Sembra un
appuntamento ormai scontato. Ad ogni conclusione di anno scolastico, ad
ogni esame di Stato, l’incontro tra scuola e giustizia amministrativa
produce i suoi deleteri effetti. Anche quest’anno, si è verificato
l’inevitabile caso. In un liceo classico romano, la bocciatura di uno
studente che aveva riportato nello scrutinio finale pesanti
insufficienze - 3 in matematica, 4 in fisica, 3 in storia dell’arte
- è stata annullata da una sentenza del Tar del Lazio, con
motivazioni tanto fantasiose quanto arbitrarie, secondo le quali,
matematica e fisica sarebbero materie secondarie nel liceo classico e
quindi insufficienze così gravi non inficerebbero la regolarità del
corso di studi.
Giovanni Belardelli commentando questo episodio sul Corriere della sera
di lunedì scorso, osserva che il politologo Alessandro Pizzorno
definisce il fenomeno dei continui ricorsi alla giustizia
amministrativa come una «resa dell’autorità sociale alla legge» (Il
potere dei giudici, Laterza) da parte di chi in passato aveva il ruolo
di fissare le regole e farle rispettare (dall’insegnante al medico, dal
capofamiglia al dirigente d’azienda) ora non più in grado di svolgere
questa funzione. Da parte sua, l’utenza che un tempo accettava le
decisioni di un’autorità sociale oggi ricorre sempre più frequentemente
alla magistratura per far valere quelli che ritiene diritti lesi, ma
anche, bisogna aggiungere, spesso per aggirare furbescamente gli
insuccessi o trarre vantaggio dagli inconvenienti. Del resto, chiunque
operi nella scuola, soprattutto nella secondaria superiore, è testimone
a fine anno di scenate isteriche e anche di aggressioni ai docenti da
parte di genitori che non riescono ad accettare una bocciatura o
comunque un insuccesso.
Nella confusione dei ruoli che ne deriva, la valutazione e l’esame
diventano meri adempimenti burocratici, di semplice ratifica routinaria
che tolgono non solo prestigio alla scuola ma anche la possibilità di
svolgere quella funzione di ascensore sociale che le compete, generando
frustrazione e sfiducia in tutti. Nei docenti sempre più delegittimati
e mortificati, negli studenti sempre meno motivati e nelle famiglie
sempre più diffidenti, tutti risucchiati in un circolo vizioso senza
via di uscita.
Quale altra sorpresa allora riserverà la conclusione dei lavori delle
commissioni d’esame di Stato, di maturità insomma, come si continua
ostinatamente a definirla, ancora all’opera per valutare l’esito del
ciclo di studi secondario? Probabilmente nessuna. Ormai il danno è
fatto e ha prodotto le sue devastanti conseguenze. La circolazione di
notizie del genere contribuirà a indurre i commissari ad eccedere nella
cautela e a chiudere non uno ma molti occhi, come sa bene chi ha
esperienza di commissioni di esame, per evitare ricorsi e contestazioni.
Ci troveremo quasi certamente alla conferma della tendenza
manifestatasi negli scorsi anni per cui oltre il 99 % dei candidati
supera l’esame. Certo, tutti saremmo ben lieti che la popolazione
studentesca raggiungesse veramente un tale livello di successo
scolastico. Ma almeno tre indicatori svelano una realtà ben
diversa. Il primo viene da diversi rapporti, tra cui quello di
Confindustria “Oltre le apparenze: scuola e impresa del terzo millennio
dossier la domanda delle imprese” del 2010 che rivela un gap di 110mila
unità tra domanda e offerta di tecnici da parte delle imprese. Ma se
ogni anno dalla scuola superiore escono circa cinquecentomila
diplomati, di cui il 50% di area tecnica e professionale, come si
spiega questo dato se non con l’inadeguatezza della preparazione dei
diplomati?
In secondo luogo, le ricerche OCSE continuano a mortificarci rilevando
che le competenze linguistiche e matematiche degli adulti italiani si
collocano tra le più basse nei paesi OCSE e ciò, purtroppo non
risparmia anche i giovani italiani che sono ampiamente al sotto di
quanto osservato per le stesse fasce d’età nella maggioranza dei paesi
partecipanti all’inchiesta. (dati PIAAC 2013). Infine la ricerca
Almalaurea 2009 mostra dati significativi di abbandono degli studi
universitari (oltre il 18%) e soprattutto quote elevata di laureati
fuori corso, quote ridotte di laureati e incongruenze tra percorsi
universitari e competenze richieste nel mercato del lavoro.
Tutto ciò alimenta qualche dubbio sul fatto che i diplomati così
massicciamente licenziati dagli esami risponda totalmente ai requisiti
attesi e getta anche un’ombra sulla effettiva utilità degli esami
stessi. Ma pone anche l’urgenza di restituire all’esame una dignitosa
oggettività. Come? Cominciando anche con piccole cose. Ad esempio, con
la revisione di alcuni orpelli ormai barocchi quali la cosiddetta
tesina, spesso ridotta a un puro copia e incolla. Ad esempio
introducendo elementi di terzietà nella valutazione con prove
oggettive, magari curate dall’INVALSI e da sottoporre a correttori
esterni. Partendo da un esame più oggettivo si potrebbe cominciare a
rompere anche quella autoreferenzialità della scuola che costituisce
uno dei limiti più seri alla credibilità del sistema e al prestigio
sociale agli insegnanti e anche a rompere il circolo vizioso della
sfiducia e della arrendevolezza.
Donatella Purger - Firstonline.info
donatellaaura@gmail.com