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Riforma: Lettera al Signor Presidente del Consiglio, Matteo Renzi. La sinistra 'fuori dalla storia'. Cosa significa essere di sinistra

Redazione
Lettera al Signor Presidente del Consiglio, Matteo Renzi,
Caro Presidente del Consiglio,
ma crede davvero che  la sinistra che lotta contro le scuole azienda, contro le privatizzazioni, contro i presidi sceriffi, le classi pollaio e le scuole fatiscenti, questa sinistra, appunto, sia  "fuori dalla storia”?
Non vorrà mica rottamare, dopo i politici, anche  la classe insegnanti  insieme con i giovani studenti  perché, indignati, scendono in questi giorni nelle piazze a protestare per una scuola e una società  migliori!  Non faccia anche Lei l’errore di pensare,  come il suo antico predecessore, che  tutti quelli che protestano, docenti e studenti, siano  tutti quanti gufati e pericolosi  fuoriusciti comunisti da dover rottamare!
Si fidi, si fidi, signor Presidente,  dei giovani, della  scuola pubblica, e di quei  solerti insegnanti  precari che con tanto amore e pazienza quotidianamente svolgono il proprio duro, quanto prezioso lavoro, pur sapendo di non avere in cambio nient’altro  che  una precaria sussistenza  e  un precario status giuridico.  E non ceda alle lusinghe  delle private. 

Non dimentichi, signor Presidente, che la  scuola pubblica, nella sua travagliata, lunga storia post-resistenziale, ha avuto un ruolo nobile  fondamentale nella crescita morale e culturale di questo nostro belpaese; è stata il rullo compressore che ha schiacciato l’analfabetismo, la forza motrice  che ha favorito la costruzione del  progresso civile e democratico della nostra società, emancipando le masse dalla schiavitù dell’ignoranza! La scuola pubblica è stata la scuola di tutti, “aperta a tutti”. Come deve esserlo una buona scuola.
Signor Presidente,  stia tranquillo, i giovani  che scendono nelle piazze a protestare non sono comunisti, sono giovani delusi e indignati, ma seri e impegnati che si battono per una scuola che sia,  non a parole ma nei  fatti,  veramente rinnovata, più moderna, più efficiente,  e  più competitiva. Stia tranquillo, signor Presidente.  Se i giovani della scuola pubblica, insieme con i precari e i lavoratori disoccupati, non sopportano  certe ingiustizie, e sono attratti dalla piazza  per manifestare   contro la disoccupazione, a favore del lavoro,  contro il degrado culturale, in nome di una buona scuola, contro la corruzione in nome della legalità e della giustizia ecc.ecc., è perché credono  ancora che ci possa essere  qualcosa di buono a questo mondo per cui valga la pena di vivere e di lottare.  
Non sono pericolosi  indottrinati comunisti. Sono idealisti, semmai.

Protestare è di sinistra? Se così fosse, a questo punto, allora, mi sorge il dubbio  che, me insciente, sia  stato anch’io di sinistra,  che abbia subito  anch’io nel corso della mia  prima formazione scolastica nella scuola pubblica statale il fascino perverso di  qualche insegnante comunista che ha iniettato  “dentro il pensier mio”  il pestifero germe della protesta piazzaiola! Plagiato sui banchi di scuola, senza saperlo!?

Per scrupolo di coscienza, ho fatto subito la mia brava  anamnesi: ho ripercorso nella memoria gli anni della mia esperienza  scolastica. Ma nulla, signor Presidente, lo giuro, nulla,  non ho trovato nulla, neppure un sintomo di patologia  che potesse dirsi comunistoide nella mia formazione culturale!

Me puero,  mi sono rivisto alle scuole elementari, con la preghiera mattutina e il segno della croce prima di iniziare le lezioni. Il mio maestro “unico”, non so se fosse”  chierico rosso o nero”; ma ricordo che era una  brava persona, di una  sensibilità deamicisiana, all’antica, di sani principi non negoziabili, comprensivo ma rigoroso; ogni tanto qualche ceffone, ma per affetto; da lui appresi - mi ricordo - il riguardo dovuto ai superiori, e il rispetto e la lealtà verso i compagni, il senso dell’onestà  morale e intellettuale (oltre che a leggere, a scrivere e a far di conto).
Le pare  - signor Presidente  - che uno così, che ci faceva cantare “Fratelli d’Italia” e “Il Piave mormorava”, potesse essere un pericoloso comunista? Un lupo mangiapreti travestito con pelle d’agnello? 
Se dalle scuole elementari passo alle medie  il ricordo che affiora alla mia mente, più struggente e poetico, è quello del mio professore di Lettere: gozzaniano,  fedele amante delle “buone cose di pessimo gusto”, e fissato col latino.
Non gli interessava affatto la politica: “E’ una cosa sporca” - diceva -; viveva zitello, con il gatto e con la vecchia madre in un appartamentino da travét, pieno  di libri e di pesanti odori. Da lui appresi un metodo di studio, e il piacere di memorizzare le poesie più belle e le frasi latine più sentenziose. Grammatica e sintassi latina sul Tantucci. Vocabolario latino: Campanini e Carboni... Libri comunisti? Non so.
Il liceo, rigorosamente classico e ordinario, ( non erano stati inventati ancora gli  I.D.E.I  e i  PON) si apre ai ricordi come il periodo più bello della mia giovinezza: si spalancarono ai miei occhi nuovi e più vasti orizzonti; maturò un pensiero più consapevole e problematico, più smanioso  di conseguire “virtude e conoscenza”. Si cresce - Presidente - si cresce.
La politica cominciava a fare capolino dentro la mia testa, ma mi appassionava di più lo studio della Letteratura del Sapegno, abbinato alla Antologia del Pazzaglia; della Filosofia, appresa sui tre volumetti del La Manna; della Letteratura latina di Concetto Marchesi, e di quella greca del Perrotta. Non so, forse qualcuno di codesti  autori, o più di uno, sarà stato comunista  per fatti propri;  ma che libri - signor Presidente -  che libri, e che professori in gamba che ebbi, allora!

Ah!, ecco - signor Presidente -, ora che mi sovviene: forse, un po’ di febbre di “sinistra” l’ho presa  ai tempi dell’Università;  lì, forse,  ho avuto, allora,  qualche “inculcamento rosso”... Ma che anni  terribili e fabulosi,  quelli  di  fine ’60 e  inizio  ’70!
Anni  di “eroici furori”: si aprirono, allora, i riti della contestazione studentesca, dei  collettivi, e dell’assemblearismo, sull’ondata rivoluzionaria sessantottina. Mentre, intanto,  le lotte razziali  e la guerra del Vietnam scuotevano le coscienze  degli Stati Uniti,  e  le piazze di tutto il mondo occidentale si mobilitavano per protestare contro il capitalismo guerrafondaio,  l’Unione Sovietica reprimeva coi carri armati gli aneliti di libertà dei  suoi satelliti europei; e  Martin Luther King moriva, colpito alla testa da un colpo di fucile, lasciando il suo sogno come testamento ecc. ecc. Forse  dovette succedere a quel tempo  che  attecchì  dentro di me qualche germe di “sinistra “ che non ha smesso  di dare i suoi frutti poi, nel mio tempo avvenire!

Io confesso:  da allora, ho condiviso con Martin Luther King l'ottimismo creativo dell'amore e della resistenza non violenta;  con don Milani l’idea che l’ingiustizia peggiore che si possa commettere è quella di fare parti uguali tra diseguali, e che i padroni vincono sempre solo  perché possiedono più parole dei loro sottoposti ecc. ecc.; con Gramsci, che la verità è sempre rivoluzionaria;   e che bisogna avere il pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà; da Marx , che “non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza“.
E tante, tante altre cose nello scorrere degli anni ho compreso, come alunno, prima, e, dopo, come insegnante, molte cose  che mi hanno spinto  responsabilmente  a lottare sempre  per una società più giusta, e per una scuola migliore, seguendo  i dettami della nostra Costituzione.

Sono stato comunista, per questo?  Non lo so. Veda Lei!, signor Presidente. Come preferisce.

Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com








Postato il Mercoledì, 19 novembre 2014 ore 10:30:00 CET di Nuccio Palumbo
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