La scuola è
servizio; la scuola è organo tecnico-professionale; la
scuola è un'istituzione pubblica. Il movimento complessivo della
società per guadagnare spazi di partecipazione, in nome e per conto dei
diritti di cittadinanza, nelle istituzioni pubbliche, che si è
sviluppato a partire dalla fine degli anni '60, ha investito in pieno
la scuola costringendola a ridisegnare l'insieme delle sue funzioni.
L'esigenza di partecipazione alla vita delle istituzioni è un tratto
distintivo della maturità di una società democratica e non una causa di
disgregazione corporativa e adeguatamente considerata e valorizzata
pone un rimedio alla contraddizione che va regolarmente in scena quando
l'organizzazione delle istituzioni diventa sorda e impermeabile alle
richieste di attenzione e di apertura che scaturiscono nella società
dalla coscienza dei propri diritti.
Alla richiesta di partecipazione nel tempo sono state date
delle risposte che nel loro insieme allo stato attuale ci
consegnano una scuola che ancora non ha
superato i confini dell'autoreferenzialità e che vede deperire ed
esaurirsi il senso della presenza dei genitori e degli studenti nella
vita scolastica. La congerie degli organi collegiali che andavano dal
consiglio di classe al Consiglio Nazionale della P.I. non ha dato i
risultati sperati. Di fatto il rapporto scuola-società non poteva e non
può essere mediato dalle presenza dei genitori a scuola,legittimi
portatori di interessi individuali, a volte inadatti a rappresentare la
generalità delle esigenze delle famiglie degli alunni. Agli albori del
movimento per la democratizzazione della scuola si chiedeva una
gestione "sociale" della scuola, che è cosa un po' diversa da
quella collegiale che si è avuta nel '74 e comunque in linea con il
ridimensionamento del ruolo istituzionale della scuola.
La collegialità in moltissime scuole nel tempo è diventata un fatto
esclusivo delle componenti interne ,con una netta prevalenza dei
docenti e per di più sbrecciata in più parti sia dalla dirigenza
assegnata ai presidi (non più primi inter pares..), sia dalla
costituzione delle RSU, spesso insensibili alla dimensione sociale e
pubblica della scuola e alle responsabilità che questo comporta.
Le scuole non hanno vita serena anche perchè l'irrilevanza dei genitori
a scuola, può essere considerata come una causa della loro aggressività
nei confronti del suo personale. E' come se si fosse aperta una nuova
fase della separatezza della scuola.
E' evidente che si debba aprire una nuova fase della partecipazione per
potenziare e dare un nuovo senso ai legami che intercorrono tra scuola
e alunni tra scuola e famiglie e tra scuola e società. Vanno cercate
nuove vie per non vanificare quanto di buono c'è dentro l'autonomia
scolastica. Questo non toglie che vadano conservate e rinvigorite
quelle innovazioni che in un mutato clima scolastico possono dare quei
frutti che finora poche volte sono stati raccolti: carta dei servizi,
statuto degli studenti e delle studentesse, patto di
corresponsabilità educativa, consiglio di classe, consiglio di istituto.
LA SCUOLA COME SERVIZIO deve conservare e sviluppare i tratti di
comunità educante, ruolo per il quale è impensabile che si possa fare a
meno delle idee e del contributo dei genitori e degli studenti. Il
servizio non è sono quello di trasmissione delle conoscenze e di
formazione delle competenze, ma anche quello di integrazione dei
giovani nella comunità d'appartenenza attraverso i processi di
socializzazione dei principi e dei valori costitutivi e imprescindibili
della società.
LA SCUOLA COME ORGANO TECNICO-PROFESSIONALE deve poter lavorare secondo
scienza e coscienza in piena autonomia. Il sapere professionale dei
docenti ha una sua specificità che appartiene a loro, ma ha anche una
caratteristica che è quella di essere per sè aperta al confronto e alla
ricerca. Non è e non può essere un sapere chiuso e indisponibile,
un mistero più che un mestiere e deve tenere conto dell'elevato ed
esteso livello di esperienza scolastica diffuso nella
società, dal quale possono scaturire legittimamente domande sul
perchè e sul come e sul che cosa dei processi di formazione.
Si è in molti a saper porre domande e ad ascoltare risposte sui
problemi dell'educazione, anche se questo non comporta la pretesa
di fare adottare ai docenti particolari procedure di lavoro, che sono
nella riserva indisponibile della loro 'autonomia e responsabilità.
Si tratta di un nodo delicato in cui si intrecciano le possibilità di
instaurare rapporti sereni e fecondi tra scuola e famiglie.
La risposta della scuola in questi casi non può
essere la chiusura, ma la capacità di dare risposte, di
assicurare trasparenza nelle valutazioni, di garantire risultati
ineccepibili sotto il profilo della qualità e dell'equità. La questione
va posta forse più sul piano delle relazioni pubbliche e della
competenza che non su quello di potere. Il potere di fare domande in
una scuola democratica deve essere distribuito tra docenti,
alunni e famiglie, rispettando gli ambiti reciproci di legittimità.
Le domande a scuola e sulla scuola scaturiscono da esigenze diverse.
Quelle poste dall'insegnante servono a sviluppare la riflessione
dell'alunno, a individuare le qualità delle convinzioni e del sapere
posseduto. Hanno una funzione maieutica. Quelle poste dall'alunno
aiutano a dissolvere gli elementi di incertezza,a rompere le
ambiguità a dissipare i dubbi; quelle poste dai genitori tendono
ad avere garanzie sul processo di crescita e di formazione dei figli:
legittima espressione del dovere di educazione che nessuna istituzione
gli può sottrarre. Tutte quante devono definire il proprio ambito di
pertinenza all'interno del patto formativo, che va esplicitamente
formulato, concordato e osservato dalle componenti della scuola. Questo
è l'unico modo per accettare e valorizzare, rendendolo educativo, il
potere diversificato di "interrogare", pur rimanendo un'evidente
asimmetria del suo possesso.
Bisogna accettare che "la validità delle proposizioni e delle domande
non è relativa allo statuto di chi le enuncia" (Meirieu), ma al rigore
della sua enunciazione. Nella scuola come comunità democratica si
discute di tutto. Importante e allora il come e il quando. Occorre fare
in modo che tutti posseggano gli strumenti del dibattito e del
ragionamento per impedire che nel confronto si dia luogo al
sovvertimento delle evidenze, alla manipolazione delle esigenze e delle
priorità; l'atteggiamento problematico deve essere la dote di tutti
quelli coinvolti nel processo educativo. C'è una responsabilità comune
a scuola, se si vuole avere parte al processo educativo, ed è quella
di educarsi a porre correttamente domande, ad ascoltare con
rispetto,umiltà ed attenzione; ad assumere la dimensione della
problematicità, condizione per la quale i reciproci convincimenti si
aprono al dialogo. E senza dialogo non c'è sviluppo e crescita dei
giovani. La capacità della scuola di sapere porre e di accettare
domande è l'unica condizione per difendere l'autonomia e la
libertà professionale propria e di docenti.
LA SCUOLA COME ISTITUZIONE esplica una delle funzioni più significative
ed umane dello Stato: quella della diffusione, della tutela e del
sostegno del diritto di accedere a quel bene comune che è
il sapere costruito e conservato nella società, garantendo come
condizione imprescindibile la necessaria istruzione di tutti suoi
cittadini. E' una funzione essenziale e costitutiva di una comunità
statuale moderna come la difesa della moneta, dei confini, della
sicurezza interna e della corretta attuazione della potestà
giurisdizionale. L'istruzione qualificata e di livello di tutti i
cittadini è condizione della coesione, della salvaguardia e dello
sviluppo della società della conoscenza.
Da ciò deriva il fatto che lo Stato se ne debba obbligatoriamente
occupare e che i cittadini si debbano obbligatoriamente istruire. Da
ciò non deriva che lo Stato debba direttamente gestire tutti i processi
di istruzione e formazione: in tutte le nazioni democratiche questo non
si verifica. D'altra parte è incomprensibile che debba essere tutta
statale l'istruzione, mentre possa essere tutta "privata" la formazione
professionale, nonostante il crescente rilievo assunto nell'attuale
momento storico e nonostante che in certi livelli le due faccende siano
inscindibili. In Italia è in vigore una legge sulla parità, varata da
un governo di centro-sinistra, che per i timori e la furbizia di tutti
i soggetti coinvolti non riesce a decollare, per cui non passa ciò che
altrove è senso comune, la differenza cioè tra "statale" e "pubblico".
Finanziare la spesa per l'istruzione, controllare la qualità del
servizio erogato, la corrispondenza dei curricoli alle finalità
stabilite per legge e ai principi costituzionali, la regolarità e la
qualità del personale assunto, la qualità e l'equità dei risultati
rendendosene garante con tutti i mezzi di vigilanza disponibili,
rendicontare quanto dato e ottenuto sono i compiti imprescindibili
dello Stato relativi all'istruzione per mantenerla nell'ambito delle
funzioni statuali e per non ridimensionarla a mero servizio sociale, di
cui assumere carichi e responsabilità solo sussidiari rispetto a quelli
primari assegnati alla società.
In molti modi si dice "pubblico" e per quanto riguarda la scuola ci si
potrebbe confrontare con quel che succede in Francia dove è in vigore
dal 1905 una legge sulla laicità della scuola.
prof. Raimondo Giunta