Managerialità
'vocazionalità' società scuola
Vari problemi sono legati ai termini suddetti, alcuni consueti, un
altro improprio o nuovo. Improprio ma significativo. Alcuni lavori
infatti richiedono managerialità altri qualcosa di più odiverso.
Il manager (bravo) è colui che fa funzionare (bene) una struttura, una
produzione, un servizio. Ad un supermanager potrebbe essere assimilato
chi fa funzionare (bene) una Istituzione. Lo Stato, per esempio.
Il pensiero non può non andare quindi a Napolitano in Italia. Se un
manager fa funzionare le ferrovie italiane, anche se dimezzate come
servizio, dovrebbe soddisfare i bisogni se non le esigenze dell'utenza,
non lasciare quindi a terra gli utenti specie se abituali (pendolari),
tenere in ordine e puliti i treni, farli arrivare in orario e senza
incidenti.
A quel punto (e non mi pare ci siamo da molto tempo ad oggi) potrà
guadagnare un giusto stipendio che indicizzeremo in cento centesimi.
Analogamente se il Capo dello Stato riesce a salvare la Nazione dal
disastro, farla sopravvivere alle azioni distruttive di alcuni
politici, mantenendo per il Paese una qualche stima internazionale
nonostante tutto, potrebbe forse meritare un 200/100mi di guadagno.
Analogamente si può ragionare per altre numerose situazioni di
"managerialità", pubblica o privata che sia.
C'è poi un'altra categoria che può essere tirata in ballo quando ci si
riferisce a certi "servizi".
Quelli diretti alla persona, ad esempio
l'assistenza al disabile o non autosufficiente, richiedono una
propensione dell'addetto che va al di là del mestiere puro e semplice
o, comunque, per essere ben espletati richiedono una certa quale,
chiamiamola così, "vocazione".
Il termine mestiere indica in genere l'operare in un certo modo
in base ad una certa competenza. Nella vecchia società prevalentemente
artigiana per avere una adeguata stima sociale la semplice competenza
non bastava o non si considerava completa se non era in qualche modo
arricchita dall'amore al proprio lavoro.
Se si unisce quest'ultimo aspetto dell'attività lavorativa alla
propensione succitata per il servizio alla persona si può avere un'idea
di quello che insolitamente ho chiamato "vocazionalità" e che riferisco al
servizio alla persona chiamato in termini generali "educazione".
Scopriamo ora le carte.
Sulla base di quale considerazione logica un degno e capace manager
pubblico potrebbe pretendere di guadagnare quattro, sette, otto volte
più di un degno e capace Capo dello Stato?
Altra considerazione.
Basta nella scuola una capacità manageriale a fare di un intellettuale
(intendendo per ciò una persona che ha dedicato una parte significativa
della propria esistenza ad una adeguata formazione culturale, genere
non diffusissimo nelle nostre scuole) una persona capace di
guidare una
istituzione educativa come la scuola?
Ultimamente si sentono sempre più frequentemente critiche all'attività
della scuola italiana intesa aprodurre progetti capaci di
lucrare contributi straordinari, piuttosto che promuovere cultura,
professionalità, formazione umana e sociale di alto livello.
Forse la vecchia figura del Capo di Istituto aiutava in questo compito,
concependosi come colui che promuoveva, coordinava, controllava
l'azione didattica e formativa e ne rispondeva all'utenza.
Tutto ciò bastava a dare un valore sociale alla scuola, una elevata
dignità professionale ai docenti ed al Capo di Istituto che tradotti in
stima sociale giustificavano stipendi all'altezza dei migliori
professionisti, stima sociale che aveva alla base il risultato
tangibile della loro azione formativa.
La società strutturata in vari ceti con relativamente variabili
condizioni di benessere individuale e altissima mobilità sociale è
stata soppiantata da una società appiattita su pochi ceti e
svariatissime figure professionali che costituiscono una costellazione
di infinite posizioni stipendiali o di guadagno libero, con pochissimi
astri di grandezza infinitamente più grande, i cosiddetti supermanager
sui quali dovrebbe reggersi
il buon funzionamento della società, delle istituzioni, dei servizi,
dell'economia, della finanza. Tutto ciò sia nel pubblico che nel
privato.
Naturalmente lo sport (come spettacolo) e lo spettacolo (come
divertimento) sono un mondo a parte.
È possibile trovare un equilibrio in tutto ciò senza dover tornare ad
un buon tempo antico? Ovviamente non tutto il tempo antico era buono,
anzi.
Penso basterebbe avvicinarci all'equilibrio di tanti altri Paesi dove
il servizio pubblico funziona anche pagando meno i manager e la scuola
prepara alla vita ed al lavoro, mentre i pubblici educatori guadagnano
tre rispetto al nostro uno ed i loro capi quattro rispetto al nostro
uno e mezzo, dove i giovani trovano lavoro accettandone uno quale che
sia fino a quando la mobilità sociale esistente non consente loro di
realizzare i propri sogni. Dove infine i treni camminano in orario, gli
ospedali risolvono le normali emergenze di salute ed i politici si
accontentano di normali retribuzioni cercando di ottenere la stima
sociale.
Roberto Laudani
robertolaudani@simail.it