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Umanistiche: Eugenio Garin e la filosofia come sapere storico

Redazione
Se vi è stato uno studioso che ha attraversato in profondità con le sue ricerche tutte le epoche della storia della filosofia italiana ed europea e tutti gli autori maggiori e minori della letteratura nazionale, questi si chiama Eugenio Garin (Rieti 9 maggio 1909 - Firenze 29 dicembre 2004), le cui sistemazioni concettuali non sono state mai banali e hanno sempre suscitato vasto interesse anche sulle tematiche ritenute meno impegnative, come quelle che si trovano nella produzione più scolastica del "Manuale di Storia della Filosofia" (Sansoni 1963); della "Storia della filosofia italiana" (seconda ediz. Einaudi 1966) o delle "Cronache di filosofia italiana"(Laterza 1955). In Garin tutto il lavoro storiografico è stato fondamentale, perché esso ha procurato strumenti, metodi, problemi e risposte a quesiti veri e profondi non solo per la storia della filosofia, ma anche per la storia della letteratura, dell'arte, della scienza e della cultura politica. Di qui bisogna partire per leggere con efficacia la sua intensa e appassionata fatica attorno al concetto della filosofia e della storia della filosofia, dopo che Croce e Gentile vi si erano applicati e avevano offerto i loro particolari contributi. Per tutto il resto relativo alle opere, all'attività didattica e alla formazione filosofica di Garin, si può attingere alla sua bella autobiografia "Sessanta anni dopo" pubblicata dall'Editore Pacini -Fazzi di Lucca nella rivista "Iride" n. 2 del 1989 e in appendice al libro "La filosofia come sapere storico" nell'edizione Laterza del 1990.

Non è possibile intendere la fortunata "Filosofia come sapere storico" pubblicata la prima volta nel 1959, se non la si riferisce alla vicenda filosofica della storiografia da Hegel a Gentile a Croce ed a Gramsci. All'inizio sta Giovanni Gentile. Nella famosa prolusione letta il 10 gennaio 1907 nella R. Università di Palermo su "Il concetto della storia della filosofia", inserita poi con "Il circolo della filosofia e della storia della filosofia" nel volume "La riforma della dialettica hegeliana" pubblicato dall'editore Giuseppe Principato di Messina nel 1913, Gentile cerca di definire il concetto di filosofia e quello di storia della filosofia: "Quale che sia il punto di vista da cui muove lo storico e l'indirizzo filosofico a cui aderisce, egli non può ricercare e non ricerca se non le soluzioni che sono state via via escogitate di un medesimo problema, che per lui è il problema essenziale della filosofia, da cui tutti gli altri più o meno direttamente dipendono" (Principato 1913, p.111). La filosofia, per Gentile, è quindi unità che si trasferisce nella sua storicità secondo un circolo di ripetizione dell'uguale nell'orizzonte dello stesso suo atto speculativo. Garin ne rimane affascinato,ma vi introduce profonde novità, alla luce anche della metodologia crociana.

Benedetto Croce affronta, infatti, il medesimo problema con diversa disposizione di spirito e nella parte quarta della sua "Logica come scienza del concetto puro" (Bari 1909) afferma che la filosofia non ha una storia apriori e quindi la sua è storia fondata su molteplici dati di fatto aposteriori. E chiarisce : "Come l'arte, la storia cerca la vera forma degli avvenimenti, quella pura e concreta dei fatti reali [...] la storia si attacca a quelle manifestazioni del reale e in esse si sprofonda. Le idee, che lo storico elabora, non sono da lui introdotte nella storia, ma scoperte nella realtà stessa, della quale quelle costituiscono l'essenza; e risultano dalla pienezza degli avvenimenti, non già da un'aggiunta estrinseca, come nella così detta storia filosofica o teologica" (terza ed. Laterza 1917, pp. 392-393). La storia è per Croce una sintesi di pensiero e documentazione, di concetto e fatto, esattamente come la filosofia, che non può fare a meno della storia e che è giudizio storico. Per questo motivo viene teorizzata l'identità di storia e filosofia nella struttura del giudizio individuale, dato che il concetto puro è tale perché legato alla ricchezza molteplice della realtà,dei fatti e dell'esperienza. La filosofia è nella visione crociana il luogo teoretico di trasformazione delle sparse membra storiche in verità "vere" mediante il deciso intervento dell'intelletto.

Garin intercetta il dibattito metodologico sollevato dai due idealisti e s'avvicina subito alla posizione di Benedetto Croce, perché ritiene improbabile un pensiero autonomo, come invece Gentile aveva ipotizzato. Il pensiero è storia per i diversi modi in cui l'uomo esprime la sua spiritualità,i suoi sentimenti, le sue emozioni e, insomma, la forza tutta umana fatta di carne e sangue, la cui valenza concettuale altro non è che volontà unificante delle forme e delle varie espressioni dello spirito. Non esiste razionalità al di fuori delle vicende umane e non vi è teoresi che si collochi in una dimensione sovrastorica.
La filosofia ha un'origine "impura", come affermava Croce, che intendeva la purezza solo come capacità logica e potere di ricostruzione dell'unità nella molteplicità degli eventi e dei problemi che di volta in volta sorgono ed impegnano l'esistenza umana e le sue forze. Perciò i filosofi, dice Garin, non spuntano come funghi, ma sono il frutto della loro epoca, del loro popolo, della contingenza storica. E molte sono le idee di un'epoca, e molte le filosofie, e assurda è la posizione di chi vuol tagliare con la sua purezza teorica la possibilità della storia: "Quella che veramente è assurda, è la posizione di chi taglia con la sua teoria la possibilità di una storia e va poi costruendo storie fantastiche e deformanti, irridendo il lavoro reale dello storico. Per chi intende la filosofia come un certo lavoro teorico puro, tutto esaurito nell'ambito di puri sistemi logici, derivanti l'uno dall'altro, tutto quello che è campo dello storico, tutto quello che è storico, o storicizzabile, non può non cadere fuori dalla filosofia. Con lo storico che cerca di svelare le radici terrestri delle idee il filosofo di questo tipo non può non sentirsi in radicale contrasto[...] Né si comprende perché tanti filosofi amino violentare la storia (la seria, modesta storia, che ha a che fare con l'umano, col mondano, col mutevole) impegnandosi in quella strana cosa che è la sollecitazione dei testi per attribuire ai grandi morti le loro piccole - o grandi - idee. A costoro e a quanti come costoro infastidiscono con accuse di filologismo, culturalismo, erudizione e così via chi affronta umilmente in archivi e biblioteche la responsabilità dell'indagine faticosa, vien fatto di ripetere con l'immagine cara al vecchio filosofo: visto che tra l'ottuso profeta e l'onesto somaro abbiamo scelto la compagnia del secondo, lasciateci almeno lavorare in pace!" (Eugenio Garin,"Osservazioni preliminari a una storia della filosofia", in "La filosofia come sapere storico", Laterza 1990, pp.85-86).

Ho voluto servirmi della lunga citazione per riprendere esattamente il pensiero di Garin sulla storicità della filosofia, senza perdere la possibilità di gustare le battute ironiche e l'eleganza dello stile. La concezione gariniana della filosofia come sapere storico, assai vicina alla visione crociana e ad essa intimamente legata, sia pure con le necessarie differenze ed integrazioni, si sviluppa attraverso l'idea che i problemi della filosofia non solo non si sottopongono ad una rigida gerarchia, ma non sono nemmeno di numero ben definito. Essi, come diceva Croce, sono inesauribili perché nascono sempre nuovi, diversi e individualizzati, dal fondo della storia, che offre la materia ai singoli pensatori delle varie epoche: "Così travagliandosi nel profondo e seguendo le necessità logiche dei problemi che si proponeva, la filosofia dello spirito ha - dai Greci antichi a noi - elaborato quelle teorie che si dicono di logica, di etica, di politica, di economia, di estetica, e quante altre siano nelle loro innumeri specificazioni e particolarizzazioni, con le quali gli uomini tutti, spesso inconsapevoli degli strumenti che maneggiano e della fatica che è costato il costruirli, interpretano la vita che vivono e si orientano nella loro azione, rivolta all'avvenire. Tutti i veri filosofi, in quel che hanno avuto di veramente filosofico, e non già nelle escogitazioni metafisiche che hanno foggiate o ricevute o lasciate sussistere nei loro detti, sono stati autori e accrescitori di questo patrimonio mentale [...] E questa è la propria ed effettiva storia della filosofia nella quale niente va perduto e di cui vediamo la catena stendersi fino a noi per ricevere nuovi anelli" (B.Croce, "Il concetto della filosofia come storicismo assoluto", in "Filosofia, Poesia, Storia", Edizione Speciale per la Biblioteca Treccani,2006,pp.17-18).

Dalle considerazioni di Croce discende, dunque, l'elaborazione gariniana del concetto di filosofia come pluralità di saperi riuniti nella sintesi filosofica e si sviluppa l'idea della piena identità di filosofia e storiografia nella riconquistata consapevolezza dell'unica natura delle due forme di sapere e nella sostanziale omogeneità degli strumenti conoscitivi e dei problemi che insorgono. Così lo storico che ricostruisce e interpreta la realtà ed il filosofo che si appropria della realtà con il pensiero critico, altro non sono che due figure e due modi costitutivi dello stesso bisogno di unificazione, ricostruzione e interpretazione dei dati di fatto. Questo bisogno di unità, plasmata da criticità e storicità, non esclude che il mondo storico, se fortemente pensato, abbia un senso più alto ed un orizzonte più largo nel suo dispiegarsi di epoca in epoca e di civiltà in civiltà. E include pure il pensiero dell'ontologico, del teologico e del metafisico, e le categorie della continuità che connette e della discontinuità che diversifica. Perciò, Medioevo e Rinascimento sono mondi contigui e continui, pur nella diversità di taluni eventi e di taluni pensieri che li rendono diversi e che li differenziano e li identificano al tempo stesso (cfr.di E. Garin,"Medioevo e Rinascimento", Laterza 1954).
La tematica dei complessi rapporti tra Medioevo e Rinascimento, che tanti dibattiti ha subìto e provocato, viene ripensata e ripresa dal filosofo fiorentino successivamente nella sua autobiografia: "Lontanissimo, anzi profondamente avverso alla tesi cara al Cristeller di un umanesimo del Rinascimento come fatto sostanzialmente grammaticale, di un Rinascimento speculativamente continuatore del Medioevo, e come tale in verità inconsistente, ho cercato al contrario di individuarne la peculiarità proprio nel nesso profondo dei suoi molteplici aspetti, e soprattutto nella concezione della vita, dell'uomo e della sua attività; nell'arte come nella politica, nello sviluppo delle tecniche come nel contributo al risveglio scientifico. Qui, appunto, le complesse radici della civiltà moderna, senza negare i profondi legami con l'età precedente, ma senza neppure attenuare le non meno profonde differenziazioni" (E.Garin, "Sessanta anni dopo", in "La filosofia come sapere storico", cit., pp.146-147). E così Medioevo e Rinascimento, Ottocento e Novecento, Illuminismo e Romanticismo, positivismo e neoidealismo, ecc. contengono veri elementi di continuità e autentici fattori di discontinuità. E l'uso costitutivo o regolativo della ragione arricchisce poi la storicità e le dà un senso pieno nell'estendersi e definirsi degli orizzonti storiografici e degli eventi culturali e civili, fisici e metafisici, senza la necessità di offrire rappresentazioni irreali.

Al concetto puro apriori della logica gentiliana ed a quello impuro aposteriori della logica crociana il Garin contrappone dunque il suo concetto della filologia che include pienamente la storicità e non esclude l'esercizio del pensiero critico, e la ricerca della verità nella varietà e pluralità delle direzioni. Di qui il compito di una filosofia che, ritrovando un concetto filologico "concretamente impuro", in quanto carico di fatti, si ritrova a dover offrire la sua criticità produttiva avendo realizzato la sua discesa dal cielo alla terra. Il materialismo storico e Gramsci in particolare forniscono a Garin gli strumenti più preziosi per uscire dal campo dell'astrazione e fare l'ingresso nel tempio terrestre della storicità, nella quale la filosofia si può trasformare, e si trasforma davvero, in sapere storico: "Gramsci combatte senza posa per un marxismo che sia davvero, com'egli dice, umanismo integrale: e proprio per questo non esita a ribellarsi contro ogni economismo e ogni determinismo assoluto [...] La gramsciana filosofia della prassi, se respinge ogni mistificazione speculativa, rifiuta ogni esperantismo: traduce il marxismo in italiano, ossia intende rispondere alle richieste maturate lungo la storia italiana in modo ad esse appropriato" (E. Garin, "Gramsci nella cultura italiana", in "La filosofia come sapere storico, cit., pp.105-107). La filosofia non è un formulario di risposte prefabbricate, ma un modo di individuare le domande, e un metodo per rispondervi concretamente, anche quando esse sono difficili ed implicano il rapporto con il Trascendente.

Da questo concetto di una necessaria riduzione alla terrestrità (senza volgarizzare lo spirituale, anzi sublimando possibilmente l'empirico), e trasferendo i problemi metafisici nel più inquieto terreno del tempo e dello spazio, scaturisce ancora la dimensione non-astratta, né monolitica della filosofia e si afferma la possibilità di una teoresi avvinghiata ai problemi dell'uomo in carne e ossa. E non si dà storia senza la soggettività umana a cui tutti i problemi reali ineriscono. E, di nuovo, non può esistere filosofia che non sia hegelianamente pensiero del proprio tempo, carne della propria carne e storia reale dell'uomo. E ciò in effetti è il risultato della lunga tradizione fenomenologica hegelo-marxiano-gramsciana, che permette una concezione nella quale la saldatura tra mondo e pensiero è talmente organica da non potersi più staccare: "Che è in realtà a sua volta una storiografia erede di Hegel, di quello Hegel che ha ribadito l'impossibilità di staccare le concezioni e le idee dal mondo che le esprime, onde,veramente, su questo terreno si verifica la saldatura inscindibile fra storia della filosofia e storia concreta e integrale" (Eugenio Garin,"Osservazioni preliminari a una storia della filosofia", in "La filosofia come sapere storico", cit.,p.53).

Ricordare l'autore delle "Cronache di filosofia italiana", l'opera recensita ed apprezzata da Togliatti e ripetutamente letta ed esaltata dai marxisti-storicisti italiani contro ogni marxismo della praxis più o meno rivoluzionaria, significa riportare alla ribalta un modo rigoroso e corposo di far filosofia, ed anche tangibile e documentato, persino quando si toccano tematiche di alta densità ontologica. Sotto questo aspetto, il Garin è davvero il sommo teorico e realizzatore di una filosofia che si fa storia e di una storia che si fa filosofia: colui che rifiuta ogni estrinseco rivestimento paludato e ogni elementare e deterministico storicismo, e che fa storia della filosofia con la consapevolezza di fare storia della cultura e della civiltà. E capisco perché egli si sia cimentato particolarmente con l'Umanesimo ed il Rinascimento, e ne è diventato il Maestro ed il massimo cultore e divulgatore italiano. In quell'età egli poteva mettere a frutto tutte le sue competenze filologiche ed i suoi studi precedentemente compiuti, a cominciare da quelli su Pico della Mirandola, e soprattutto poteva esprimere perfettamente la sua idea "laica" di storia della filosofia: "A quella filosofia che viene ignorata nell'età dell'umanesimo come vana ed inutile, si sostituiscono indagini concrete, definite, precise, nelle due direzioni delle scienze morali (etica, politica, economica, estetica, logica, retorica) e delle scienze della natura, che coltivate "iuxta propria principia", al di fuori di ogni vincolo e di ogni auctoritas, hanno in ogni piano quel rigoglio che l'onesto ma ottuso scolasticismo ignorò" (Eugenio Garin,"L'Umanesimo italiano", Laterza 1965, p.10.).

Il Garin non sopportava le raffigurazioni ultramondane della filosofia, né che questa, come pretendevano certi marxisti italiani, dovesse avere un intento pratico - immediato, ad ogni costo ed in nome del materialismo dialettico marx-engelsiano. Perciò egli, sia contro la filosofia "sublime", sia contro quella "utile", lanciava con eleganza i suoi strali sin dalla prima introduzione alle "Cronache": "Certo questa non è né la filosofia inutile e sublime, né la storia che ricostruisce la purissima logica dell'immancabile sviluppo del mondo;è una modesta cronaca, scritta non senza appassionamento partecipe, di programmi, di riflessioni, di umani sforzi, ed anche di idee, di quelle idee che non sono partorite da altra filosofia, ma che sono espressione sempre rinnovata dello sviluppo storico reale" (Eugenio Garin,"Cronache di filosofia italiana", Laterza 1975, p. XIII).

prof. Salvatore Ragonesi
salvatoreragonesi@hotmail.com








Postato il Martedì, 21 ottobre 2014 ore 09:00:00 CEST di Michelangelo Nicotra
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