione degli
insegnanti, sulla valutazione e l'investimento sul merito,
sull'alternanza scuola-lavoro, sull'investimento sulle nuove materie
che poi sono le vecchie valorizzate (diritto, arte, economia,
educazione motoria, inglese, con un investimento sulle lingue)». Il
premier ha incontrato a Palazzo Chigi la ministra dell’Istruzione,
Stefania Giannini, in vista della messa a punto del decreto sulla
“buona scuola”. E ha salutato il vertice con un tweet ribadendo la
centralità della riforma dell’istruzione nel suo programma: «Il 2015
mette al centro la scuola, anzi la buona scuola. Siamo al lavoro sulla
riforma più importante per il futuro dei nostri figli e del Paese».
Le partite politiche aperte
Ma non c’è solo la scuola tra le priorotà dell’agenda del governo.
Portate via le feste e accantonato come incidente di percorso il
“giallo” della norma salva-Berlusconi infilata nel decreto natalizio
sul fisco, con l’Epifania si riaprono i cantieri del Parlamento. Oggi
alle 12 è stato incardinato il dl milleproroghe in Aula alla Camera, ma
le tappe cruciali della settimana, anche simboliche, sono altre:
mercoledì alle 16 approda in Aula al Senato l’Italicum 2.0, mentre
l’assemblea di Montecitorio riprende l’esame del ddl costituzionale.
Sullo sfondo, la vera partita, quella del Colle: dal 13 gennaio, quando
finirà ufficialmente il semestre europeo a guida italiana con il
discorso di Matteo Renzi a Bruxelles, ogni giorno è buono perché il
capo dello Stato Giorgio Napolitano rassegni le annunciate dimissioni.
Da quella data, mentre il presidente del Senato assumerà la reggenza,
la presidente della Camera avrà 15 giorni di tempo per convocare
l’elezione del successore. I 1.009 grandi elettori potrebbero dunque
essere chiamati al voto già prima della fine del mese, il 29 gennaio.
Renzi fa i conti nel Pd
Una corsa a ostacoli, per il premier Renzi. Che continua a fare i
conti, anche in vista dell’assemblea dei parlamentari dem convocata
sempre mercoledì per fare ancora e sempre il punto sulle riforme. I
conti prima dei suoi “fedelissimi”, quelli che alle Camere non
tradiranno mai (si calcola siano circa 200-250 tra i grandi elettori
Pd), poi dei potenziali alleati in tutti i gruppi. Per allontanare lo
spettro dei “101” franchi tiratori che impallinarono Romano Prodi
neanche due anni fa.
L’Italicum 2.0 al test del Senato
Il vero banco di prova dei prossimi giorni sarà proprio l’Italicum
nella nuova versione licenziata dalla commissione Affari costituzionali
di Palazzo Madama, che Renzi vuole approvata prima della riunione del
Parlamento in seduta comune per scegliere il successore di Napolitano,
che dovrà essere «un arbitro, non un giocatore», come ha auspicato il
premier. Quella riforma della legge elettorale i cui nuovi punti fermi
- soglia di sbarramento unica al 3%, soglia del 40% al di sotto della
quale scatta il ballottaggio, premio di maggioranza alla lista (non
alla coalizione) più votata, 100 collegi con capilista bloccati e
preferenze per scegliere gli altri parlamentari - potrebbero ancora
creare fratture e malumori, anche in casa Pd. Non a caso il presidente
della commissione Lavoro alla Camera, il “bersaniano” Cesare Damiano,
mette le mani avanti e avverte: «per quanto riguarda l'Italicum la vera
questione ancora non risolta è quella delle preferenze».
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